sostenibilità

Quanto inquinano le aziende del digitale? Ecco perché è difficile avere dati certi

Gli investitori sempre più attenti a politiche realmente green delle aziende. E dunque, anche se la rendicontazione delle emissioni legate a tutto ciò che un’impresa acquista (servizi esternalizzati compresi) è facoltativa essa può costituire un fattore di attrazione. Non tutte big del tech però rivelano questi dati

Pubblicato il 03 Mar 2023

Giovanna Sissa

professore a contratto del Corso "Dimensione interdisciplinare dell'Impatto ambientale dell’ ICT", presso la scuola di Dottorato STIET (Scienze e Tecnologie per l’Ingegneria Elettronica e delle Telecomunicazioni) dell’Università di Genova

Photo by Riccardo Annandale on Unsplash

Che ruolo svolgono davvero le aziende tecnologiche digitali verso una transizione a basse emissioni di carbonio? Per cercare una risposta di tipo quantitativo un valido contributo è fornito dal report Greening digital companies: Monitoring emissions and climate commitments, realizzato da International Telecommunication Union (ITU) [1] e World Benchmarking Alliance (WBA).

Impegno per l’ambiente, le aziende tech ci ingannano? Come capirlo dal rapporto ESG

Pubblicato nel secondo semestre 2022, il rapporto copre le emissioni e il consumo di energia delle 150 aziende valutate dalla World Benchmarking Alliance per il Digital Inclusion Benchmark (DIB). Le società “DIB150” comprendono le più grandi società tecnologiche del mondo che rappresentano la maggior parte dei ricavi delle società del settore ICT. Includono i primi sei produttori di personal computer, i primi tre fornitori di smartphone, i primi cinque fornitori di apparecchiature di rete, gli operatori di telecomunicazioni che rappresentano l’85% degli abbonamenti mobili mondiali e il 71% degli abbonamenti a banda larga fissa, i due principali operatori di data center multi-tenant e tutti i principali fornitori di servizi cloud. Fra le 150 società ben 41 sono nella Fortune Global 500

Il report fornisce dati e informazioni sulle performance ambientali, restituendo un quadro aggiornato sulle emissioni operative e sull’uso dell’elettricità del settore ICT.

Mentre in passato fattori come i bassi costi erano fondamentali per attirare investimenti, le politiche ambientali sono sempre più influenti e dunque le rendicontazioni non finanziarie (che includono anche le performance ambientali) assumono una importanza fondamentale come fattore attrattivo proprio per gli investitori.

L’impatto delle aziende digitali sul cambiamento climatico

Il rapporto evidenzia il notevole impatto che le aziende digitali hanno su vari aspetti dei cambiamenti climatici. Le emissioni operative di GHGs (Green House Gases) delle società prese in esame sono salite a 239 milioni di tonnellate nel 2020 – equivalenti allo 0,75 per cento del totale mondiale. Questo dato, fra l’altro, sembra ben accordarsi con le stime a macro livello che indicano nella forchetta 2%-4% le emissioni di tutto l’ICT sul totale delle emissioni globali.

Il settore digitale si basa fortemente sull’elettricità consumando 425 TWh, ossia 1,6 per cento del totale mondiale. Gli operatori di telecomunicazione sono responsabili di oltre il 60% di queste emissioni operative.

Troviamo dati sugli acquisti di energia rinnovabile: l’elenco dei più grandi acquirenti aziendali di elettricità rinnovabile è dominato dalle società digitali nel 2020. Nel rapporto vi sono informazioni sugli investimenti nella rimozione del carbonio o sulle obbligazioni verdi emesse dalle aziende.

Il rapporto contiene dati e tabelle, riferiti al 2020. Fra gli allegati compaiono l’Inventory delle emissioni di gas serra di ogni società, l’uso di energia, i target ambientali.

Il report fornisce poi gli estremi dei report di sostenibilità di ciascuna azienda, consentendo dunque di farsi un’idea diretta dello stato dell’arte nella rendicontazione non finanziaria sugli obiettivi ambientali.

Questa imponente mole di dati ed informazioni a cui attingere consente dunque approfondimenti sia di merito che di metodo.

Il GHG Protocol per rendicontare le emissioni di carbonio

Sedici aziende digitali riferiscono di essere Carbon Neutral già entro il 2020 (quattordici con sede in Europa o USA) riducendo le emissioni il più possibile e utilizzando offset per le emissioni inevitabili. Fra queste sedici aziende tutte, tranne due, hanno dati climatici verificati da terze parti. Molte altre società si rivolgono al 2030 per il traguardo ambientale.

ESG investing fundamentals

ESG investing fundamentals

Guarda questo video su YouTube

Ci sono differenze evidenti tra le aziende digitali: alcuni si impegnano a eliminare l’intera impronta di carbonio prima del 2030, mentre altri, in particolare alcuni dei più grandi emettitori, si muovono lentamente, con la neutralità operativa del carbonio mirata per il 2050 o anche più tardi. L’esistenza di un divario geografico è evidente: le aziende che guidano le prestazioni ambientali sono in Nord America o Europa.

Ricordiamo che per rendicontare le emissioni di carbonio il GHG Protocol si articola in tre “scope”:

  • scope 1 conteggia le emissioni da fonti controllate direttamente dall’impresa;
  • scope 2 aggiunge le emissioni associate alla generazione di energia elettrica e delle altre fonti energetiche impiegate; nello scope 2 rientra l’acquisto di energia elettrica
  • scope 3 somma ai precedenti le emissioni da altre attività, che sono conseguenza indiretta delle attività dell’impresa. In altre parole, nello scope 3 rientra tutto ciò che un’impresa acquista (servizi esternalizzati compresi).

Nel 2017 è stato pubblicata la Guida per il settore ICT basata sul Protocollo GHG[2], organizzata in cinque capitoli: Introduction and general principles, Telecommunications Network Services, Desktop Managed Services, Cloud and Data Center Services, Hardware, and Software.

Come le aziende riportano davvero le proprie emissioni secondo il protocollo GHG

Se leggendo il rapporto sul piano quantitativo possiamo levarci dunque alcune curiosità, ad esempio sui grandi big del digitale, sul piano metodologico è assai importante perché fornisce informazioni su come le aziende riportano davvero le proprie emissioni secondo il protocollo GHG.

Emissioni non controllate dall’azienda

Scope 2 si riferisce alle emissioni non controllate dall’azienda, come ad esempio quelle fornite dalle utility company. Il principale fattore di emissioni in questo ambito infatti è l’elettricità utilizzata per alimentare uffici, fabbriche, infrastrutture di telecomunicazione e data center. Nel 2015 sono state pubblicate nuove linee guida per le emissioni Scope 2, in modo da tenere conto della differenza tra il tipo di acquisto delle società elettriche (market-based) e ciò che effettivamente ricevono sulla rete (location-based). La revisione dello Scope 2 è uno sforzo per incoraggiare una maggiore domanda di energia rinnovabile. Secondo il protocollo GHG le aziende dovrebbero divulgare sia le emissioni market-based che quelle location-based. Nel rapporto si evidenzia che la maggior parte delle aziende indicano entrambi i tipi di emissioni in Scope 2.

Emissioni conseguenza indiretta delle attività dell’impresa

Scope 3 si riferisce alle emissioni – upstream (a monte) e downstream (a valle) – che sono conseguenza indiretta delle attività dell’impresa. Per fare un esempio nel settore digitale: potrebbe comprendere le emissioni dei fornitori che una società di hardware esternalizza per esigenze di produzione. Oppure le emissioni derivanti dall’uso dei dispositivi (come computer e smartphone) venduti da società digitali.

Le attività in scope 3 sono organizzate in 15 categorie[3] di cui le prime otto sono upstream (a monte) le altre downstream (a valle).

Description and boundaries of scope 3 categories

Immagine che contiene tavolo Descrizione generata automaticamente

Source: World Resources Institute and World Business Council for Sustainable Development. 2011. Corporate Value Chain

(Scope 3) Accounting and Reporting Standard. https://ghgprotocol.org/standards/scope-3-standard

Si noti che mentre le emissioni scope 3 fanno parte dell’impronta complessiva di un’azienda, non fanno parte delle emissioni operative dell’azienda, ma sono invece attribuibili a un’altra azienda. Si evita così il double counting.

What Can I Do About Climate Change? | Science pills

What Can I Do About Climate Change? | Science pills

Guarda questo video su YouTube

Le criticità

Si evidenziano qui alcune criticità: non tutte le aziende riportano le due metriche di scope 2 (market-based e location-based) e solo poche compilano tutte le categorie pertinenti di emissioni GHG, upstream e downstream, in scope3.

Le opacità maggiori nella rendicontazione delle emissioni da parte delle aziende del digitale riguardano lo scope 3. Le aziende tecnologiche digitali non calcolano uniformemente le emissioni upstream (a monte) e downstream (a valle), il che rende difficile stimare l’impronta di carbonio totale dell’azienda. Alcune descrizioni sono opache e si discostano dalla terminologia del protocollo GHG.

L’uso di fonti rinnovabili

La rapidità crescente del cambiamento climatico e la necessità di limitare le emissioni di GHG in ogni settore pongono all’attenzione il tema della rendicontazione non finanziaria.

È inevitabile che man mano che il mondo diventa più digitalizzato, un processo accelerato dalla pandemia di COVID-19, il consumo di elettricità tra le aziende digitali aumenterà.

L’efficienza energetica può svolgere un ruolo nella riduzione del consumo di elettricità, con dispositivi più efficienti dal punto di vista energetico e con il miglioramento dell’efficacia nell’uso dell’energia (PUE) dei data center. Tuttavia, queste efficienze possono tenere il passo solo parzialmente con la crescita dell’elettricità innescata dalla digitalizzazione. Il ruolo delle rinnovabili è cruciale e le società digitali sono in prima fila per quanto riguarda l’uso di fonti rinnovabili; fra di esse ci sette dei dieci maggiori acquirenti aziendali di energia rinnovabile nel 2020. Tredici delle 150 società esaminate hanno acquistato tutta l’elettricità da fonti rinnovabili.

Mancano tuttavia trasparenza sull’offset e nella verifica della neutralità del carbonio. L’industria ICT dovrebbe anche concordare su cosa significhi il termine “Carbon Neutral” e assicurarsi di fare riferimento alle definizioni standardizzate. Dovrebbero concordare sul ruolo e la efficacia dell’offset e nella rimozione del carbonio.

Serve una migliore verifica dei dati

Mentre un certo numero di aziende fornisce la prova che i dati sul clima sono stati rivisti da una parte esterna, pochissimi hanno dichiarazioni che attestano un ragionevole livello di affidabilità basato su standard di verifica. Sebbene la contabilità dei gas serra sia complessa e dispendiosa in termini di tempo, le aziende digitali hanno la responsabilità e le risorse per un compito così importante. È necessaria anche una migliore verifica, per rafforzare la fiducia nei dati comunicati.

Dovrebbero essere intensificati gli sforzi per migliorare i dati dello scope 3 upstream e downstream.

Le emissioni del cloud

Il protocollo GHG per il settore ICT nel “Chapter 4: Guide for assessing GHG emissions of Cloud Computing and Data Center Services” fornisce tutte le informazioni per il calcolo delle emissioni di GHG da parte di chi vende servizi in cloud. In un mondo sempre di più basato su servizi acquisiti su cloud pubblico ci sono però aspetti imprevisti nella rendicontazione delle emissioni da parte di una azienda cliente di tali servizi.

La organizzazione del protocollo GHG prevede infatti che i servizi esternalizzati, ad esempio dall’azienda A alla azienda B, rientrino nello scope 3 della azienda A e nello scope 2 della azienda B. Quando un servizio IT viene messo in cloud è considerato esternalizzato e dunque le emissioni di un servizio dell’azienda A messo in cloud presso la azienda B rientrano in scope 3 per la azienda A, mentre finiscono in scope 2 per la azienda B che fornisce il servizio in cloud.

Come prima accennato infatti le emissioni scope 3 sono parte dell’impronta complessiva di un’azienda ma non fanno parte delle emissioni operative dell’azienda ma sono invece attribuibili a un’altra azienda.

La rendicontazione per gli impatti ambientali del cloud

Pensiamo ora alla rendicontazione per gli impatti ambientali – ed in particolare delle emissioni- e ricordiamo che per le società tenute alla rendicontazione non finanziaria è obbligatorio rendicontare delle emissioni in scope 1 e in scope 2, mentre per le emissioni in scope 3 è facoltativa. Riferendoci all’esempio precedente: le emissioni dei servizi acquisiti in cloud pubblico saranno obbligatoriamente rendicontate dalla azienda B, in quanto rientrano nel suo scope 2, ma non saranno obbligatoriamente rendicontate dalla azienda A in quanto rientrano nel suo scope 3.

Questo meccanismo di fatto “scarica” sui cloud vendor tutte le emissioni e rende, in termini formali, meno responsabile il cliente degli effetti ambientali dei servizi che ha acquisito in cloud. Se un’organizzazione desidera mitigare le proprie emissioni, l’unica opzione è fare affidamento sul fatto che sia il fornitore del cloud a farlo per essa.

In realtà però, se guardiamo alla dinamica in termini sostanziali e non formali, il fruitore di servizi in cloud (siano essi IaaS o PaaS o SaaS), non sarà completamente fuori dalla partita: potrà anche organizzare i suoi prodotti basati su servizi acquisiti in cloud, in modo che siano più efficienti e meno impattanti sull’ambiente. Potrà usare soluzioni software migliori, e così via.

Gli investitori sempre più attenti a politiche realmente green delle aziende. E dunque, anche se la rendicontazione delle emissioni in scope 3 è facoltativa (ed abbiamo sopra spiegato il perché) essa può costituire un fattore di attrazione per gli investitori, che sono alla ricerca di serie prestazioni ambientali nelle aziende e non solo green washing. In altre parole: anche se oneroso e complesso, per una azienda ICT che sia davvero ambientalmente sostenibile una rendicontazione facoltativa delle emissioni in scope 3 può essere importante per comunicare il proprio impegno su una base quantitativa e non solo a parole.

Un effetto inaspettato dello spostamento in cloud è che sebbene i grandi fornitori di cloud siano tra i maggiori acquirenti di elettricità rinnovabile, i loro clienti non hanno accesso ai dati necessari per rendicontare le proprie emissioni. Il problema sta nella mancanza di trasparenza verso i clienti. Nessuno dei dati richiesti per poter calcolare le emissioni di gas serra (GHG) di un’organizzazione è disponibile una volta che si spostano sul cloud. Secondo David Mytton (4) sul Journal of Cloud Computing, il metodo del Greenhouse Gas Protocol per la valutazione delle emissioni IT non è sempre adatto a tutti i soggetti coinvolti nell’ambito del cloud pubblico.

E sono le emissioni GHG nello scope 3 il punto critico della rendicontazione. Il report “Greening digital companies: Monitoring emissions and climate commitments” non consente di superare questo scoglio ma fornisce un panorama ampio e dettagliato, anche su base quantitativa, con il quale è possibile una miglior messa a fuoco del complesso rapporto fra universo digitale ed emissioni di carbonio.

Note

1) “Greening digital companies: Monitoring emissions and climate commitments

2) The Greenhouse Gas Protocol: ICT Sector Guidance built on the GHG Protocol Product Life Cycle Accounting and Reporting Standard (Global eSustainability Initiative, 2017)

3) Scope 3 calculation guidance

4) Mytton, D. Assessing the suitability of the Greenhouse Gas Protocol for calculation of emissions from public cloud computing workloads. J Cloud Comp 9, 45 (2020).

  1. ITU è l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite nel campo delle tecnologie di telecomunicazioni, informazioni e comunicazioni (ICT). È coinvolto in diverse attività sui cambiamenti climatici tra cui lo sviluppo di standard internazionali. WBA è un’organizzazione senza scopo di lucro che valuta e classifica le prestazioni delle aziende più influenti del mondo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (Sustainable Development Goals).
  2. The Greenhouse Gas Protocol: ICT Sector Guidance built on the GHG Protocol Product Life Cycle Accounting and Reporting Standard (Global eSustainability Initiative, 2017)
  3. https://ghgprotocol.org/sites/default/files/standards/Scope3_Calculation_Guidance_0.pdf Pg.7-10

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

EU Stories - La coesione innova l'Italia

Tutti
Iniziative
Analisi
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Analisi
La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
Iniziative
Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
Finanziamenti
Da BEI e Banca Sella 200 milioni di euro per sostenere l’innovazione di PMI e Mid-cap italiane
Analisi
Politiche di coesione Ue, il bilancio: cosa ci dice la relazione 2024
Politiche UE
Innovazione locale con i fondi di coesione: progetti di successo in Italia

Articoli correlati

Articolo 1 di 4