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Reattori nucleari di nuova generazione: le sfide da affrontare subito



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Metodi alternativi per l’alimentazione, il raffreddamento e la costruzione dei reattori nucleari potrebbero contribuire all’immissione in rete di una maggiore quantità di energia. La tecnologia è sempre più avanzata, ma in Italia bisognerebbe partire da una rigorosa sistemazione del quadro regolatorio

Pubblicato il 14 feb 2024

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info



La prossima generazione di reattori nucleari

Le centrali nucleari sono enormi, tecnicamente complicate e la tecnologia nucleare avanzata sta facendo passi avanti grazie a reattori nucleari di nuova generazione.

In realtà il nucleare avanzato è una categoria confusa che comprende fondamentalmente tutto ciò che è diverso dai reattori commerciali attualmente in funzione, poiché questi seguono tutti la stessa formula generale. Ma i reattori alternativi per le future centrali nucleari stanno ridefinendo l’odierna tecnologia nucleare avanzata.

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“In tutto questo fiorire di start-up bisognerebbe chiarire i contorni ed anche distinguere il grano dall’oglio: non tutte le start up sono di ugual valore”, commenta Giuseppe Zollino, Professore di Tecnica ed Economia dell’Energia all’Università di Padova e Responsabile Energia e Ambiente di Azione: “Un reattore nucleare produce calore ed energia elettrica contemporaneamente. Grosso modo 35-40% elettricità 60-65% calore. Sinora lo schema è stato: installare tanta potenza (2, 3, 4 sino a 6 reattori da circa 1 GW ciascuno) in un sito con licensing nucleare, generare energia elettrica da immettere in rete e recuperare, ove possibile un po’ del calore, per usi industriali o tele-riscaldamento. Di norma, tuttavia, la maggior parte del calore viene smaltita in mare, in fiume o tramite torre evaporativa”.

La tecnologia è sempre più avanzata, ma in Italia bisognerebbe partire da una rigorosa sistemazione del quadro regolatorio nucleare. Ecco a che punto siamo con i reattori alternativi e cosa bisogna fare in Italia.

Le centrali nucleari

Le centrali nucleari generano elettricità attraverso reazioni di fissione, in cui gli atomi si dividono, rilasciando energia sotto forma di calore. I neutroni rilasciati durante queste scissioni si scontrano con altri atomi e li dividono a loro volta, creando una reazione a catena.

Una centrale nucleare è una centrale termoelettrica, cioè funziona grazie a una turbina a vapore che traina un generatore elettrico. Proprio come in una centrale a carbone, con la differenza che il “bruciatore”, che riscalda l’acqua sino a farla diventare vapore, è sostituito da un reattore nucleare, e al posto del carbone si impiega “combustibile” nucleare, cioè uranio. Il calore liberato dalle reazioni nucleari riscalda un fluido refrigerante nel quale il “nocciolo” del reattore è immerso; il fluido caldo viene poi inviato a un generatore di vapore, che a sua volta alimenta la turbina. Per regolare costantemente l’energia termica prodotta dalle reazioni nucleari, sono presenti diversi sistemi di controllo, che servono anche ad interrompere la reazione, all’occorrenza.

I reattori odierni

La stragrande maggioranza dei reattori oggi in esercizio e in costruzione nel mondo sono “termici”, cioè il neutroni prodotti dalle reazioni di fissione vengono rallentati (termalizzati) per agevolare l’innesco di ulteriori reazioni di fissione. In questo caso, il combustibile è uranio arricchito nell’isotopo uranio-235, impacchettato in pellet di ceramica, caricato in tubi metallici e disposto nel nocciolo del reattore. Il fluido refrigerante è acqua in pressione che svolge anche il ruolo di “moderatore” (cioè di “rallentatore” dei neutroni); l’acqua in pressione circola poi in circuito esterno e cede il suo calore al generatore di vapore e quindi al condensatore a valle della turbina, rientrando nel nocciolo a temperatura più bassa. In questo modo la temperatura delle barre di uranio è costantemente sotto controllo.

Ma per tutta una serie di motivi, le aziende stanno iniziando a lavorare per apportare modifiche a questa formula collaudata. Negli Stati Uniti ci sono circa 70 aziende che stanno lavorando su progetti di reattori nucleari avanzati, e sei o sette sono abbastanza avanti da poter lavorare con le autorità di regolamentazione, afferma Jessica Lovering, cofondatrice e co-direttrice esecutiva del Good Energy Collective, un’organizzazione di ricerca politica che sostiene l’uso dell’energia nucleare.

“I reattori di piccola taglia, da poche decine di MW, che varie società (alcune con
consolidata esperienza, altre di recente costituzione) propongono, sono quasi tutti pensati per ‘aumentare la sicurezza’, sino ad arrivare alla ‘sicurezza intrinseca’ (grazie a vari accorgimenti, dall’ingegneria del combustibile alle architetture dei sistemi di
raffreddamento, alle modalità di controllo della reattività eccetera) e per questo coltivano l’ambizione che vengano allentati, sino addirittura alla soppressione, i pesanti vincoli derivanti dal licensing nucleare“, spiega il Professor Zollino.

Lo scenario italiano fra realtà e tassonomia verde europea

“Si arriva così a proporre la realizzazione di piccoli quanto sicurissimi reattori di taglia tra e 10 e 50 MW, da realizzarsi non solo ad opera di consumatori energivori (come già è possibile, attraverso lo schema della virtual power station, adottato per esempio in
Finlandia) ma anche nei pressi, se non proprio nel sito dello stabilimento che poi userà il calore e l’elettricità prodotta”.

“Di recente ho assistito alla presentazione di uno di questi prototipi, durante la quale si ipotizzava che il piccolo reattore, di dimensione compatibile con un container, venisse ‘interrato in un pozzetto’ realizzato nel sito per esempio di una cartiera o di un’industria chimica, per alimentarla in autoproduzione, come oggi si fa per esempio con i motori a gas. Insomma si arriva al paradosso, che qualche consigliere ha infelicemente suggerito al ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, dell”Italia tornerà al nucleare, ma senza più centrali‘.

“Se dovesse essere davvero così, cioè se in Italia dovessimo avere solo reattori di piccola o piccolissima taglia, l’immediata conseguenza è che invece di avere, per esempio, 7 centrali ciascuna con da 3-4 unità da 1-1,2 GW (tanto servirebbe all’Italia de-carbonizzata, al 2050-2060 o giù di lì), scelte con criteri di localizzazione accurati, seguendo standard e procedure dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, i circa 30 GW sarebbero suddivisi tra centinaia di piccoli reattori nucleari (pur sicurissimi) disseminati in prossimità degli utilizzatori. Uno scenario che faccio enorme fatica a prefigurarmi in Europa, alla luce della rigida normativa comunitaria Euratom vigente, ma giudico francamente del tutto irrealistico in Italia“, mette in guardia Responsabile Energia e Ambiente di Azione.

Le posizioni anti-nucleare sono minoritarie

“Arrivo a pensare – ma questa è davvero una mia supposizione, priva di riscontri – che lo scenario sopra descritto non sia stato ben rappresentato al Ministro, che altrimenti avrebbe immediatamente realizzato che non aiuta a superare, anzi corre il rischio di ravvivare le immotivate italiche paure verso il nucleare, diffuse da anni di tenace propaganda anti-nucleare che oggi – ce lo dicono tutti i sondaggi – sono ormai saldamente minoritarie. E non parlo del nucleare del futuro, ma di quello che oggi si costruisce nel mondo, che è poi quello inserito nella tassonomia verde europea“, aggiunge Giuseppe Zollino.

Le ipotesi nazionali

Invece, “un reattore di taglia dell’ordine 2-300 MW, qualunque sia la tipologia (termici di 3^ generazione, fertilizzanti di 4^, raffreddati ad acqua, a sali fusi o al piombo eccetera) ha senso – quando sarà disponibile – anche in prospettiva centrale elettrica. La grande utility potrebbe optare per la costruzione di unità da circa 1000 MW, con un investimento importante in un colpo solo (diciamo sui 5-6 miliardi di euro); mentre, per esempio, e sottolineo per esempio, le municipalizzate potrebbero preferire la costruzione in sequenza di 3 o 4 unità da 250-300 MW, che potrebbero alla fine costare in totale un po’ di più, ma l’investimento non sarebbe tutto insieme, bensì dilazionato nel tempo”, continua il Professor Zollino.

“Insomma, se si rimane nella logica del sito nucleare, sottoposto a procedura di ‘nuclear licensing’, un reattore da 2-300 MW, per di più modulare, e dunque prodotto in gran parte in fabbrica e quindi di più rapido assemblaggio in situ, ha senso anche in Europa e in Italia. I mini-reattori piazzati un po’ ovunque li vedo molto lontani e francamente assai improbabili in Europa”, mette in guardia il Responsabile Energia e Ambiente di Azione.

Tuttavia “questa discussione tecnica su nuove generazioni, taglie più o meno grandi, fissione versus fusione eccetera, per quanto interessantissima per gli addetti ai lavori, non deve distogliere l’attenzione dalla cosa più urgente in Italia“.

La necessità di sistemare il quadro regolatorio italiano

Infatti la cosa più urgente in Italia è “sistemare il quadro regolatorio, dall’autorità di sicurezza nucleare, alle procedure per la scelta dei siti idonei, agli schemi di remunerazione dell’energia generata (a partire dalla nuova regolazione europea del mercato elettrico, che estende i contratti a 2 vie assegnati tramite asta al ribasso anche al nucleare, mentre ora sono riservati alle sole rinnovabili). Per questo ci vorranno non meno di 2-3 anni. Poi partiremo con la migliore tecnologia nucleare
disponibile”

Infatti, “come appare chiaro da qualunque simulazione di scenario al 2050, che tenga debitamente conto dei reali profili di generazione delle fonti rinnovabili aleatorie come il solare e l’eolico e del profilo dei carichi, per azzerare le emissioni in Italia un mix di rinnovabili e nucleare è più sostenibile (occupa meno suolo, impiega meno materiali e costa meno) di una soluzione con sole fonti rinnovabili. Insomma, per de-carbonizzare l’Italia abbiamo bisogno di tutte le tecnologie incluse nella tassonomia verde europea: rinnovabili, nucleare e, in transitorio, finché serve, anche il gas”, mette in evidenza Zollino.

I reattori nucleari alternativi

Molte delle tecnologie avanzate risalgono ad oltre 50 anni fa, quando furono inventate e persino dimostrate, prima che l’industria convergesse sui progetti standard di impianti raffreddati ad acqua. Ma ora c’è un rinnovato interesse a mettere in funzione reattori nucleari alternativi. I nuovi progetti potrebbero contribuire a migliorare la sicurezza, l’efficienza e persino i costi.

I refrigeranti alternativi possono migliorare la sicurezza rispetto ai progetti basati sull’acqua, poiché non devono sempre essere mantenuti ad alte pressioni. Molti di essi possono anche raggiungere temperature più elevate, consentendo ai reattori di funzionare in modo più efficiente.

Il sale fuso è uno dei principali concorrenti per i refrigeranti alternativi, utilizzato nei progetti di Kairos Power, Terrestrial Energy e Moltex Energy. Questi progetti possono utilizzare meno combustibile e produrre rifiuti più facili da gestire.

Altre aziende si rivolgono ai metalli liquidi, tra cui il sodio e il piombo. Oggi sono in funzione alcuni reattori raffreddati a sodio, soprattutto in Russia, che è anche all’avanguardia nello sviluppo di reattori raffreddati a piombo. I reattori raffreddati a metallo condividono molti dei potenziali vantaggi in termini di sicurezza dei progetti a sale fuso. Inoltre, l’elio e altri gas possono essere utilizzati per raggiungere temperature più elevate rispetto ai sistemi raffreddati ad acqua. X-energy sta progettando un reattore raffreddato a gas ad alta temperatura che utilizza l’elio.

Il combustibile

La maggior parte dei reattori che utilizzano un refrigerante alternativo utilizza anche un combustibile alternativo.

Il TRISO, o combustibile a particelle isotropiche tri-strutturali, è una delle opzioni più popolari. Le particelle TRISO contengono uranio, racchiuso in strati di ceramica e carbonio. In questo modo il combustibile rimane contenuto, mantenendo all’interno tutti i prodotti delle reazioni di fissione e consentendo al combustibile di resistere alla corrosione e alla fusione. Sia Kairos che X-energy prevedono di utilizzare il combustibile TRISO nei loro reattori.

Altri reattori utilizzano HALEU: uranio ad alto dosaggio e basso arricchimento. La maggior parte del combustibile nucleare utilizzato nei reattori commerciali contiene tra il 3% e il 5% di uranio-235. L’HALEU, invece, contiene tra il 5% e il 20% di uranio 235, consentendo ai reattori di ottenere maggiore potenza in uno spazio più ridotto.

Dimensioni

Oltre a modificare le specifiche di elementi come il combustibile e il refrigerante, molte aziende stanno lavorando per costruire reattori di dimensioni diverse (per lo più più piccole).

Oggi, la maggior parte dei reattori che entrano in rete sono enormi, dell’ordine di 1.000 o più megawatt, sufficienti per alimentare centinaia di migliaia di case. La costruzione di questi progetti enormi richiede molto tempo e ogni progetto richiede un processo personalizzato. I piccoli reattori modulari (SMR) potrebbero essere più facili da costruire, poiché la procedura è la stessa per ciascuno di essi, consentendo di produrli in qualcosa di simile a un’enorme catena di montaggio.

NuScale è stato uno dei leader in questo settore. Il suo progetto di reattore utilizza combustibile commerciale e refrigerante ad acqua, ma il tutto è in scala ridotta. Negli ultimi mesi, però, le cose non sono andate molto bene per l’azienda: il suo primo progetto è praticamente morto e all’inizio di gennaio ha licenziato quasi il 30% dei suoi dipendenti. Altre aziende continuano a portare avanti la fiaccola degli SMR, tra cui molte che puntano anche su combustibili e refrigeranti alternativi.

Conclusioni

L’anno scorso la Germania ha chiuso l’ultimo dei suoi reattori nucleari, ma esce dal nucleare mettendo a segno il 51% di rinnovabili nel mix elettrico.

Nel 2023 l’Italia ha installato 5,7 GW di nuove rinnovabili, sei volte le installazioni medie del periodo 2014-2021. L’anno scorso la quota di energia elettrica generata da sole e vento sul totale della domanda ha registrato una crescita dal 15% al 17,5%, ma, di questo passo, per raggiungere il 50% di quota di solare ed eolico, serviranno almeno altri 15 anni. E, se finora a trainare le installazioni era stato il Superbonus in scadenza, adesso sono urgenti le autorizzazioni per i grandi impianti privi di incentivi.

In Uk inoltre la realizzazione del reattore nucleare di Hinkley Point C sarebbe dovuta durare 6 anni e costare 21 miliardi di euro, invece Edf ha annunciato che prevede che richiederà 12-14 anni e che costerà 38-42 miliardi di euro. E non per effetto della pandemia o dell’inflazione.

Ci avevano promesso reattori nucleari più piccoli, ma finora la promessa non si è concretizzata e forse le strade sono altre.

“I micro-reattori piazzati ovunque li vedo molto lontani e francamente improbabili”, conclude Giuseppe Zollino, esortando tuttavia il governo “a procedere speditamente con tutti gli atti legislativi necessari, come già il Parlamento ha chiesto il 9 maggio scorso con ben 2 mozioni, una proposta da Azione, entrambe adottate a larga maggioranza. Azione è pronta a fare la sua parte, perché vogliamo azzerare davvero le emissioni, nel modo più efficiente, efficace e sostenibile”.

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