Il PNRR costituisce un’occasione unica per realizzare un’evoluzione strategica e operativa delle città che preveda:
- progettazione degli edifici con una visione olistica della riduzione delle emissioni di CO2 e di riduzione del consumo energetico.
- Visione integrata della città come sistema di sistemi (idraulico, energetico, logistico), il cui funzionamento richiede la capacità di coordinare comportamenti e strategie molto diversificate delle varie tipologie di attori.
- La promozione costante di iniziative culturali di sviluppo delle competenze, al fine di superare il digital divide e al tempo stesso stimolare la consapevolezza delle responsabilità della specie umana nel provocare danni irreversibili al capitale naturale.
- L’introduzione di incentivi materiali e immateriali per comportamenti consoni rispetto ai macro-obiettivi globali.
- Periodiche analisi sistematiche dei rischi e creazione di feedback con le attività precedentemente indicate.
Città, epidemie e pandemie: sistemi urbani nel mirino
Iniziamo con l’analizzare il perché un’evoluzione di questo tipo è ormai improcrastinabile e quali sono i molti e importanti motivi per cui le città o, più opportunamente, i sistemi urbani sono al centro dell’attenzione di Centri di ricerca e studiosi a livello internazionale.
La città dopo il covid 19: più sostenibile grazie al digitale
Uno di essi è certamente il fatto che nel 2018 il 55% della popolazione mondiale abita nelle città e le proiezioni al 2050 dell’ONU indicano una ulteriore crescita fino al 68%, mentre tra il 70% e l’80% dell’output economico globale è prodotto in aree urbane (UN DESA, 2018), che sono al tempo stesso responsabili del 70% delle emissioni di gas serra (Interesting Engineering, 2020).
Aspetto apparentemente ineliminabile delle città è il loro essere spazio di incubazione e diffusione di epidemie a pandemie, che erano fenomeni meno virulenti quando la popolazione umana era molto minore e soprattutto distribuita: “Without huge numbers of people living within disease-transmission distance of one another, viruses and bacteria don’t have as much to do” (Wired, 2021: 4. Si veda anche il saggio di Cohn, 2012).
L’evento pandemico in atto è oggi unito ai problemi causati dal cambiamento climatico, che si esprime in fenomeni atmosferici estremi, in aumento per frequenza, intensità e durata (IPCC, 2012). La dinamica dei processi biofisici sulla Terra dipende essenzialmente dalle modalità di svolgimento delle attività umane, cioè dai meccanismi e modelli di produzione e consumo: “Human influence has warmed the climate at a rate that is unprecedented in at least the last 2000 years” (IPCC, 2021: 4-5). A questo proposito, una sistematica analisi dei fattori e delle dinamiche tecnico-scientifiche e socioeconomiche, svolta nel volume di McNeil e J. R., Engelke P. (2014, La Grande Accelerazione, Einaudi), mette in luce una serie impressionante di determinanti della situazione senza precedenti: esiste un divario tra degradazione della biosfera e la sua capacità auto-rigeneratrice, definito anche “social-ecological impact” e “impronta socio-economica” (IRENA, 2019). Si tratta di un problema che non si può risolvere solo con una più efficace imposizione fiscale e nuove regolamentazioni statuali, pur necessarie. Il problema richiede che si diffonda la consapevolezza della portata globale dei comportamenti umani individuali e collettivi, sia a livello nazionale che internazionale, sia nelle comunità locali che nelle scelte comportamentali, mediante strategie e azioni di breve e medio-lungo periodo coerenti con l’obiettivo di fondo, comune a tutta l’umanità.
Sulla base di queste considerazioni generali è chiaro che le città, concepite come sistemi urbani, costituiscono un ambito cruciale per dare una svolta alla prevalente traiettoria di conflitto tra dinamica economico-produttiva e compatibilità con la persistenza del cosiddetto “capitale naturale”, cioè lo stock di risorse fondamentali per preservare l’equilibrio dinamico del Pianeta Terra, durato milioni di anni e che negli due secoli l’umanità ha iniziato ad alterare in modo sempre più intenso (McNeil ed Engelke, 2014).
Il concetto di sistema urbano
Cerchiamo allora di approfondire il concetto di sistema urbano, andando al di là di una semplice locuzione ripetitiva, spesso adoperata per indicare in modo generico le agglomerazioni abitative. La precisione concettuale è necessaria perché da essa dipende l’individuazione delle strategie più idonee per ridurre l’impatto social-ecologico. Per molti decenni è prevalsa, ed è tuttora prevalente, una visione riduzionista della città, dalla cui evoluzione vengono estrapolati singoli fattori propulsivi o elementi di attrito e degrado, per poi focalizzare su di essi interventi mirati, ma di portata strategica limitata, in quanto non tengono conto delle interdipendenze che innervano le dinamiche urbane e fanno sì che le città siano l’esito di processi aggrovigliati e mutevoli nel corso del tempo (Barthelemy, 2016). Ciò avviene perché la creazione e lo sviluppo urbano sono generati da interazioni senza sosta tra reti di flussi di natura materiale (cibo, acqua, energia, beni di consumo e voluttuari) e innumerevoli strutture relazionali, esplicite e in background, di natura socioeconomica (Barthelemy et al, 2021). La dinamica delle città, quindi, è la risultante di interconnessioni stratificate e variabili tra attività umane, processi biofisici, fattori istituzionali e mutamenti culturali.
Per i Paesi come l’Italia, poi, vanno aggiunte le sedimentazioni culturali e materiali, accumulatesi nel corso della storia di importanti civiltà, della cui evoluzione esse sono al tempo stesso residuo statico e fattore attrattivo di ulteriori flussi umani, materiali e immateriali, a seconda del rilievo oggettivo assunto nel passato dell’umanità.
Da tutto questo si evince che le città vanno analizzate non sulla base di un approccio riduzionista, bensì con l’apparato concettuale e gli strumenti operativi della scienza della complessità, come proposto da Barthelemy e un nutrito gruppo di studiosi dell’evoluzione urbana (Barthelemy, et al., 2021).
La città come sistema complesso
La città è infatti un sistema complesso, al cui interno si sviluppano continuamente processi adattivi e innovativi, che coesistono e non di rado confliggono con comportamenti più restii al cambiamento per varie ragioni: culturali, emozionali, politiche, economico-sociali.
La differenza di vedute e i contrasti di interesse sono influenzati e al tempo stesso influenzano sia i processi statici che quelli più dinamici. L’analisi dell’evoluzione urbana deve quindi porre al centro le interazioni “annidate” (nested) tra le varie componenti e i molteplici processi/attività, che danno consistenza ai sistemi urbani. In sintesi, le interazioni sistemiche stratificate (multilayer) costituiscono l’insieme dei meccanismi propulsori da analizzare. In assenza di questa assunzione di fondo, il paesaggio evolutivo delle città resta un arcano imprevedibile e soprattutto induce a visioni parziali e spesso devianti, da cui scaturiscono strategie unilaterali, a loro volta foriere di scelte controproducenti, tali da aggravare e non ridurre i problemi.
Questa rappresentazione consente di mettere l’accento su un elemento decisivo: la città non può essere vista come una macchina, modello ricorrente in un’era di tendenziale generalizzata applicazione dell’Intelligenza Artificiale per il governo di processi generatori di elevate quantità di informazioni. Se la città è un sistema complesso, denso di interrelazioni tra processi oggettivi e soggettivi di varia natura, si devono affrontare rilevanti problemi di management, non riducibili a sistemi di algoritmi più o meno complessi (Mattern, 2021). Un modo apparentemente efficace di ovviare al riduzionismo è quello di ritenere che lo straordinario sviluppo tecnico-scientifico renda ora disponibili strumenti di information processing talmente potenti da poter acquisire e “dominare” la rete multi-layer di flussi interconnessi: big data, data analytics, machine learning e intelligenza artificiale nelle sue varie articolazioni sarebbero in grado di rappresentare per via digitale la città, laddove la pervasività di dispositivi computazionali (sensori, attuatori, 4G e 5G, e così via) renderebbe concreta la possibilità di conoscere real time cosa accade, come evolvono i processi, le modalità di interazione tra i vari attori.
In questo modo le decisioni sarebbero oggettive basate su grandi quantità di dati (data-driven), prese a fondamento di decisioni che altrimenti esorbiterebbero dalle capacità decisionali degli umani.
La trasformazione urbana “from internet up”,
È la metafora della città come computer, cioè tale da poter essere descritta come un continuum di sequenze dei flussi informativi da coordinare mediate processi decisionali deduttivi, ancorata ad una massa induttiva di elaborata in modo meccanico, quindi secondo modalità bottom-up arricchite. Modelli computazionali alternativi possono essere creati formulando ipotesi differenti su parametri di processo e/o di strategie decisionali.
Siamo di fronte all’dea di creare città “from the internet up” (Doctoroff, 2016: 3): “What would a city look like if you started from scratch in the internet era — if you built a city “from the internet up?”. Doctoroff ha fondato, insieme a Larry Page e Alphabet (Google) Sidewalks Labs per rivoluzionare le città e accelerare le dinamiche innovative. Non è il solo tentativo di trasformazione urbana “from internet up”, dato che l’esperienza si è diffusa in 16 città americane e modelli similari, sul piano dell’approccio, sono realizzati nell’Estremo e nel Medio Oriente da IBM, Cisco, Siemens. Nei casi in questione, tutti ancora in divenire, prevale indubbiamente l’archetipo descritto da McFedries (2014, citato da Mattern, 2017): “The city is a computer, the streetscape is the interface, you are the cursor, and your smartphone is the input device”. Il lato “user” è complementare a quello top-down, che “It looks at urban systems such as transit, garbage, and water and wonders whether the city could be more efficient and better organized if these systems were ‘smart” (ivi).
Anche la Commissione europea ha introdotto un concetto consono a questo tipo di approccio, ovvero quello di Local Digital Twins (LDTs), così definito: “Local Digital Twins (LDTs) are a virtual representation of the cityʼs or communityʼs physical assets, processes and systems that are connected to all the data related to them and the surrounding environment. They use AI algorithms, data analytics and machine learning to create digital simulation models that can be updated and changed as their physical equivalents change. Real time, near real-time and historical data can be used in various combinations in order to provide the necessary capabilities for data analytics (descriptive, prescriptive, predictive), simulations and what-if scenarios”.
Digital twin per la transizione verde, il nodo dei dati: problemi e possibili soluzioni
L’idea di fondo consiste nel tentativo di superare le tradizionali visioni istituzionali top-down (silos) con l’impiego sistematico delle nuove tecnologie, che consentono di raccogliere tutti i tipi di informazioni secondo modalità tali da far delineare scenari, tramite sistemi di IA, per poi adottare linee strategiche e operative. Ovviamente l’uso dei nuovi strumenti è condivisibile, ma l’impostazione generale resta quella standard, cioè l’assunzione che si debba perseguire l’obiettivo di ottimizzare i processi, coerentemente con una visione sistemica di natura statica, nonostante l’attenzione posta sui flussi di informazione derivata dal dispiegarsi dei processi fisici. L’ideale perseguito è in sostanza l’ottimizzazione sociale, derivante dall’ottimizzazione di tanti processi specifici, nella convinzione che dalla somma di questi ultimi non può che essere l’ottimo globale.
Per contro, la città vista come insieme di strutture interattive sociali, materiali e immateriali, interconnesse a vari livelli, richiede che i nuovi strumenti siano inseriti nel paradigma di scienza della complessità, che mette al centro l’analisi delle interazioni “locali” a molteplice scala, le quali possono produrre effetti globali non prevedibili dall’analisi specifica di singoli input informativi, generati dai vari sottosistemi del sistema urbano. Ciò implica la consapevolezza di doversi misurare con un sistema complesso dinamico, dove più che la ricerca dell’ottimizzazione come sommatoria di componenti ottimizzate, occorre adottare uno schema strategico adattativo, alla luce dei risultati imprevedibili delle interazioni tra processi sottostanti.
La tecnologia di per sé non può risolvere i problemi, specie quelli odierni, se è svincolata considerazioni approfondite delle molteplici dinamiche, che si sovrappongono e intersecano, con effetti che non possono essere estrapolati da volumi di dati concernenti il passato recente o meno, anche se ovviamente possono essere utili.
Cerchiamo di chiarire con una serie di esempi, trattati in relazione alle sfide globali (riduzione delle emissioni di C02 cambiamento climatico, evento pandemico, e così via) per poi introdurre suggerimenti strategici e operativi.
La copertura arborea delle aree urbane
Non vi sono dubbi che l’incremento della copertura arborea delle aree urbane abbia consistenti effetti benefici (Urban Canopy, Trees are essential to healthy communities, accesso 7-9-2021):
- riduzione dell’inquinamento dell’aria attraverso l’assorbimento di C02, diossido di diazoto, anidride solforosa (smog).
- Mitigazione dello stress da caldo eccessivo.
- Assorbimento di sostanze inquinanti durante accentuati fenomeni temporaleschi).
- Miglioramento della salute pubblica, sia dal punto di fisico che mentale.
- Riduzione del rumore e dell’inquinamento nelle strade ad intenso traffico.
- Miglioramento dei test scolastici di apprendimento, come dimostrano Kuo et al. (2021).
Questi aspetti, messi a confronto con il quadro sintetico dei fattori che causano il riscaldamento globale e incidono sia sulla formazione di aree urbane a temperatura anomale (cosiddette isole di calore) che sul peggioramento della composizione chimica dell’aria che respiriamo, non lasciano dubbi (Fig. 1).
Fig. 1
Fonte: Kumar, 2020
La temperatura elevata a livello urbano, l’inquinamento dell’aria e il forte aumento del consumo di energia (aria condizionata) producono effetti dannosi per la salute ed estremamente diversificati, tra i quali in primis la diffusione di malattie per via aerea o attraverso l’acqua. La sottrazione di aree alla vegetazione, poi, incrementa le zone di osmosi tra esseri viventi selvatici e agglomerazioni umane, con la conseguenza di favorire l’esplosone di epidemie e pandemie.
Il benessere della popolazione urbana è quindi messo in pericolo, ma i rischi non si eliminano con rimedi una volta per tutti, come il piantare alberi. Occorre adottare un approccio olistico e multidisciplinare (Kumar et al., 2020) per comprendere e valutare i rischi che incombono su una città alla luce delle molteplici interdipendenze, prima indicate.
Spunti di riflessione dalla “forest question”
Traiamo a questo proposito alcuni spunti di riflessione dalla “forest question” (Popkin, 2019). Stanno emergendo linee di ricerca che, grazie a una visione sistemica e interdisciplinare, mettono in luce aspetti contrastanti di grande interesse per la questione climatica e la salute umana. Gli accordi di Parigi del 2015 hanno stabilito impegni nazionali, a dire il vero non proprio rispettati, in merito al piantare foreste allo scopo di contenere il riscaldamento del clima. Al plauso di gran parte degli scienziati di varie discipline non si sono uniti alcuni studiosi, che hanno argomentato come l’impatto delle foreste non consista solo dei processi prima indicati e le implicazioni sono più incerte e differenti da quelle celebrate. Gli alberi, infatti, oltre ad essere depositi di CO2 per periodi di tempo indefinito, sono al tempo stesso “in costante conversazione con l’aria, con cui scambiano carbonio, acqua, luce e una stupefacente serie di sostanze chimiche, che interagiscono con il clima” (Popkin, 2019: 281) e favoriscono il riscaldamento del Pianeta. Il dibattito tra vari scienziati del clima è ancora molto vivace e le conclusioni, momentanee, sono controverse, ma alcuni punti fermi possono essere per il momento estratti: 1) molto è da scoprire, se si pensa che alcuni studi sperimentali, esposti in Popkin (2019), stimano per diverse tipologie di foreste emissioni di metano e di ossido di diazoto in quantità inattese, tendenzialmente superiori alla capacità di catturare il carbonio. 2) Nei disegni di forestazione, anche e forse soprattutto in ambito urbano, bisogna considerare attentamente la tipologia di terreno e le interazioni con le piante, che possono emettere sostanze interattive in modalità dannose per l’ambiente. 3) La scienza del suolo appare sempre più importante per fornire contributi innovativi ai fini del contenimento climatico, come indica un recente contributo dello stesso Popkin (2021).
La rigenerazione urbana
Se dal tema della forestazione, in ambito urbano oppure su terreni oggetto di deforestazione, si passa alla rigenerazione urbana, sia per quanto riguarda si terreni da bonificare (brownfield) che le costruzioni esistenti, la rilevanza di apporti dalla scienza della complessità è immediata. L’ analisi della strategia di deep retrofit energetico dell’Empire State Building dimostra che nel periodo 2010-2020 le emissioni di CO2 sono ridotte del 40%, grazie a una notevole serie di espedienti e innovazioni tecniche e manageriali. Si pensi al fatto che anche gli ascensori producono energia in fase di discesa.
Per arricchire ulteriormente il quadro, si pensi alla quantità di soluzioni tecnologiche disponibili, descritte sul Bollettino degli Scienziati atomici da John Carey (Why Bill Gates and John Kerry are wrong about climate change, 5-5-2021), che ha documentato l’esistenza di un’ampia gamma di tecnologie, immediatamente utilizzabili per affrontare le sfide globali. Si pensi che esiste anche una vernice bianca ultra-riflessiva per il contenimento climatico e il conseguente risparmio energetico degli edifici. Il Rapporto dell’IRENA (2019) illustra, inoltre, un’ampia serie di soluzioni tecniche disponibili, ma la cui attuazione a nostro avviso richiede un approccio come quello proposto da Barthelemy et al. (2021).
Bibliografia
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