Le emissioni di gas serra provenienti dalle attività umane sono responsabili di circa 1,1°C di riscaldamento rispetto al periodo 1850-1900. Mediamente nei prossimi 20 anni, secondo il rapporto, la temperatura globale dovrebbe raggiungere o superare 1,5°C di riscaldamento. È inoltre evidente che i cambiamenti climatici stanno già influenzando ogni regione della Terra, in molteplici modi. Sono questi i dati preminenti del primo volume del sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC 8 l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite).
Proviamo allora a soffermarci esclusivamente sugli aspetti relativi alla cattura della CO2 e al loro potenziale contributo alla riduzione degli effetti del cambiamento climatico in atto.
La riduzione di concentrazione di CO2 in atmosfera
La riduzione di concentrazione di CO2 in atmosfera (oltre alla riduzione diretta con utilizzo di altre tecnologie quali le energie rinnovabili in sostituzione di quelle che fanno uso delle fonti fossili) può avvenire tramite diverse strategie che vanno dalla piantumazione di alberi, oppure dall’utilizzo di tecnologie innovative che permettono la separazione della molecola di CO2 dall’aria e dal suo successivo utilizzo che può essere quello della semplice pompaggio in profondità (CCS) oppure dal suo riutilizzo per produzione di energia o di biocarburanti.
I piani di Governi e aziende
Certamente molte nazioni e aziende internazionali hanno lanciato programmi ambiziosi per la riduzione delle proprie emissioni fissando scadenze e obiettivi stringenti facendo leva anche su queste tecnologie; tuttavia, il costo delle stesse e lo stadio di sviluppo ancora in alcuni casi embrionale non garantiscono circa il reale successo dei piani stessi.
Il ruolo delle foreste
Soffermandoci sulla capacità di cattura della CO2 da parte delle foreste, ad esempio, la scienza non sembra aver detto l’ultima parola riguardo l’entità esatta del potenziale di cattura della molecola da parte delle foreste. Un interessante paper pubblicato su Nature (Asymmetry in the climate–carbon cycle response to positive and negative CO2 emissions, 2021) ha rilevato che he la rimozione di tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera potrebbe non essere efficace nell’alleviare il riscaldamento come sperato, perché le variazioni indotte proprio dal cambiamento climatico potrebbero a sua volta, influenzare la facilità con cui le foreste assorbono la CO2 (e anche gli Oceani).
Se alcuni studi sembrano sovrastimare la potenzialità di cattura della CO2 da parte delle foreste (The global tree restoration potential, Science, 2019), altri esperti ne hanno criticato i dati; certamente il sistema non è così semplice come viene presentato; infatti come legare la piantumazione di milioni di ettari con la sussistenza di economie locali che invece fanno utilizzo delle piante stesse? Come saranno manutenuti i boschi in modo da evitare stress e forti incendi cui sempre più assistiamo nelle recenti roventi estati? Chi si occuperà del ripristino delle piante che periranno alla fine del ciclo di vita? In sintesi, quindi non basterà pagare degli Stati per avere la certezza e contabilizzare la riduzione ipotetica di CO2.
Cosa sono i sistemi di cattura Co2 CCS
I sistemi di sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS – Carbon Capture and Storage) catturano in vario modo l’anidride carbonica e poi la stoccano (o la riutilizzano) in modo che non causi più dannil
Attualmente al mondo ci sono 21 impianti in funzione, 3 in costruzione, 17 in fase avanzata di sviluppo e 24 in fase iniziale di sviluppo. Secondo i dati dell’AIE, se tutti i progetti previsti venissero realizzati, la capacità globale di stoccaggio della CO2 aumenterebbe da 40 a 130 milioni di tonnellate.
Quali tecnologie e sistemi di carbon capture
Su quali sistemi usare per la cattura c’è dibattito. Molti sono convinti che sia necessaria la ri-forestazione e piantare gli alberi.
Sono le “nature-based solution” al climate change, ma non basta. In risposta a un tweet che raccomandava di piantare alberi, Elon Musk ha detto che gli alberi “sono parte della soluzione, ma richiedono molta acqua fresca e terra. Potremmo aver bisogno di qualcosa di ultra-grande scala industriale tra 10 o 20 anni”.
Vediamo perché la tecnologia della cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio o il sequestro del carbonio (CCUS), che è spesso abbreviato in “cattura del carbonio”, finora, non è stata più ampiamente distribuita e a che punto siamo.
CCUS dalle fabbriche
Ci sono attualmente 21 progetti commerciali CCUS su larga scala in tutto il mondo in cui l’anidride carbonica viene estratta dalle emissioni delle fabbriche, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, un’organizzazione intergovernativa dell’energia con sede a Parigi. Il primo è stato avviato nel 1972.
La prima tecnologia CCUS è stata utilizzata per il recupero migliorato del petrolio, il che significa che l’anidride carbonica viene pompata in un campo petrolifero per aiutare le compagnie petrolifere a recuperare più petrolio dal terreno.
Un esempio negli Stati Uniti è a Decatur, Ill, dove il gigante della trasformazione alimentare Archer Daniels Midland Company ha lanciato un progetto di cattura e stoccaggio del carbonio nel 2017. Ha la capacità di prendere 1,1 milioni di tonnellate di carbonio all’anno dalle emissioni rilasciate da una fabbrica di lavorazione del mais, e immagazzina quel carbonio un miglio e mezzo sottoterra.
Per la cattura del carbonio in fabbrica, le emissioni vengono fatte passare attraverso un recipiente con un solvente liquido che essenzialmente assorbe l’anidride carbonica. Da lì, il solvente deve essere riscaldato in una seconda torre – chiamata “stripper” o “rigeneratore” – per rimuovere il CO2, dove viene poi instradato per lo stoccaggio sotterraneo. Il solvente può poi essere riutilizzato nella prima nave o torre.
In termini di inversione del cambiamento climatico globale, c’è già stato troppo carbonio rilasciato nell’atmosfera per non provare a catturare il carbonio e immagazzinarlo.
Cattura diretta dall’aria
La concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è registrata in parti per milione, o PPM. A dicembre, l’anidride carbonica atmosferica si trova a 414,02 ppm, secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration.
Catturare il carbonio dall’aria, non dalla ciminiera di una fabbrica, si chiama “cattura diretta dell’aria”, e ci sono attualmente 15 impianti di cattura diretta dell’aria in Europa, Stati Uniti e Canada, secondo l’IEA. “La rimozione del carbonio dovrebbe giocare un ruolo chiave nella transizione verso un sistema energetico a zero,” dice l’AIE, ma attualmente è una tecnologia molto costosa.
La cattura diretta dell’aria è molto costosa perché il CO2 nell’atmosfera è solo 0,04% , e il processo tecnico di rimozione dell’anidride carbonica da un gas diventa più costoso quanto più bassa è la concentrazione di anidride carbonica. Lo stoccaggio avviene nella roccia, dove si cristallizza e resta stabile. Serviranno incentivi perché la tecnologia possa scalare e diventare sostenibile.
Cattura con biomassa
La bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BECCS) è il processo di estrazione della bioenergia dalla biomassa e di cattura e stoccaggio del carbonio, rimuovendolo così dall’atmosfera.
Il carbonio nella biomassa proviene dall’anidride carbonica (CO2), un gas a effetto serra che la biomassa estrae dall’atmosfera quando cresce. L’energia viene estratta in forme utili (elettricità, calore, biocarburanti, ecc.) quando la biomassa viene utilizzata tramite combustione, fermentazione, pirolisi o altri metodi di conversione. Una parte del carbonio nella biomassa viene convertita in CO2 o biochar che può essere immagazzinata rispettivamente tramite sequestro geologico o applicazione al terreno, permettendo la rimozione dell’anidride carbonica e rendendo il BECCS una tecnologia a emissioni negative.
Il Quinto Rapporto di Valutazione dell’IPCC del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), suggerisce una gamma potenziale di emissioni negative da BECCS da 0 a 22 gigatonnellate all’anno. Al 2019, cinque impianti in tutto il mondo utilizzavano attivamente le tecnologie BECCS e catturavano circa 1,5 milioni di tonnellate all’anno di CO2.
L’ampia diffusione del BECCS è limitata dal costo e dalla disponibilità della biomassa. Sembra improbabile che si trasformino in modo profondo ed esteso le colture per una diffusione di questi sistemi.
I limiti dei sistemi di carbon capture
Sebbene si rilevi una ripartenza di questa tecnologia in chiave di supporto alle fonti rinnovabili se guardiamo al passato non sembra gli investimenti abbiamo portato i risultati sperati. Nel 2018 la “relazione speciale della Corte dei conti europea” diceva infatti che “nel 2009 l’UE ha varato il programma energetico europeo per la ripresa (EEPR) con un bilancio di 1,6 miliardi di euro per sostenere progetti di cattura e stoccaggio del carbonio nonché progetti eolici in mare. Allo stesso tempo, l’UE ha creato la riserva 300 per i nuovi entranti (NER300) finanziata con la vendita di 300 milioni di quote di emissione (2,1 miliardi di euro) a sostegno dei progetti per la cattura e lo stoccaggio del carbonio e dei progetti innovativi per le energie rinnovabili. La Corte ha concluso che “nessuno dei due programmi è riuscito a diffondere le tecnologie di cattura e lo stoccaggio del carbonio nell’UE”.
Un altro problema che da anni caratterizza la tecnologia CCS è quella dell’accettabilità sociale e della sicurezza circa il pompaggio di CO2 nel sottosuolo, sia riguardo eventuali fuoriuscite future(per cui i siti andrebbero comunque sempre attentamente monitorati) e poi a questi si aggiungono i rischi riguardo alla sicurezza geologica: in aree sismiche caratterizzate dalla presenza di faglie note, non si può escludere che terremoti modifichino la capacità futura di un sito di stoccaggio di trattenere affidabilmente il contenuto.
Un altro aspetto su cui soffermarci è la reale efficacia delle tecnologie CCS confrontate con quelle delle energie rinnovabili; si cita a tal proposito un interessante studio (Comparative net energy analysis of renewable electricity and carbon capture and storage, Nature energy 2019) che ha indicato come le energie rinnovabili associate all’accumulo si confermano il metodo più energeticamente vantaggioso per combattere i cambiamenti climatici rispetto alla costruzione di impianti CCS.
Un ultimo spunto di riflessione viene dalla soluzione della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo all’indirizzo delle tecnologie di CCS del 2019. Nella Risoluzione ENVI approvata, gli eurodeputati sottolineano la necessità di intraprendere ulteriori azioni entro il 2030 affinché l’Unione “eviti di affidarsi a tecnologie di assorbimento del carbonio che comporterebbero considerevoli rischi per gli ecosistemi, la biodiversità. Piuttosto Bruxelles dovrebbe dare priorità alle riduzioni dirette delle emissioni e al miglioramento dei pozzi e serbatoi di carbonio naturali (come le foreste), considerando la rimozione artificiale del carbonio come una soluzione estrema, da utilizzare solo laddove non siano disponibili altre opzioni.
Attività umane e clima del futuro
Il rapporto IPCC mostra anche che le attività umane hanno ancora il potenziale per determinare il corso del clima futuro. È chiara l’evidenza scientifica che mostra che l’anidride carbonica (CO2) è il principale motore dei cambiamenti climatici, anche se altri gas serra e inquinanti atmosferici contribuiscono a influenzare il clima. “Stabilizzare il clima richiederà riduzioni forti, rapide e costanti delle emissioni di gas a effetto serra, e raggiungere emissioni nette di CO2 pari a zero. Limitare altri gas serra e inquinanti atmosferici”, si legge.
Ma quanta CO2 ogni anno viene emessa e da dove? In estrema sintesi nel mondo (fissiamo come esempio l’anno 2010) sono stati emessi 33 miliardi di tonnellate di co2 equivalente distribuite in questo modo: 33% industria, 18,4% Edilizia, 14,3%, trasporti, 24,87% agricoltura, foreste e altri usi del suolo, 9,43% altre fonti.
Le recenti notizie non sono rassicuranti, infatti rapporto “Global Energy Review 2021” dell’Agenzia Internazionale dell’energie (IEA) stima che le emissioni di CO2 potrebbero aumentare di quasi il 5% quest’anno arrivando a oltre 33 miliardi di tonnellate e tornando così ai livelli precedenti alla pandemia. Questo conferma quindi che la pandemia ha generato solo un momentaneo rallentamento delle emissioni globali.
Pertanto, per raggiungere gli obiettivi fissati lo sforzo dovrà essere immane e la soluzione non potrà essere univoca; certamente dovremo ridurre quanto più l’utilizzo di fonti fossili, aumentare l’efficienza di produzione e consumo di energia e dovremo anche operare attraverso la riduzione di concentrazione dei gas serra in atmosfera. Dovremo adottare politiche che non riguardano quindi un unico settore ma che dovranno riguardare tutti gli ambiti (dalla produzione di energia al trasporto ma anche fino alla produzione di cibo e al forte impatto degli allevamenti intensivi sulle emissioni di gas climalteranti).
Se volgiamo lo sguardo all’Europa, gli obiettivi che la Commissione Europea con il Green new deal sono certamente ambiziosi: le emissioni di CO2 nette globali prodotte dall’attività umana dovrebbero diminuire di circa il 45% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2030, raggiungendo lo zero intorno al 2050.
Conclusioni
In conclusione, sebbene le tecnologie di cattura e rimozione della CO2 continuano a essere sviluppate e testate è fondamentale che le strategie di decarbonizzazione facciano leva principalmente sull’utilizzo di fonti rinnovabili.
Certamente altre tecnologie potranno essere di supporto nei piani futuri e in particolari condizioni; tuttavia, queste non devono essere una giustificazione per mantenere lo status quo e non cambiare i sistemi di produzione.