L'approfondimento

Nucleare per l’indipendenza energetica dell’Italia: perché non è tabù

A spingere questa fonte energetica sono la guerra in Ucraina, i timori giustificati per i cambiamenti climatici e i prezzi in rialzo di gas e petrolio che gonfiano le bollette. Ecco quali sono le novità del settore e i pareri degli esperti per capire se l’emancipazione dal gas russo passa anche dal nucleare

Pubblicato il 29 Apr 2022

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info

Smart Reactor Modulare coreano

In Italia si riapre il dibattito sul nucleare per raggiungere l‘indipendenza energetica. All’interno del Governo Draghi si sono alzate diverse voci autorevoli per rompere questo tabù.

A spingere questa fonte energetica sono la guerra in Ucraina, in seguito all’invasione da parte della Russia, e i timori giustificati sia per i cambiamenti climatici sia per i prezzi in rialzo di gas e petrolio (anche se ora, i lockdown in Cina, a causa della strategia zero Covid, dovrebbero fungere da calmiere).

Tuttavia, il caro bollette che va a gonfiare l’inflazione, affligge soprattutto Italia e Germania, due Paesi dipendenti al 40% dal gas russo (Roma ha dimezzato la dipendenza solo in questi giorni), e non colpisce la Francia che si affida da decenni all’energia atomica per uso civile.

Infatti, il caro energia riguarda i Paesi che hanno rinunciato a questa fonte energetica. Attualmente il nucleare fornisce il 10% di tutta l’energia elettrica mondiale, anche se ad ospitare centrali nucleari sono solo 32 Paesi (fra cui spiccano la Francia oltre il 70%, l’Ucraina al 51%, l’Ungheria al 46%, la Finlandia al 34% e gli USA al 20%).

Vediamo allora se il nucleare è ancora un tabù e se e quali innovazioni stanno rendendo più sostenibili le centrali per produrre energia con la fissione.

Transizione energetica, la via per le rinnovabili passa dall’innovazione

Perché il nucleare è migliorato: nuove tecnologie e nuovo engineering green

Nonostante due referendum, in cui gli italiani hanno ribadito la loro vocazione anti nuclearista, si torna quindi a considerare il nucleare.

I motivi sono due:

  • ha il vantaggio di emettere poca CO2, uno dei peggiori gas climalteranti responsabili dei cambiamenti climatici (dobbiamo contenere l’aumento della temperatura a 1,5 °C);
  • l’altro beneficio consiste nell’agevolare l’abbandono del gas russo.

Inoltre, nuove tecnologie green e nuove tecniche ingegneristiche permettono di tornare a parlare di nucleare in vista della transizione ecologica, per superare i limiti delle soluzioni storage in batteria e poter usare l’energia rinnovabile nei momenti critici, offrendo continuità alla fornitura energetica, anche quando l’intensità di sole e vento calano, rendendo intermittenti le energie green.

L’emancipazione dell’Europa dai combustibili fossili, dunque, va inquadrata alla luce del contesto geopolitico, della transizione ecologica in atto, per raggiungere il traguardo della decarbonizzazione entro il 2050, e alla luce delle innovazioni tecnologiche dell’industria dell’atomo.

I mini reattori nucleari

Il rialzo dei prezzi delle fonti fossili e la necessità di decarbonizzare stanno catalizzando l’attenzione sugli small modular reactor (Smr).

Sono mini reattori che coniugano le ridotte dimensioni con una potenza elettrica minore, ma modalità di trasporto e sviluppo interessanti: stanno in un container e sono modulari. Inoltre, promettono un futuro a basso contenuto di CO2.

Il loro design li rende più economici, più facili e veloci da costruire e comportano rischiosi inferiori sotto il profilo finanziario.

Lo svantaggio: la potenza elettrica inferiore ai 300 MW è pari a un quinto di un reattore nucleare standard. Ma hanno un enorme vantaggio: gli Smr azzerano lo scenario Fukushima (dove un tsunami, successivo a un terremoto, mise fuori uso i generatori elettrici), eliminando la necessità di un intervento umano e delle pompe che garantiscono la sicurezza del reattore.

NuScale è il reattore ad acqua pressurizzata (PWR o acqua leggera), in grado di produrre fino a 50 MWe netti: è un mini reattore che installa nocciolo, pressurizzatore e generatori di vapore direttamente dentro il vessel. Vessel che sono costruiti in impianti di taglia media, senza dunque ricorrere a quelli impiegati per i reattori di dimensioni superiori.

Il progetto NuScale, inoltre, regola la potenza installata in base alle esigenze, permettendo di installare fino a 12 moduli (ciascuno alto circa 23 m, con un diametro di 4,5 m) nello stesso impianto allo scopo di generare circa 600 MWe.

Lo Small Modular Reactor non deve essere spento per la ricarica del combustibile esaurito. Ma, grazie alle mini dimensioni e all’alto rapporto tra superficie e volume del nucleo, riesce a sfruttare la circolazione naturale per asportare calore senza la necessità di intervento umano o all’uso di pompe ad hoc. Il progetto NuScale è dunque molto sicuro e promette un veloce ritorno degli investimenti.

Inoltre, l’assemblaggio in fabbrica, prima della spedizione dei moduli al sito, taglia drasticamente i costi di sviluppo.

Lo svantaggio principale è invece la minor potenza dell’impianto che in teoria alza i costi per kilowatt-ora; ma a contenerli, e quindi a rendere gli Smr competitivi, potrebbero contribuire i sistemi di sicurezza passivi.

Scenario Smr a livello globale

Oltre all’impianto all’Idaho National Laboratory, che produrrà energia dal 2029, Nuscale ha attirato l’attenzione di Kazakhstan, Polonia e Romania.

L’International Atomic Energy Agency afferma che circa 50 Smr sono in via di sviluppo a livello globale.

Nel 2019 la Russia ha già collegato l’Smr sperimentale dell’Akademik Lomonosov alla sua rete elettrica. La Cina, che vanta i più grandi reattori in costruzione di chiunque altro, spera di avere il primo mini-reattore commerciale operativo ad Hainan entro il 2026.

L’anno scorso il governo britannico ha promesso di accelerare i piani per costruire 16 Smr di marchio Rolls-Royce. Proprio Rolls-Royce ha dichiarato di aver ricevuto interesse da parte di USA, Repubblica Ceca e Turchia.

I limiti persistenti del nucleare

Tuttavia, anche il nucleare ha i suoi limiti. Innanzitutto, finora non ha mantenuto le promesse:

  • costi eccessivamente alti, con aumenti notevoli rispetto ai preventivi iniziali;
  • i rischi di incidenti sono diminuiti, ma dopo Fukushima la paura è rimasta;
  • inoltre, l’Ipcc ha sfatato la leggenda metropolitana delle quasi zero emissioni di anidride carbonica. Infatti, secondo l’Ipcc, un impianto nucleare emette 110g di CO2 per kilowattora. Meno di altri fonti fossili, ma molto più delle rinnovabili ad emissioni zero. Bisogna aggiungere poi che, per mantenere l’aumento di temperatura a 1,5 °C, le emissioni di CO2 dovrebbero calare di circa il 45% tra il 2010 e il 2030, centrando le zero emissioni nel 2050.

I limiti del nucleare ne hanno minato la credibilità negli ultimi decenni. Infatti, il suo uso come fonte energetica è sceso dal 17.5% nel 1996 al 10.1% nel 2020.

Tuttavia gli ambiziosi piani per combattere i cambiamenti climatici stanno regalando al nucleare una seconda chance. Non una rivincita, ma un’inaspettata finestra di opportunità. Soprattutto dopo che l’Unione europea ha aggiunto l’energia nucleare nella lista dei progetti da scegliere per la finanza green.

I diversi Paesi UE sul nucleare per l’indipendenza energetica

I ritardi italiani sulla transizione energetica e il ventilato addio al gas russo, per rafforzare le sanzioni contro Mosca a causa della guerra in Ucraina, sono un macigno sulla strada italiana alla transizione green.

Adesso bisogna capire:

  • come differenziare le fonti di approvvigionamento, anche per motivi geopolitici;
  • come fare la transizione green riducendo fortemente la produzione di anidride carbonica, come per altro prevedono la UE (azzerare le emissioni dal 2050) e gli accordi Cop 26 di Glasgow.

Vediamo le diverse posizioni dei principali Paesi europei sull’uso del nucleare. Ai primi posti in Europa per percentuale di utilizzo di energia atomica, si piazzano la Francia al 77%, seguita dal Belgio e dalla Slovacchia con il 54%.

La Francia si conferma un Paese nucleare per scelta: il presidente francese, Emmanuel Macron, appena riconfermato, già a febbraio, prima dell’invasione russa dell’Ucraina, ha annunciato di puntare su energia nucleare e rinnovabili per uscire dalla crisi, proponendo altri sei nuovi reattori nucleari.

La Germania, che attualmente utilizza il nucleare al 17%-18%, prosegue l’addio al centrali nucleari annunciato da Angela Merkel dopo il disastro di Fukushima. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz non ha intenzione di far slittare il programma di abbandono del nucleare, neanche ora mentre gli USA chiedono di accelerare l’addio al gas russo. Infatti, le tre centrali attive, che vantano una capacità di circa 4,3 GW e generano circa a 30 TWh di elettricità, dovranno sospendere le operazioni entro la fine dell’anno.

Già oggi la Spagna produce energia nucleare oltre il 20%. Madrid vuole però chiudere tutte le sue centrali entro il 2035, per passare alle fonti rinnovabili.

Per timore dell’impatto negativo della guerra in Ucraina (Paese nucleare oltre il 50% e dove Chernobyl è diventata ostaggio per giorni dell’avanzata russa), il Belgio ha deciso di rinviare la chiusura di due reattori nucleari il cui spegnimento era previsto entro il 2025. Bruxelles ha varato nuovi piani che comunque non escludono le fonti rinnovabili: sono attesi investimenti per 1,1 miliardi di euro per la neutralità carbonica mediante energia eolica, solare e idrogeno green ovvero quello prodotto con fonti rinnovabili. Ma il Belgio, al contempo, non rinuncia a finanziare la ricerca su centrali nucleari più piccole, a cui destina 25 milioni all’anno.

Italia e nucleare

Infatti è il mini-nucleare di quarta generazione ad attirare l’attenzione anche del ministro italiano per la transizione ecologica del governo Draghi.

Il ministro Roberto Cingolani da mesi afferma che se l’Europa apre al nucleare, i mini-reattori non dovrebbero più essere un tabù.

Nucleare sì o no: gli esperti

A differenza delle rinnovabili, tuttavia, il nucleare non è inesauribile. Inoltre l’approvvigionamento di uranio pone problemi simili a quelli del gas russo (l’uranio si trova soprattutto nella Russia di Putin, non tanto per estrazione quanto per raffinazione, dunque è legato di nuovo al Paese da cui vogliamo affrancarci per motivi geopolitici). Inoltre, produce poca CO2, ma in compenso genera una quantità di scorie che richiedono grandissima accuratezza e competenza per lo stoccaggio in luoghi sicuri. Inoltre, l’Italia è un Paese sismico, tranne la Sardegna, con tutte le difficoltà che ciò comporta per realizzare centrali nucleari.

Abbiamo contattato diversi esperti, fisici ed esperti di geopolitica e dei principi di Agenda Onu 2030, per capire se passa dal ritorno al nucleare l’indipendenza energetica dell’Italia.

I referendum sul nucleare e l’indipendenza energetica

“In realtà dire che non è più tabù non è proprio esatto”, afferma Mauro Venier, laurea in Fisica, con un’esperienza pluridecennale nell’industria tra medicale, energia e Automotive, negli ultimi anni nel settore dell’auto elettrica: “Purtroppo il tabù c’è ancora, ma si sta sgretolando per vari motivi. Per prima cosa bisogna dire che a livello politico il tabù è stato autoimposto. Perché i referendum del 1987 e del 2011 – nonostante la maggioranza degli italiani lo creda, grazie alla continua e praticamente unilaterale campagna di stampa che ha imposto questa narrazione falsa – non hanno imposto l’uscita dal nucleare.

Infatti, “i referendum del 1987 si riferivano a questioni tecnico-finanziarie, ma il programma nucleare italiano avrebbe potuto continuare senza problemi, solo limitandosi ad applicare adattamenti – relativamente piccoli – alla gestione finanziaria. Il referendum 2011 tagliava invece una legge relativa agli investimenti industriali-energetici nelle parti relative al nucleare, rendendolo quindi non finanziabile tramite detta legge, ma non proibendolo (cosa del resto impossibile tramite referendum)”.

In questo scenario attuale “chi è sempre stato favorevole ovviamente sta rialzando la testa e chi nicchiava sta aprendo gli occhi sul fatto che in Italia il nucleare è tuttora possibile senza tradire alcun referendum e alcuna legge”, sottolinea Venier: “Serve ‘solo’ una legge che ne definisca le questioni tecniche, in particolare per quanto riguarda finanziamento e localizzazione delle centrali. Questione ovviamente delicata, visto lo stigma sociale che il nucleare ancora si porta dietro, ma risolvibile con la volontà politica di farlo.

Passando dalla politica alla scienza e alla tecnologia bisogna dire che negli anni ’80-’90 sembrava possibile rendere ‘verdi’ anche i combustibili fossili e c’era una fiducia quasi religiosa nelle possibilità future delle fonti rinnovabili. Ora, oltre al fatto che il cambiamento climatico ha accelerato e che i negazionisti dei climate change sono sempre meno credibili, sappiamo che i combustibili fossili possono essere sì fatti diventare meno ‘grigi’, ma veramente ‘verdi’ è impossibile e sappiamo anche che le fonti rinnovabili potranno sì arrivare un giorno a coprire il nostro fabbisogno ‘in media’, ma che avranno sempre bisogno di un back-up, vista la loro natura aleatoria.
Tutti fattori che portano a una riapertura verso il nucleare (Chicco Testa, per esempio, era uno dei promotori dei referendum del 1987 e ora è pro-nucleare)”.

Anche “in Germania un vero dibattito sul tema non c’è”, mette in guardia Venier che vive e lavora in Germania nell’Automotive elettrico: “Al massimo si propone solo un prolungamento della vita attiva delle ultime tre centrali rimaste funzionanti (dovrebbero spegnere per legge entro il 31 dicembre di quest’anno). Purtroppo qui si stanno sommando diverse questioni.

La prima è il ritorno al governo dei verdi. Per loro si può discutere di tutto, tranne che di nucleare. I verdi stessi hanno proposto di riaccendere alcune centrali a carbone ora spente, piuttosto che accettare anche solo di parlare del nucleare. Non dimentichiamo che (non so se la cosa in Italia sia nota) i verdi tedeschi non sono nati come ambientalisti in senso lato, ma monotematicamente solo come antinuclearisti. Per anni e anni hanno parlato solo di quello e di nient’altro. A parla di ambiente in senso lato non erano i verdi, non era la politica, ma associazioni tipo WWF e simili.

La seconda è che ci sono troppi interessi intrecciati sul gas russo. Basti pensare all’ex cancelliere Gerhard Schröder che ha ricoperto incarichi di vertice in Nord Stream, Gazprom ed altre aziende russe o legate alla Russia. E anche altri esponenti (attivi) della SPD sono legati più o meno indirettamente agli affari russi. Se si facesse ripartire il nucleare sarebbe più difficile continuare a opporsi all’embargo sul gas russo. Senza nucleare il gas russo è necessario… molti politici e industriali giocano su questo: l’embargo manderebbe all’aria l’economia tedesca (cosa non vera comunque, l’economia tedesca avrebbe sì serie difficoltà ma non andrebbe all’aria).

Aggiungiamoci che la questione nucleare in Germania è ancora molto ideologizzata (anche nell’opinione pubblica, non solo in politica), poco fattuale, e che la lobby del carbone è ancora forte e abbiamo il quadro completo.
Quindi, tempo proprio che sulla dismissione del nucleare non ci sarà una marcia indietro, a meno che a livello internazionale non scoppi qualcosa di ancora più grosso dell’invasione dell’Ucraina. Ovviamente, spero di essere cattivo profeta”, conclude Venier.

L’ora di un’Unione energetica UE

Invece, Matteo Villa, a capo del DataLab dell’ISPI (anche in tema di energia), esprime un diverso parere: “Per l’addio al gas russo il nucleare in Italia non è fattibile“.

“Si tratta di investimenti decennali e più, che nel breve periodo aumentano i costi. Le nuove centrali inoltre non convengono rispetto alle offerte di generazione alternative”, continua Villa: “Si può ovviamente pensare al nucleare a prescindere dalla contingenza russa. In un recente sondaggio di IPSOS commissionato proprio dall’ISPI, una risicata maggioranza (51%) accetta che l’Italia torni a investire nel nucleare, in crescita rispetto ai sondaggi degli ultimi anni che davano i favorevoli sempre intorno al 30-35%.
Non è facile capire quanto sarebbe conveniente investire nel nucleare italiano. Mancano tecnici, competenze, forse persino il combustibile. Sarebbe più semplice aggregarci ad altri Paesi: per esempio investendo nel nucleare francese, e potenziando le reti elettriche per l’importazione verso il Nord Italia. Se vogliamo davvero pensare a un’Unione energetica UE di lungo periodo, forse questa potrebbe essere la strategia migliore”.

Marco Cattaneo (Le Scienze): Il dibattito sul nucleare è aperto

“Sono tante le ragioni per cui il nucleare è ancora un tabù”, ci spiega Marco Cattaneo, fisico e direttore delle Scienze: “Non è un tabù per chi ne parla a livello scientifico o a livello politico (penso a Calenda e alle aperture di chi ne parla diffusamente), ma in realtà lo è a livello di opinione pubblica.

Le ragioni sono legate soprattutto al fatto che è stato un dibattito estremamente inquinato in Italia. Nel Paese ci sono i movimenti ambientalisti che vivono il nucleare come estremo pericolo, dimenticando il danno quotidiano dei combustibili fossili; inoltre, è difficile tornare in Italia alla fissione, anche se le sicurezze sono aumentate, ma non sono quelle che l’opinione pubblica e ancora di più i movimenti ambientalisti pretenderebbero; dall’altra parte, su Le Scienze scrissi già all’epoca che quello del 2011 non era un referendum fra il nucleare vs. rinnovabili, inoltre lo scontro continuo fra chi è pro e contro il nucleare non aiuta. Per quanto mi riguarda, il dibattito sul nucleare è aperto. Ma anche solo il dibattito sul deposito nazionale delle scorie vede immediatamente emergere uno scontro su questioni di principio senza mai giungere a una conclusione utile e razionale.

L’apertura al nucleare appare come qualcosa di puramente nominale, non vedo come si potrebbero oggi riaprire le centrali nucleari in un Paese che si è dimostrato fortissimamente anti-nuclearista. Inoltre è difficile da immaginare il ritorno al nucleare in un’Italia dove gli iter burocratici durano dieci anni. Anche la costruzione degli impianti francesi e finlandesi è stata lunga e costosa.

Se dobbiamo pensare di aprire la prima centrale fra vent’anni, tanto vale evitare di aprire il dibattito, dal momento che i primi obiettivi della decarbonizzazione sono fissati al 2030. Un Paese con una legislazione farraginosa e faticosa, è difficile pensare al nucleare in termini concreti: il dibattito è aperto, anche se è stato un dibattito estremamente inquinato, ma l’interesse del Paese attualmente è completare gli iter burocratici per le rinnovabili e fare bene la transizione energetica, liberandoci dai combustibili fossili in tempi accettabili”.

AsVis: Il nucleare non era l’opzione ottimale né prima né oggi

“Se dobbiamo adottare un’economia di pace”, esordisce Luigi di Marco, segretario AsVis (Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile), “si fa prima ad abbassare la temperatura degli uffici pubblici, alzando la temperatura dei condizionatori d’estate e poi abbassandola con il riscaldamento invernale. I regolamenti già ci sono, ma nessuno li rispetta. E non si sa come fare i controlli“.

“La stessa Agenzia internazionale dell’energia ha calcolato che basta abbassare di un grado il riscaldamento per risparmiare circa il 7% di gas”, continua Luigi di Marco: “Infatti è un’operazione a costo zero, anzi, che fa risparmiare e che possiamo adottare immediatamente. Lo avremmo già dovuto fare. Inoltre, queste sono scelte che costano meno di costruire centrali nucleari che saranno già obsolete nel giro di pochi anni. Le strade giuste sono:

  • efficienza energetica;
  • risparmio;
  • accelerare sulle rinnovabili“.

“Per sostituire il 40% del gas russo siamo già a buon punto”, conclude il coordinatore dell’AsVis, “bisogna solo aumentare il ricorso alle rinnovabili. Il 40% dell’elettricità è già generato con le rinnovabili. Ciò che serve è il consumo consapevole insieme all’accelerazione sulle energie green, perché il nucleare non è pronto all’uso.

Infine, durante il lockdown abbiamo fatto il coprifuoco delle persone, ora potremmo fare il coprifuoco energetico, tornando ad ammirare il cielo stellato, salvo adottare luci che si accendono quando passano le persone, per motivi di sicurezza”.

Conclusioni

Il problema dell’Italia è che la transizione energetica sembra finita in una palude. Le aste sulle energie rinnovabili da anni vanno deserte, perché mancano certezze sui tempi di realizzazione degli impianti. Infatti, una burocrazia farraginosa ed elefantiaca impedisce di installare fotovoltaico e blocca anche l’eolico, ipotecando il raggiungimento degli obiettivi 2030.

In Italia servono nuove modalità di autorizzazione, per bypassare la pletora di comitati Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato) che creano colli di bottiglia strutturali all’autorizzazione di nuove concessioni per produrre energia solare ed eolica.

In Italia, per ottenere un permesso per un parco eolico onshore servono in media cinque anni, mentre la direttiva dell’Ue sulle energie rinnovabili chiede agli Stati membri di accelerare le autorizzazioni per concedere nuovi progetti di energia eolica greenfield entro un biennio. Per i progetti di re-powering invece si dovrebbe superare l’anno.

L’International Energy Agency avverte che le rinnovabili, a causa della natura intermittente e della necessità di stoccaggio in batterie (costose), non sono così economiche come si dice. In questo scenario, in cui la Bundesbank ha per altro calcolato che l’addio al gas russo costerebbe 180 miliardi di euro alla sola Germania, il nucleare ritorna attraente. Soprattutto nella veste dei mini reattori.

Nessuno ancora sa se il nucleare sia la risposta giusta alla domanda di indipendenza energetica europea, ma forse il nucleare non è più un tabù. Il dibattito rimane aperto e a scegliere, questa volta, saranno gli scienziati competenti in materia e i ricercatori, per evitare che il “populismo energetico” lasci gli italiani alle prese con il terribile dilemma – posto sbrigativamente dal Presidente Draghi in una rapida risposta in conferenza stampa -, se preferiscono i condizionatori accesi o la pace. Un interrogativo che passa dalla differenziazione delle fonti, delle risorse investite e dalla ricerca e sviluppo tecnologico. Infatti il futuro è delle rinnovabili, ma, per arrivare al traguardo della decarbonizzazione, la transizione energetica passa da varie fasi. Forse anche dal nucleare, magari non in Italia, ma su scala europea.

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