I consigli

Perché si sono arenate le smart cities in Italia

Di fronte a una cultura politica e amministrativa deboli, la smart city continua ad identificarsi con le tecnologie emergenti. Di qui il flop. Ecco qualche idea per ripartire

Pubblicato il 24 Feb 2015

Michele Vianello

consulente e digital evangelist

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Premessa: un pò di cultura generale.

Nel 1999 un gruppo di visionari (in primis David Weinberger) ha pubblicato il Cluetrain Manifesto.

Quell’affermazione secondo la quale “I mercati sono conversazioni” ha cambiato il nostro approccio a Internet.

Qualche settimana fa Weinberger e soci sono ritornati sulla scena e hanno pubblicato “The new clues”.

La tesi numero 1 é già un programma “Internet non è fatto di cavi di rame, fibre di vetro, onde radio e nemmeno di condotti.”. A queste affermazioni ne sono seguite altre tra le quali “In Rete, siamo noi il “medium”. Siamo noi a trasportare i messaggi. Lo facciamo quando postiamo o retwittiamo, quando inviamo un link tramite email o lo postiamo su un social network.”.

Insomma l’essenza della smart city, almeno per come la ho raccontata in questi anni.

La crisi delle smart cities in salsa italiana.

In queste settimane alcuni osservatori si stanno accorgendo che quel filone di attività denominato “smart cities” sembra sia scomparso dall’agenda del nostro Paese.

La verità é che il filone smart cities la ha fatta da protagonista in Italia fino al momento in cui i bandi europei o del MIUR tenevano desta l’attenzione delle pubbliche amministrazioni locali.

Insomma, la smart city é stata concepita come un mezzo per garantire il finanziamento di alcune attività innovative nelle aree urbane.

Questa impostazione, debole culturalmente, ha fatto si che l’idea smart fosse assimilata a un qualche prodotto/progetto. Le politiche smart, ad esempio, non sono state associate all’evoluzione dei processi sociali e alle forme organizzative.

Il proponente dei progetti smart era quasi sempre un produttore di servizi e prodotti I.T., o una impresa interessata allo sviluppo delle politiche ambientali; la città -impersonale- si riduceva così ad essere uno scenario nel quale sperimentare soluzioni tecnologiche più o meno all’avanguardia.

Qui si é arenato tutto. Da qui bisogna ripartire.

Il mondo dei device e delle infrastrutture I.T. ha continuato, inevitabilmente, nel suo sviluppo.

Di fronte a una cultura politica e amministrativa deboli, la smart city continua ad identificarsi con le tecnologie emergenti.

C’é stato un momento in cui la smart city era la fibra ottica e il wifi, oggi la smart city é Internet of Everything (o Thing), cloud computing, open data versus big data, dashboard del Sindaco ecc.

Continua a ritornate l’antico errore. Non é un caso che il mio richiamo iniziale sia il richiamo al New Clues: l’essere umano é al centro di tutto e il centro di tutto.

Se vogliamo che una città (un’area urbana) intraprenda politiche smart, il cittadino, il city user (il genere umano) deve tornare ad assumere la centralità esprimendo e risolvendo -in modo smart- bisogni, pulsioni, esigenze.

Ciò non vuole dire che lo sviluppo dell’Information Technology in tutte le sue diverse declinazioni, debba uscire dal nostro raggio d’azione.

La finalità della nostra attività sarà quella dell’utilizzo consapevole dell’Information technology e una forte attenzione ai nuovi filoni di innovazione.

Ecco allora qualche consiglio rivolto soprattutto alle Pubbliche Amministrazioni.

1- realizzate le agende digitali locali. Concepitele come una straordinaria opportunità per coinvolgere i cittadini e sviluppare pratiche concertative ; utilizzate strumenti di gamification, potranno aiutarvi oltre ogni aspettativa.

Una Pubblica Amministrazione deve avere una vision e un piano per lo sviluppo della cultura e delle infrastrutture digitali.

2- una Pubblica Amministrazione deve porsi come obiettivo lo sviluppo dell’alfabetizzazione digitale di tutti i cittadini e contemporaneamente il cambiamento delle propria struttura organizzativa.

3- in questa attività le Pubbliche Amministrazioni devono partire “dall’aprire” sé stesse, a partire dalla ridefinizione della loro presenza sul web. Se vorranno che, parallelamente, gli stakeholders economici e i cittadini a loro volta assumano comportamenti sociali, le Pubbliche Amministrazioni dovranno “socializzare” sé stesse.

La cultura dell’egovernment non è più sufficiente.

4- nello sviluppo delle politiche degli open data bisogna porsi come obiettivo l’acquisizione dei dati che provengono dai gestori delle public utilities.

I sensori possono raccontare la nostra città sotto angolature mai viste. Questo racconto può aiutarci a sviluppare atteggiamenti maggiormente consapevoli da parte dei cittadini e delle Pubbliche Amministrazioni.

Ricordatevi però che i produttori di gadget tecnologici, a partire da quelli che riguardano la gestione delle nostre case (energia, acqua ecc.), le aziende li stanno progettando come ecosistemi di oggetti e di dati chiusi. La prossima sfida nel mondo di Internet of Things sarà tra sistemi chiusi e proprietari.

Le aree urbane potrebbero essere il campo di battaglia di questa guerra.

5- Ponetevi in modo non subalterno nei confronti dei fornitori di servizi e di prodotti I.T..

Datevi (voi amministrazioni) delle priorità, condividete con gli attori della vita cittadina le priorità. Definite obiettivi comuni.

A questo punto indirizzate voi, secondo le vostre esigenze, i fornitori di Information Technology.

In questo modo, rovesciando i parametri conosciuti, riportando al centro della vita delle città e delle politiche smart i cittadini, alfabetizzandoli digitalmente, potremo riprendere il “cammino smart”, garantendo l’organicità e la continuità nel tempo che in questi anni é mancata.

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