Se, come si afferma in studi della Commissione Europea, nel 2020 il 90% dei lavori avranno una componente di competenza digitale significativa e saranno necessari da 600 mila a 900 mila nuovi professionisti ICT in Europa rispetto alla tendenza attuale, tutte le iniziative che sposano sviluppo delle competenze digitali e dinamiche del mercato del lavoro, domanda e offerta, sono di alta valenza strategica per tutti i Paesi. L’Italia in modo particolare, dato l’intreccio perverso che porta, allo stesso tempo, alta disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile, e basse competenze digitali, anche specialistiche ICT.
Ma le esigenze stimate dalla Commissione UE per l’Italia (dai 60 mila ai 100 mila nuovi professionisti ICT) non pongono solo il tema di come far sì che il sistema educativo riesca a formare questi professionisti (e non sono in pochi a pensare che la situazione attuale è da cambiare) ma anche e soprattutto che questi numeri non sono già determinati, ma potenziali: si concretizzano se allo stesso tempo le aziende e le amministrazioni pubbliche sono in grado di avere una visione di innovazione sfruttando le opportunità del digitale, le scuole e le università riescono a formare profili coerenti nella quantità necessaria, se i cittadini riescono ad essere, grazie alle proprie competenze digitali, traino anch’essi per la progettazione e la realizzazione di nuovi prodotti e servizi innovativi.
Ecco che allora la scelta italiana, promossa dall’AgID, di avviare una Coalizione Nazionale sui “Digital Jobs”(che sarà ufficializzata all’evento Going Local della Commissione Europea del 18 giugno) non può essere limitata all’ambito dello sviluppo delle competenze e della formazione, ma necessariamente deve intervenire sul livello della creazione dei lavori e del riconoscimento e della creazione delle nuove professionalità ad alto contenuto digitale. Deve, quindi, intervenire su una rete di soggetti molto ampia, che va dalle istituzioni e dalle amministrazioni pubbliche alle imprese ai lavoratori alle agenzie formative alla società civile e deve richiedere a gran voce l’esplicitazione di politiche innovative sia sul fronte dell’educazione che su quello del lavoro e dello sviluppo. Soggetti che oggi sono tutti danneggiati dalla combinazione disoccupazione-scarse competenze digitali e che però hanno le potenzialità, se si muovono in modo coerente e organico, di innescare un circolo virtuoso che coinvolga domanda e offerta pubblica e privata di servizi ICT per spingere verso l’innovazione ed innalzare il fabbisogno di specialisti ICT di alto profilo, in cui:
- i cittadini acquisiscono maggiore “consapevolezza digitale” e conseguentemente una maggiore capacità di utilizzare i servizi digitali e di partecipare alla loro ideazione/progettazione;
- i lavoratori vedono accresciute le capacità di usare competenze digitali nel contesto lavorativo, nei processi di business e nella progettazione di prodotti e servizi;
- gli imprenditori, i manager a tutti i livelli nelle organizzazioni, acquisendo/incrementando le loro capacità di e-leadership aumentano la loro capacità di individuare e sfruttare le opportunità offerte dalle ICT;
- gli specialisti ICT, acquisendo maggiori competenze incrementano le loro capacità di fare innovazione di prodotti e servizi;
- le imprese aumentano le loro potenzialità di innovare e “pensare digitale”;
- le organizzazioni pubbliche possono contare sul coinvolgimento di cittadini con competenze digitali che usano meglio i loro servizi ed esse, a propria volta, possono investire nell’offerta di nuovi e più avanzati servizi.
La Coalizione Nazionale è allora il patto che questi soggetti siglano tra loro impegnandosi su un percorso comune. Non è sufficiente, ma è una delle condizioni necessarie per avviare un reale cambiamento. Un’altra si situa a livello politico, di un committment chiaro ed esplicito che riconosca il rilievo fondamentale che ha oggi il digitale per le politiche di crescita, e ha bisogno di manifestarsi in modo correlato, secondo un unico disegno, negli atti più strategici del governo, dal Jobs Act alla Riforma della PA ai piani di innovazione che interessano istruzione, università e ricerca, al sempre atteso Piano Industriale nazionale.
La Coalizione italiana condivide le priorità della “Grand Coalition for Digital Jobs” europea:
- formazione che colmi il divario tra domanda ed offerta di lavoro nel settore delle ICT;
- mobilità degli studenti e dei lavoratori;
- metodologie di insegnamento-apprendimento innovative;
- azioni volte a rendere attrattive le carriere ICT per i giovani e per le donne;
- certificazioni delle competenze.
In più la Coalizione italiana, si specializza su alcuni focus:
- pianificare attività di formazione formale e informale sulle competenze digitali;
- realizzare l’incontro tra domanda e offerta di professioni e competenze digitali;
- favorire l’imprenditorialità e la e-leadership;
- puntare alla formazione di alti profili di specializzazione ICT;
- introdurre nelle scuole (fin dalle primarie) di elementi di cultura digitale e di programmazione.
Questo patto, questa “Grand coalition for Digital Jobs” italiana, nasce nel percorso aperto dal “Programma Nazionale per la Cultura, la Formazione e le Competenze digitali”, e ne è una delle iniziative più importanti, focalizzandosi e avendo il baricentro, però, sul fronte del lavoro, misurandosi con la capacità del Paese di creare nuovi lavori e nuove competenze basate sul digitale e in grado di combinare innovazione tecnologica e capacità artigiane e produttive.
Ed è un percorso fecondo, che sta portando sullo stesso tavolo di lavoro istituzioni pubbliche nazionali e locali, comunità professionali, organizzazioni non profit, associazioni datoriali e sindacali, in una situazione di partenza che ha molti punti controversi.
Un elemento chiave ci viene anche dall’analisi del rapporto 2014 dell’Osservatorio delle competenze digitali, sia per quanto riguarda la dinamica della formazione e dell’occupazione, sia per quanto riguarda le situazioni retributive per le diverse figure professionali. Due dati su tutti fanno riflettere sulla lontananza dell’attuale modello rispetto ad un reale sistema meritocratico, tale da valorizzare e quindi attrarre alte professionalità ICT ma anche, semplicemente, lo sviluppo di nuove competenze specialistiche ICT:
- la retribuzione femminile è mediamente del 10% più bassa dell’equivalente retribuzione maschile su tutte le figure professionali;
- la retribuzione cresce con l’età e l’anzianità aziendale in modo omogeneo e progressivo, a prescindere dallo specifico tipo di figura professionale e quindi di profilo di competenze necessarie.
Mentre il primo punto è legato in generale a una difficoltà del sistema del lavoro di permettere alle lavoratrici di avere le stesse opportunità e gli stessi riconoscimenti dei lavoratori maschi, il secondo punto è invece illuminante del fatto che oggi la dinamiche retributive non hanno una correlazione diretta con le competenze messe in azione e con le performance conseguenti. È chiaro, infatti, che per alcune figure professionali il grafico delle performance rispetto all’età di esperienza è una curva, a causa della necessità di flessibilità e alla capacità di adattarsi alle sempre nuove frontiere dell’innovazione tecnologica, più facile da riscontrare fino ad una certa età.
Il disaccoppiamento diventa invece specchio di un Paese che in questo momento “non è per giovani”, nel senso che pretende una gavetta e un percorso lento di valorizzazione legato a dinamiche che non sono correlate con le effettive capacità messe in campo. Invertire questo schema è necessario per poter realmente influire sull’attrattività dei lavori con alta componente specialistica di ICT e anche sull’attrattività della cultura informatica per gli studenti. La rivoluzione digitale richiede una profonda rivoluzione culturale. Anche qui.