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Plasmare un futuro umano e sostenibile: città e modelli da seguire



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Tra cambiamenti tecnologici e sfide globali, emerge un nuovo modello di sviluppo: città come Amsterdam e Malaga dimostrano come innovazione, sostenibilità e partecipazione civica possano coesistere in ecosistemi urbani intelligenti e aperti

Pubblicato il 30 dic 2024

Roberto Panzarani

Docente di “Governo dell’Innovazione Tecnologica” presso il Dipartimento di Economia dell’Università Cattolica di Roma



Malaga (1)

La nostra è un’era caratterizzata dall’impotenza assoluta. Siamo reduci da una pandemia devastante e siamo circondati da due conflitti internazionali di grave entità: in Ucraina a seguito dell’invasione russa e in Israele a seguito della strage del 7 ottobre 2023 che ha dato inizio ad un conflitto rispetto al quale è difficile, ancora dopo un anno, fare qualsiasi previsione. Ma nel mondo ci sono comunque infiniti conflitti che stanno continuando e di cui si parla di meno, ma che ogni giorno causano morti e distruzione.

L’era della collaborazione: costruire il futuro insieme

Oltre a questo, abbiamo uno sviluppo esponenziale della tecnologia che sta cambiando il nostro modo di produrre, di lavorare, i nostri modelli di business e il nostro modo di consumare. Ci sentiamo soli e impotenti rispetto a un mondo che sta cambiando così velocemente e rispetto al quale non si trovano esempi di governance all’altezza di guidarci, di sostenerci, di prendersi cura di noi. Dobbiamo autorganizzarci, in ogni ambito, dobbiamo cercare di capire la great resignation e le skills del futuro, soft e green, l’intelligenza artificiale, come abiteremo il futuro tra bioedilizia ed ecovillaggi.

Indagare il rapporto tra scienza e impresa, le relazioni già in essere e quelle auspicabili tra ricerca e industria è una grande opportunità che non bisogna perdere per approfondire i grandi progressi che la scienza consente e consentirà nel prossimo futuro e per sensibilizzare la società riguardo l’importanza degli studi scientifici. Nel mondo ci sono tanti parchi tecnologici, luoghi cardine del rapporto tra scienza e impresa che facilitano e velocizzano i processi di innovazione, dove coesistono ricerca, formazione e territorio: Silicon Valley negli Stati Uniti, Sophia-Antipolis in Costa Azzurra, Porto Digital in Brasile, Adlershof in Germania, Kista Science City in Svezia, Cambridge Science Park in Inghilterra, Philips Research a Eindhoven in Olanda, campus Huawei di Dongguan in Cina, Kilometro Rosso e H-Farm in Italia. Che lo si voglia o no, abbiamo bisogno non solo di aziende e istituzioni più efficienti, ma anche di gruppi di persone in grado di lavorare insieme senza ego, senza attriti e disattivando quel pensiero rigido che erige muri incredibili davanti alla possibilità di progresso e al benessere.

La constatazione del fatto che le nostre società vivono attualmente un palese deficit di pensiero e di senso, deve condurci ad incentivare maggiormente lo sviluppo di scienza e tecnica. Abbiamo assistito, e continuiamo ad assistere perché in continua evoluzione, alla trasformazione del vecchio posto di lavoro, alla riformulazione dei contratti, al modellamento della società in comunità, a un diverso approccio all’apprendimento dove ciò che conta è il know how, l’esperienza, la conoscenza dei singoli all’interno dei team. In questa era della collaborazione le organizzazioni si aprono sempre di più a formare delle comunità per tendere ad un reciproco vantaggio, mantenendo la propria identità.

Rendere le città smart: l’esempio di Amsterdam

Si stima che nel 2050 il Pianeta sarà abitato da circa 9,7 miliardi di persone; quindi, non è solo una questione di migliore vivibilità ma proprio quella di sfruttare la transizione digitale per offrire una migliore efficienza energetica. Non a caso, a questo riguardo, la città di Amsterdam è tra le «mature cycling cities», quelle città, cioè, che sono frutto di decenni di programmazione urbana e culturale. Il programma di rendere Amsterdam una smart city è iniziato nel 2009 e trai i suoi obiettivi ambientali c’è quello di ridurre le emissioni di CO2 che saranno del 40% entro il 2025. Per farlo in città vengono installati sugli edifici contatori intelligenti basati su sensori che riducono la propria impronta di carbonio, consentendo agli abitanti di monitorare il proprio consumo energetico in tempo reale. Così come è importante usare centri di lavoro intelligenti e spazi di co-working per ridurre il pendolarismo.

Amsterdam non è solo innovation city da un punto di vista energetico, ma anche digitale e sociale, con i diversi programmi attuati per rendere la città eccellenza nel mondo. Come il manifesto partecipativo Tada, clarity about data, creato con le imprese locali, il mondo accademico e i residenti, per promuovere consapevolezza, inclusione, trasparenza e l’uso etico dei dati. La città si serve inoltre di applicazioni di intelligenza artificiale e di sistemi algoritmici per il controllo automatizzato dei parcheggi o per dare priorità alle segnalazioni dei cittadini, anche attraverso lo strumento OpenCity per agevolare ed incentivare azioni di partecipazione sociale-digitale.

«Sogno una città che abbia spazi a sufficienza per tutti, una città con aree verdi e aree dedicate ai bambini per giocare in sicurezza. Sogno una città con aria pulita da respirare, dove le persone vogliono vivere, lavorare, rilassarsi. Oggi molte persone si spostano in città lasciando a casa la propria auto, alcuni decidono di non comprarla: il nostro compito è quello di supportare questo trend. Il futuro delle nostre città così come la salute di tutti noi, sono troppo preziosi. Dobbiamo ridurre la dipendenza da automobile e diminuire gli spazi dedicati ai parcheggi: questa è una delle priorità del programma Amsterdam Car-lite» dice Sharon Dijksma, assessore al Traffico e trasporti, acqua e qualità dell’aria del comune di Amsterdam, intervistata da Forbes.

Ecosistemi locali e conoscenza a beneficio dei territori

Ci sono buoni esempi che dimostrano come le eccellenti capacità imprenditoriali italiane possano dare vita a ecosistemi locali e a un indotto della conoscenza che portino benefici sui territori. Si dovrebbe puntare sui parchi tecnologici, rafforzare la formazione che abbiamo invece tagliato con grande danno per le imprese, e puntare sulla creatività e la conoscenza. Abbiamo visto come, pur vivendo in un mondo globale, siamo stati allo stesso tempo divisi, perché ogni nazione, seppur interconnessa, ha trattato l’emergenza in maniera molto individuale e indipendente, non tenendo conto delle complessità e delle connessioni economiche-politiche mondiali.

A questo punto, continuare a chiedersi se subire o costruire il nuovo futuro è d’obbligo, per far sì che a indebolirsi non sia la leadership comunitaria e collettiva che, invece di mantenere attivo il dialogo e la cooperazione, cederebbe il passo a egoismi sempre più marcati, all’isolazionismo e in alcuni casi ad una deriva autoritaria. È tornata prepotentemente la dimensione locale, la realtà dei comuni e direi dei quartieri, perché la qualità della vita si misura dove abitiamo.

Il tema della sostenibilità s’impone su tutti, dando una declinazione locale anche a quella globalizzazione che aveva tentato di cancellare ogni differenza annegando ogni realtà in uno standard unico, una notte in cui “tutte le vacche sono nere” per dirla con una celebre frase di Hegel. In quei giorni si parlava molto, a ragione, del tema della sostenibilità ambientale in relazione al coronavirus.

Il passaggio verso un’economia sempre più circolare passa inevitabilmente attraverso i programmi regionali e delle singole città. È per questo che occorre andare a definire un linguaggio comune, un ecosistema integrato fra le regioni che le faccia dialogare in un’unica direzione e cioè quella della valorizzazione energetica del nostro territorio. È questa la globalizzazione intelligente che porta benefici in termini di benessere, passando dal sostenere consumi alimentari più consapevoli (la spesa a kilometro zero nel negozio sotto casa), al produrre e condividere energia, arrivando a creare delle comunità energetiche, dove il cittadino, le imprese locali, gli esperti di energia e le stesse istituzioni locali riprendono in mano la gestione del proprio modo di consumare e produrre energia. Le città del futuro saranno sempre più declinate alla bioedilizia e a un’ecologia della felicità contro la solitudine delle grandi città.

Malaga come modello di città innovativa

Già nel 2009, il Gruppo Enel aveva scelto questa città andalusa per realizzare progetti innovativi di smart cities con la prima sperimentazione europea di Smartcity che fu un apripista per altre realizzazioni operative, come i progetti di mobilità elettrica Green eMotion e Zem2All (Zero Emissions Mobility To All) e per forum internazionali, come Greencities.

Nel 2014, a cinque anni dall’avvio, il bilancio del progetto Smartcity Malaga è stato ricco di risultati: i consumi di elettricità sono diminuiti del 25% a parità di prestazioni; le emissioni si sono ridotte del 20%, pari a un taglio di 4.500 tonnellate di CO2 all’anno: utilizzando kit di efficienza tra le mura domestiche, il 42% dei clienti residenziali coinvolti ha ridotto i propri consumi di energia del 10%, mentre risparmi importanti hanno ottenuto i clienti industriali e del terziario grazie all’installazione di sistemi di efficienza energetica con controllo attivo. Particolarmente consistente è stato il risparmio di energia (-65%) nel campo dell’illuminazione pubblica grazie alla sostituzione di lampioni con nuovi modelli a LED. Nel complesso, la riduzione complessiva dei consumi energetici è stata del 25%. [fonte dati Enel]

E nel 2024 Malaga è orgogliosa di far parte del Progetto Internazionale delle Smart Cities, classificata al primo posto tra le prime cinque città intelligenti della Spagna. Gli obiettivi chiave di Malaga Smart City sono ridurre le emissioni di CO2, aumentare l’efficienza energetica e aumentare l’uso delle energie rinnovabili per diventare una città più sostenibile. Il progetto comprende soluzioni di efficienza energetica per la casa e ha beneficiato circa 12.000 famiglie dal suo lancio nel 2009.

L’equilibrio di questa città è proprio nel fatto che da un lato abbiamo la Malaga Valley, un ecosistema innovativo sulla costa meridionale della Spagna. I luoghi più importanti sono il Malaga TechPark (PTA), l’Università di Malaga (UMA), poi ci sono diversi progetti pilota di Smart City, l’investimento nella ricerca e sviluppo di ferrovie ad alta velocità, il Club Malaga Valley e la struttura di supporto per gli imprenditori e dall’altro la nuova iniziativa “Málaga WorkBay” per incentivare il lavoro a distanza in città, attrarre nuove imprese e dipendenti, ma anche per sostenere il suo ecosistema turistico e ricettivo.

Il progetto #eCityMálaga

Málaga TechPark, Comune di Malaga ed Endesa hanno presentato un nuovo progetto pilota per la città. #eCityMálaga è un modello di città intelligente che mira a promuovere l’innovazione nel campo delle energie rinnovabili, dei trasporti sostenibili, dell’edilizia efficiente e delle infrastrutture digitali. Il progetto pionieristico è già in fase di sperimentazione nel Málaga TechPark (PTA) e sarà esteso al resto della città nel 2027. Di conseguenza, il Málaga TechPark diventerà un punto di riferimento per il modello di “economia circolare”, in cui l’uso delle risorse, la produzione di rifiuti e il consumo di energia sono ridotti al minimo riducendo i cicli dei materiali.

In particolare, nel parco tecnologico verranno promosse le energie rinnovabili attraverso parcheggi alimentati a energia solare. Tutti gli edifici del parco saranno inoltre dotati di impianti fotovoltaici, che dovrebbero coprire almeno il 25% del fabbisogno del parco. Inoltre, la superficie alberata sarà triplicata.

In questo modo, il progetto #eCityMalaga, nei prossimi cinque anni, mirerà ad affrontare le sfide poste dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e dal Piano d’azione per l’economia circolare dell’Unione Europea. L’obiettivo è anticipare di oltre due decenni gli obiettivi climatici ed energetici fissati dalle Nazioni Unite per il 2050, afferma Rafael Sánchez.

Turespaña, l’Instituto de Turismo de España deputato alla promozione della Spagna, riferisce al riguardo: “Se alla combinazione mare-cultura aggiungiamo un’atmosfera vivace, le abbondanti tapas servite nei bar, i quartieri all’ultima moda come quello di Soho, zone come quella del porto che si sono trasformate per offrire modernità e monumenti con secoli di storia, il risultato è una città appassionante che chiunque avrebbe voglia di scoprire perché se tutti dicono che Malaga è stupenda, non sarà un caso.”

Sviluppo tecnologico, turistico e culturale

Ed è così che sulle spiagge nel Polo Nacional de Contenidos Digitales si possono trovare, oltre ai turisti, dipendenti di aziende creative che lavorano da un luogo sicuramente appetibile a molti. Questo sviluppo tecnologico, turistico e culturale ha permesso anche lo sviluppo di nuove start up interessate a questi settori.

Málaga WorkBay spiega che “Il capitale umano qualificato è proprio una delle caratteristiche di spicco che consentono lo sviluppo di questo ecosistema all’Università di Malaga, che ospita alcune delle più prestigiose scuole di ingegneria in Spagna, si affiancano centri di formazione pubblici e privati che ogni anno formano centinaia di giovani professionisti nei linguaggi di programmazione più avanzati. Promalaga, società controllata dal Comune di Malaga, offre ai giovani con progetti imprenditoriali una rete di dodici centri di incubazione di imprese dotati dell’infrastruttura tecnologica più avanzata, che consente alle aziende ospitate di godere di una notevole flessibilità nell’organizzare in modo efficiente i loro team di telelavoro”.

La certificazione di Digital Nomad Destination

Málaga è diventata la prima città in Spagna a ricevere la certificazione di Digital Nomad Destination da AENOR. I nomadi digitali, un gruppo cresciuto notevolmente negli ultimi anni, sono individui che utilizzano le tecnologie informatiche per lavorare da remoto. Cercano destinazioni ideali in cui vivere grazie al clima, alla cultura, alla qualità della vita, nonché a buone infrastrutture tecnologiche, collegamenti con altre città, strutture legali e sicurezza – sia fisica che sanitaria – tra gli altri aspetti. I nomadi digitali guidano la crescita delle destinazioni che scelgono, grazie alla loro capacità di consumo, conoscenze e competenze tecniche.

Málaga, il cui Piano Strategico 2030 include i nomadi digitali come sfida, è stato il primo territorio a completare con successo il processo di audit di AENOR per ottenere la certificazione di Destinazione Nomade Digitale. Si prevede che entro il 2035 almeno 1 miliardo di persone in tutto il mondo lavoreranno in centri abitati lontani da dove hanno sede le loro aziende. I cambiamenti ambientali sono tra le attenzioni a cui più dobbiamo volgere lo sguardo e dobbiamo farlo anche come singoli cittadini, adottando delle routine quotidiane rispettose della natura e dell’ecosistema, consentendo una vita migliore. Da un lato sono tante le azioni che i governi delle diverse nazioni stanno attuando, dall’altro anche in altri settori come in quello del design, delle architetture abitative e delle costruzioni edilizie.

Il continuo paragone con vite che si pensa essere “apparentemente” più interessanti delle nostre è ciò che determina il peggioramento del proprio stato d’animo. Non apparire dunque, ma essere sostenibili nelle relazioni, mettendoci la presenza, il proprio tempo, le proprie idee ci rende più umani, ci fa essere più empatici e sicuramente meno soli.

La nostra responsabilità sociale ed ambientale

Il coronavirus ha modificato profondamente le nostre vite, ma questa esperienza ci ha lasciato in eredità l’assoluta certezza di competenze nuove e specifiche che dovremo sviluppare nei prossimi anni e di cui l’emergenza vissuta ne ha visto la grande carenza. Come ha detto Mohammed Yunus “non torniamo al mondo di prima” abbiamo un’occasione incredibile per costruire un nuovo mondo, il mondo di prima non andava bene anche senza coronavirus.

Competenze ambientali, big data, health organization, capacità di decisione, ascolto attivo, empatia queste ultime sono le cosiddette soft skills che dovremo assolutamente sviluppare nel futuro prossimo con molta attenzione se vorremo gestire con efficacia le organizzazioni. Un dato di fatto incontrovertibile è che la ridefinizione delle priorità devono essere sia individuali che collettive e, soprattutto, Il futuro è di chi saprà adottare uno stile di leadership diffusa.

Ripensare il turismo

Uno dei settori più danneggiati dalla pandemia è stato quello del turismo. Ripensare il turismo in termini innovativi diventa dunque un imperativo per il futuro, se in più riusciremo a renderlo più sostenibile avremo utilizzato in termini positivi questa tragica esperienza. Da allora di cambiamenti in ambito turistico ce ne sono stati tanti, tutti rivolti a quel significato di continuità e durevolezza del termine sostenibile che non è solo declinato in senso ambientale, ma anche culturale, sociale e relazionale. In questa fase di transizione del post pandemia, la sfida sarà utilizzare nel migliore modo possibile il capitale intellettuale delle nostre organizzazioni.

La pandemia, l’emergenza climatica, le guerre improvvise, uno stile di vita più attento al benessere psicofisico, il caro bollette sono solo alcuni dei motivi che stanno rendendo ancora più concreto quel fenomeno del lavoro ibrido che era nell’aria già da tempo. Il lavoro ibrido altro non è che la possibilità, ragionata e non improvvisata, che le organizzazioni offrono ai loro dipendenti di lavorare in parte in remoto e in parte in sede.

Assistiamo a un equilibrio, ancora forse troppo instabile, tra lo smart working e il work-life balance, molti durante la pandemia hanno iniziato a dare valore alla qualità della vita privata in relazione a quella lavorativa, ora si deve fare i conti con una nuova variabile la Great Resignation, dimissioni di massa in italiano, o sarebbe più giusto tradurlo in grande rassegnazione che sta portando ad un numero significativo di dimissioni, il più delle volte in salti nel buio, perché non tutte le persone che si licenziano hanno già un nuovo posto di lavoro ad attenderli.

L’invasione russa in Ucraina ha delineato anche la necessità per l’Europa di puntare ad una propria indipendenza energetica e, di conseguenza, tutto questo accelera nuove forme di produzione di energia: in questo contesto le comunità energetiche possono giocare un ruolo molto importante. Come tutti sappiamo, l’economia ha già da tempo divorato la politica e la finanza, pertanto la miglior risposta a tutto questo è condividere esperienze pensando in modo nuovo, ma soprattutto agendo in modo nuovo e, come ci ricorda il Presidente Lincoln, emancipandosi rispetto al passato.

Ampiamente diffuse in Nord Europa, le comunità energetiche rinnovabili iniziano a prendere piede anche in Italia e questo modello innovativo di gestione dell’energia permetterà la creazione di sistemi virtuosi di produzione, autoconsumo e condivisione dell’energia. Le guerre che continuano a imperversare ci dicono che l’evoluzione decisamente non ha sradicato questa violenza ancestrale che accompagna la storia dell’umanità. La pace in sostanza non è un sentimento acquisito dall’umanità. Così come nell’accezione pasoliniana, il progresso non fa parte ancora della nostra cultura, ma la comprensione umana arriva appena a disegnare uno sviluppo economico spesso ricco delle brutalità di un capitalismo per molti versi dominato ancora da animal spirit.

La pace va costruita. Il messaggio della costruzione della pace deve diventare strategico, come quello sul climate change o sulla povertà o sul lavoro. In sostanza non c’è niente di scontato, un mondo sostenibile va edificato declinando tutti questi aspetti che, come stiamo vedendo, si legano l’uno all’altro. Non è possibile affrontare nessun tipo di cambiamento sociale, culturale, governativo, economico, tecnologico se non si creano quel clima e quella identità che danno significato alle iniziative che mettiamo in atto. Sicuramente non potremo esimerci dal costruire un modello solidale che eviti la conflittualità aberrante che stiamo vivendo in questo momento.

Ridisegnare il futuro: un’esigenza imprescindibile

Walter Isaacson, nella sua monumentale biografia uscita sulla figura di Elon Musk, nel parlare del design della Tesla cita una riflessione importante di Steve Jobs sul significato di design: “Nel vocabolario dei più, design significa apparenza. Per me non ci potrebbe essere niente di più lontano dal vero significato di design. Il design è l’anima che si trova nel cuore di un oggetto creato dall’uomo e che gradualmente si estrinseca in piani esteriori”.

Sempre nello stesso passaggio Isaacson cita una considerazione di John Ive, l’allora designer della Apple, che aveva inserito una maniglia incassata nel simpatico iMac color caramella.

“Questa maniglia non era molto funzionale perché l’iMac era un computer desktop non certo destinato a essere trasportato in giro. Ma la maniglia trasmetteva un segnale di affabilità – diceva Ive – Se ci metto una maniglia, la relazione diventa possibile, rendo il computer avvicinabile, intuitivo. Ti do il permesso di toccarlo”.

Cosa vuol dire dunque disegnare il nostro futuro possibilmente “affabile”? Partendo dalla bella definizione di Jobs è proprio questo, è la nostra anima che si estrinseca in quello che produciamo, può essere un oggetto, ma può essere un progetto che per essere “affabile” deve però contenere la nostra anima. Come diceva Henri Bergson: “L’umanità ha bisogno di un supplemento d’anima perché la stessa diventi più umana”, ed è proprio questo supplemento che abbiamo scoperto in tutti i casi illustrati nel nostro arcipelago, il futuro è dunque nelle nostre mani di “designer”, non facciamolo scappare e mettiamoci l’anima.

Bibliografia

Panzarani R., Arcipelago Innovazione, Palinsesto, Roma, 2024

https://www.centodieci.it/innovability/amsterdam-innovation-city/

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