Nel corso delle ultime settimane, anche su AgendaDigitale.eu, si è molto discusso del Decreto sulla trasparenza il cui schema è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri lo scorso 20 gennaio.
A seguito delle anticipazioni da parte di alcune testate, si è sollevato un dibattito che ha avuto ad oggetto principalmente il c.d. FOIA, ovvero l’introduzione all’interno del nostro ordinamento di un diritto accesso generalizzato di chiunque ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni.
Negli scorsi giorni è stato finalmente pubblicato sul sito del Governo il testo ufficialmente approvato ed è iniziato l’iter formale che – nelle prossime settimane – porterà il provvedimento a ricevere i pareri (obbligatori ma non vincolanti) del Consiglio di Stato, della Conferenza Unificata e delle Commissioni Parlamentari competenti.
Ci sono quindi tutti gli elementi per cimentarsi con un esame più approfondito, in vista del dibattito che – come è giusto – si è già avviato, non solo tra gli addetti ai lavori. Di seguito, si proveranno ad identificare le principali novità introdotte dal decreto che si prefigge dei commendevoli obiettivi e mira ad un ampliamento del livello di trasparenza delle amministrazioni italiane.
Il tema della trasparenza amministrativa, infatti, ha numerose ripercussioni sia sull’effettività dei diritti di cittadinanza e sulla lotta alla corruzione sia sull’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, chiamate ad adempiere alle nuove norme.
Partiamo dalla tecnica normativa utilizzata dall’esecutivo. Il Governo, in esecuzione della delega contenuta all’art. 7 legge n. 124/2015, ha deciso di adottare un testo di “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza” contenute principalmente all’interno del Decreto 33/2013.
La scelta, sicuramente interessante, è quindi quella di rendere il Decreto n. 33/2013 il provvedimento di riferimento in materia di trasparenza amministrativa: non solo per la c.d. trasparenza “proattiva” (relativa agli obblighi di pubblicazione sui siti internet delle amministrazioni) ma anche per la trasparenza c.d. “reattiva” (con riferimento all’introduzione di una normativa in materia sull’accesso ai dati e ai documenti delle amministrazioni).
In base alle argomentazioni contenute nella relazione illustrativa allo schema di decreto, il provvedimento ha l’obiettivo di rafforzare la trasparenza amministrativa, semplificando gli adempimenti a carico delle amministrazioni.
Tuttavia, dalla lettura delle disposizioni si ritiene che – se dovesse essere approvato senza modifiche – difficilmente il testo raggiungerebbe i suoi obiettivi.
Infatti, da un lato le semplificazioni introdotte rischiano di ridurre in modo rilevante le informazioni disponibili sui siti web delle amministrazioni e, dall’altro il nuovo istituto dell’accesso civico generalizzato – come pure si vedrà – rischia di essere un’arma assai spuntata nelle mani di cittadini, imprese e giornalisti.
Le semplificazioni agli adempimenti per le amministrazioni
Lo schema di decreto approvato dal Governo contiene numerose disposizioni relative ad adempimenti con cui le amministrazioni si sono cimentate negli ultimi anni: l’adozione e la pubblicazione di un Programma triennale per la trasparenza e la pubblicazione sui propri siti web di un cospicuo numero di dati e documenti all’interno delle sezioni “Amministrazioni Trasparente” dei rispettivi siti.
La gran parte delle disposizioni del provvedimento approvato dal Governo prova a rispondere ad un’esigenza di semplificazione lamentata da coloro che, all’interno delle amministrazioni, ritenevano eccessivo l’onere scaricato sui singoli uffici.
Diverse esperienze dimostrano, però, che molto spesso la “complessità” del decreto 33/2013 ha rappresentato più che altro un alibi per le amministrazioni incapaci di comprendere come quello in trasparenza non rappresentasse un costo, bensì un investimento (in termini di democrazia e di efficienza) e che fosse possibile rispettare puntualmente gli obblighi, solo riorganizzando i processi interni agli enti.
Amministrazioni che oggi vengono accontentate, vista la lunga lista di “semplificazioni” (che, in molti casi, consiste semplicemente nell’eliminazione di obblighi fin qui previsti).
Innanzitutto viene abrogato l’obbligo per le amministrazioni di redigere, aggiornare e pubblicare un Programma triennale per la trasparenza e l’integrità in cui indicare le iniziative previste per garantire:
a) un adeguato livello di trasparenza;
b) la legalità e lo sviluppo della cultura dell’integrità.
Se il decreto dovesse essere approvato senza modifiche, le amministrazioni sarebbero tenute unicamente ad indicare, in un’apposita sezione del Piano triennale per la prevenzione della corruzione, i responsabili della trasmissione e della pubblicazione dei documenti, delle informazioni e dei dati.
Tuttavia, è dato di comune esperienza che, se si vuole garantire l’effettiva pubblicazione delle informazioni previste, sia necessario adottare un apposito atto organizzativo che consenta all’interno dell’amministrazione di definire ruoli, responsabilità e procedure.
È quindi ipotizzabile che gli enti che vorranno adempiere in modo serio agli obblighi di pubblicazione si dotino comunque di un documento organizzativo simile al Programma per la trasparenza.
inoltre, sono molti gli obblighi di pubblicazione che vengono abrogati. Colpiscono, in particolare, l’eliminazione della tabella riassuntiva dei provvedimenti dei dirigenti (norma che abilitava un controllo pervasivo sul loro operato) e di quelle relative ai bandi di concorso scaduti, ai dati aggregati sull’attività amministrativa e ai risultati di customer satisfaction sui servizi on line.
A fronte di queste abrogazioni, vi è la previsione della pubblicazione di una serie di banche dati detenute da pubbliche amministrazioni centrali (come “PerlaPA” sugli incarichi di consulenza e la Banca dati dei contratti pubblici): tale previsione è sicuramente interessante in quanto consente di avere con limitato sforzo organizzativo un’interessante massa di dati a disposizione degli utenti per finalità di controllo civico.
Viene inserita anche una previsione relativa al portale SoldiPubblici, gestito dall’Agenzia per l’Italia Digitale, che dovrebbe consentire l’accesso ai dati dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, permettendone la consultazione in relazione alla tipologia di spesa sostenuta e alle amministrazioni che l’hanno effettuata, nonché all’ambito temporale di riferimento.
A dire il vero, non si comprende quale sia il valore aggiunto di questa disposizione dal momento che il sito Soldipubblici.gov.it esiste già e pubblica, in modo puntuale e completo, i dati aperti relativi alle spese della pubblica amministrazione che si trovano all’interno di un’unica banca dati (SIOPE, gestita dalla Ragioneria Generale dello Stato).
Onerare ogni singola amministrazione di pubblicare quei dati non solo rappresenterebbe una duplicazione contraria alle esigenze di semplificazione alla base del decreto, ma esporrebbe il sito al rischio di parzialità delle informazioni pubblicate (nel caso, assai probabile, in cui non tutte le amministrazioni pubblicassero i propri dati).
La nuova disciplina sull’accesso
Nelle intenzioni degli estensori dello schema di decreto (così come emergono dalla relazione illustrativa), le semplificazioni degli obblighi di pubblicazione dovrebbero essere bilanciate dalla possibilità, per chiunque, di richiedere l’accesso ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni.
Tuttavia, tale obiettivo non sembra raggiunto perché il nuovo istituto dell’accesso (generalizzato) civico non appare particolarmente efficace per numerose ragioni che sono state già evidenziate da più parti:
a) la richiesta dei documenti deve identificare “chiaramente” i dati/documenti richiesti (onere difficile da rispettare per chi non sia in qualche modo interessato dal procedimento amministrativo a cui si riferiscono);
b) non è previsto che l’accesso ai documenti informatici sia sempre gratuito;
c) non sono indicati precisamente i “costi sostenuti” che potranno essere richiesti al richiedente (es. per riproduzione e spedizione);
d) i rimedi giudiziari previsti non sono veloci e poco onerosi e non è previsto alcun rimedio stragiudiziale;
e) non sono previste adeguate sanzioni in caso di accesso illegittimamente negato (come invece aveva richiesto il Parlamento con l’art. 7, comma 1, lett. h della Legge n. 124/2015);
f) le pubbliche amministrazioni possono rigettare le istanze facendo semplicemente trascorrere trenta giorni dalla richiesta, di fatto evitando di motivare le ragioni per cui negano l’accesso;
g) le eccezioni previste sono talmente ampie e generiche che limitano in modo rilevante l’ambito oggettivo di applicazione del “nuovo” accesso e produrranno inevitabile contenzioso;
h) ciascuna amministrazione può decidere il soggetto competente a ricevere le istanze di accesso civico (es. urp, responsabile della trasparenza, ecc.), onerando quindi gli utenti – prima di inviare le istanze – di visitare la Sezione Amministrazione Trasparente del sito dell’ente destinatario, per verificare trale profilo.
A ciò si aggiunga che il mancato coordinamento con la Legge n. 241/1990 rischia di porre alcuni problemi applicativi per gli stessi uffici (complicando il lavoro di chi sarà chiamato ad esaminare le istanze presentate).
Così come aver voluto inserire la disciplina dell’accesso generalizzato all’interno dello stesso articolo relativo al “vecchio” accesso civico (quello originariamente contenuto all’art. 5 del D. lgs. n. 33/2013) pone delle criticità interpretative che è opportuno vengano risolte, come quelle legate ai “costi” dell’accesso civico (fin qui non previsti e quindi non richiesti) e al coinvolgimento di eventuali controinteressati.