Le ondate di calore registratesi nel Belpaese, a partire dal mese di maggio, pongono un serio problema che è divenuto vieppiù rilevante, di giorno in giorno, anche a livello globale soprattutto nelle grandi città e nei paesi economicamente meno sviluppati. Se si allarga lo sguardo, dalla penisola a una prospettiva più ampia, si vede bene come ambedue questi problemi interessano tutto il globo terracqueo.
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L’effetto “isola di calore” nelle città
Tali ondate di calore vengono definite come un periodo di clima insolitamente caldo che in genere dura due o più giorni con temperature che sono al di sopra delle medie storiche per una determinata area. A ciò si aggiunga che le città sono sempre più surriscaldate in quanto connotate dall’effetto “isola di calore” (urban heat island, UHI). Il fenomeno UHI è causato sostanzialmente dall’alterazione antropica dell’ambiente naturale, quale lo sviluppo di edifici e superfici impermeabili, i quali determinano una maggiore capacità termica che intrappola più energia e radiazione con conseguente aumento della temperatura. L’effetto congiunto dei due fenomeni potrebbe portare una media città a riscaldarsi fino a più 4°C entro il 2100. Anche con un 1,5°C di riscaldamento, si potrebbero avere 2,3 miliardi di persone vulnerabili a forti ondate di calore. Ciò riguarderà, ancor di più, le grandi città dei paesi più poveri. Tale situazione non si può non tradurre, di conseguenza, che in un aumento della domanda di energia per i sistemi di raffreddamento degli ambienti.
In un prossimo rapporto intitolato “Chilling Prospects. Tracking Sustainable Cooling for All 2022”, di cui sono uscite già alcune anticipazioni online, viene messo in evidenza come, in questo stesso anno, in 54 paesi e regioni di 22 paesi con elevate temperature, 1,2 miliardi di poveri, abitanti nei centri urbani e nelle zone rurali, sono ad alto rischio perché non hanno accesso a tecnologie adeguate di raffreddamento. Ciò rappresenta un marcato incremento di oltre 28 milioni di persone, rispetto al 2021, e ciò è principalmente dovuto all’aumento del numero dei poveri abitanti nei centri urbani. In generale, la popolazione a reddito medio-basso, esposta a un rischio medio di elevate temperature è passata da 2,37 miliardi nel 2021 a 2,47 miliardi nel 2022, con un aumento di 109,3 milioni tra i 54 paesi considerati ad alto impatto.
La Cool Coalition per un raffreddamento sostenibile del clima
Per affrontare tale tematica globale si è formata, a seguito del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UN Environment Programme, UNEP), la Cool Coalition la quale ha il fine di accelerare un programma di raffreddamento sostenibile del clima, attraverso uno sforzo unificato di governi, imprese, mondo scientifico e società civile. La coalizione adotta un approccio intersettoriale al raffreddamento, che comprende il cambiamento dei comportamenti, la progettazione degli edifici, l’efficienza energetica, le energie rinnovabili e lo stoccaggio dell’energia termica.
Questo perché, il raffreddamento è fondamentale per la nostra alimentazione, la salute, la prosperità e l’ambiente. Lo stesso processo di digitalizzazione, in fase di avanzata realizzazione nonché l’essere connessi in rete, si basa sul raffreddamento dei data center. Tale catena del raffreddamento può essere fornita in modo passivo (attraverso la progettazione di edifici specificamente progettati) o attivo (attraverso l’aria condizionata e la refrigerazione) o una combinazione di entrambi. Le applicazioni tecniche spaziano dal raffreddamento degli edifici e dei veicoli, al raffreddamento dei processi industriali, alle catene del freddo per alimenti e medicinali. Del resto, un raffreddamento accessibile, efficiente e rispettoso del clima per tutti è alla base di tutti gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDG).
Nel giugno 2022 la Coal Coalition ha pubblicato un rapporto dal quale si evince che, oggigiorno, quasi 3,5 miliardi di persone devono affrontare numerosi ostacoli per avere accesso a tecnologie di raffreddamento accessibili ed efficienti. A solo titolo esemplificativo, dei 2,8 miliardi di persone che vivono nelle zone più calde del mondo – più esposte a temperature potenzialmente letali per almeno 20 giorni all’anno – solo l’8% ha accesso al raffreddamento degli ambienti in cui vive.
Una guida per aiutare le città del mondo ad affrontare il riscaldamento
L’UNEP ha pubblicato a novembre scorso una guida dettagliata per aiutare le città del mondo ad affrontare il riscaldamento, che si verifica nelle aree urbane a un tasso doppio rispetto alla media globale. Nella guida viene descritto come le città si stiano riscaldando rapidamente a causa dell’effetto UHI causata da una combinazione di ridotta copertura verde, dalle proprietà termiche dei materiali comunemente usati nelle superfici urbane e dal calore antropico disperso a seguito delle attività umane.
I principali risultati desumibili da tale guida sono i seguenti:
- La domanda di raffreddamento degli ambienti è in aumento e si prevede che essi triplicheranno dal 2016 al 2050 poiché milioni di famiglie, nei paesi in via di sviluppo, acquisteranno condizionatori d’aria nei prossimi decenni;
- Gli impatti del calore urbano non sono distribuiti uniformemente in quanto i quartieri abitati prevalentemente da persone a basso reddito sono di solito quelli più vulnerabili alle ondate di calore e ciò si somma al più difficoltoso accesso a tecnologie di raffreddamento;
- I vantaggi del raffreddamento urbano sostenibile sono di vasta portata, tra cui il miglioramento della salute, la riduzione del fabbisogno energetico, la riduzione delle emissioni e i vantaggi economici correlati a tutti questi aspetti;
- Le strategie di raffreddamento possono essere ottimizzate grazie all’attuale tecnologia per operare in modo più efficiente, vale a dire ridurre il calore su scala urbana ottimizzando le esigenze di raffreddamento degli ambienti. A questo riguardo, tra gli esempi che si possono qui riportare vi sono le pompe di calore geotermiche (ground-source heat pumps, GSHP) e i nuovi condizionatori ad alta efficienza energetica.
Le pompe di calore geotermiche GSHP e la riduzione dei gas serra
Le pompe di calore geotermiche GSHP sono un tipo di sistema che utilizza il terreno come fonte o pozzo di calore per il riscaldamento e il raffreddamento: estraggono il calore dal terreno per riscaldare gli edifici in inverno e pompano nuovamente il calore dagli ambienti nel terreno per raffreddarli in estate. In estate, il fluido vettore viene trasportato freddo all’interno degli edifici, dove assorbe il calore dallo spazio interno e si riscalda, mentre l’ambiente si raffredda. Il contrario avviene durante gli inverni, quando lo stesso espelle calore nella stanza mentre si raffredda. Per scambiare calore con il terreno, si utilizzano tipicamente degli scambiatori costituiti da tubi di polietilene ad alta densità con un fluido vettore (tipicamente una soluzione di acqua e antigelo) che circola all’interno degli stessi. Le GSHP risultano essere da quattro a cinque volte più efficienti dei sistemi a combustibili fossili e l’energia non è intermittente come nel caso dell’eolico e del solare. Esse possono essere configurate in reti che collegano gli edifici di una strada, spostando così l’energia su richiesta o accumulandola quando non è necessaria. Avanzamenti tecnici hanno, nel corso degli anni, migliorato le prestazioni delle GSHP quali, a solo titolo esemplificativo, il test di risposta termica utilizzato per determinare le caratteristiche termiche del suolo e il liquido vettore utilizzato con una migliore conducibilità termica.
Uno studio di fattibilità del Massachusetts ha stimato che la conversione dei quartieri attualmente serviti dal gas naturale alle pompe GSHP in rete potrebbe ridurre le emissioni di gas serra prodotte dal riscaldamento, dal raffreddamento e dall’acqua calda sanitaria di oltre il 90% entro il 2050.
Condizionatori ad elevata efficienza energetica
Per quel che riguarda i condizionatori ad elevata efficienza energetica si stanno effettuando sperimentazioni per individuare nuove tecnologie di raffreddamento sostenibili. Tra essi, sistemi ibridi di compressione del vapore con nuovi tipi di refrigeranti, altamente efficienti, mediante i quali è previsto un impatto climatico inferiore dell’80%, rispetto ai modelli tipici attualmente in commercio. L’opzione tecnologica sarà cruciale in quanto, se non si dovesse riuscire a intervenire in tempo, gli attuali condizionatori ad aria, da soli, potrebbero aggiungere circa 132 gigatoni di emissioni cumulative di biossido di carbonio, avvicinandosi alle emissioni cumulative previste per gli Stati Uniti entro il 2050. Ma i nuovi modelli di condizionatori d’aria, qualora adottati in maniera massiva, avrebbero il potenziale per mitigare il riscaldamento globale, entro il 2100, fino a mezzo grado Celsius colmando, al contempo, il critico e ineguale divario di accesso al raffreddamento degli ambienti.
Conclusioni
In conclusione, è ampiamente riconosciuto che le città occupano una posizione chiave nella transizione al cambiamento climatico, oltre a quello tecnologico. Secondo le stime attuali, le città producono circa due terzi delle emissioni totali di gas serra, a livello globale, e rappresentano una percentuale simile del consumo totale di energia. Allo stesso tempo, è nelle città che si verificheranno i maggiori impatti dei cambiamenti climatici e si prevede che all’interno delle stesse si creeranno i danni più gravi.
Inoltre, l’urbanizzazione futura non farà che accrescere l’importanza delle città nell’ambito della transizione ecologica. Esiste, dunque, un enorme potenziale di risposte tecnologiche efficaci ai cambiamenti climatici nelle città ma questo richiede una serie di profondi cambiamenti istituzionali, comportamentali, tecnologici e fisici. In questo senso, vi è sempre più la consapevolezza che le città attuali sono divenute l’arena strategica dove la governance urbana, la transizione digitale e quella ecologica sono necessariamente intrecciate.
Transizione ecologica e digitale: ecco perché devono viaggiare di pari passo
È pur vero, d’altronde, che tale consapevolezza, al momento attuale, appare non sempre pienamente attuata e molti programmi urbani si configurano come azioni progettuali di implementazione di aree verdi, non sempre strategicamente orientate. Se intese solo in questo senso limitato, senza contestualizzarle in un quadro più ampio e tecnologicamente orientato, le stesse aree verdi non potranno che avere un basso impatto a livello di transizione ecologica e, pertanto, essere poco utili alla mitigazione delle elevate temperature e dell’effetto UHI: è stato calcolato, difatti, da alcuni ricercatori, che per ottenere un calo di 1°C delle temperature urbane sarebbe necessaria una copertura arborea di almeno il 16%. È indubbio, infine, che per raggiungere tali ingenti risultati un ruolo chiave sarà svolto dalla classe politica, dalle risorse disponibili, da un forte sviluppo delle tecnologie verdi sostenibili e da una coesa partnership pubblico-privato, solo per dire il meno.