Il digitale può migliorare anche l’efficienza delle reti idriche. A vantaggio di tutti. Ambiente compreso. E questo è importante soprattutto in Italia, il paese dove in media, indistintamente tra nord e sud, si perde oltre il 40% dell’acqua immessa in rete, questo per tutta una serie di motivi che in primis derivano da una infrastruttura di trasporto e distribuzione dell’acqua molto vecchia, spesso con tubazioni posate oltre 70 anni fa.
A questo si aggiungono i modelli di gestione delle reti: da un lato le grandi multiutility pubbliche che hanno massa critica, massa economica, competenze e finanza per gestire un minimo rinnovamento della rete, dall’altra la gestione ancora affidata ai comuni, spesso piccoli, senza soldi e senza competenze.
E per tutto questo che l’Italia è spesso richiamata alle sue responsabilità dalla Comunità europea ed è oggetto di infrazione soprattutto per l’ammontare delle perdite nelle reti idriche. D’altra parte, la qualità dell’acqua che beviamo nelle nostre case è tra le migliori al mondo ad un costo per metro cubo meno della metà dei nostri equivalenti europei. A maggior ragione sprecarne, o perderne per strada, oltre il 40% non è accettabile.
Obiettivi nazionali per la gestione della rete
Ed è per questo che l’ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) ha emanato un primo regolamento, chiamato appunto di qualità tecnica, il n.917/2017/R/IDR del dicembre 2017 che ha segnato lo spartiacque tra una gestione delle reti con obiettivi propri di ogni gestore a una gestione con obiettivi, KPI e indicatori dettati dall’Autorità e che siano uniformi a livello nazionale.
In questo modo l’ARERA ha dato una scossa al settore perché, indipendentemente dalla bontà e validità tecnica degli indicatori e dei target (di cui non entriamo nel merito) ha decisamente fatto capire a tutti una serie di concetti base:
- siamo tutti misurati, premiati o penalizzati, con un metro comune, e
- non c’è modo di raggiungere gli obiettivi se non attraverso una profonda innovazione del sistema raccolta, trasporto e distribuzione dell’acqua per uso civile, uso umano e industriale. I gestori si devono trasformare nel loro modo di gestire ed evolvere la rete.
Si parte da alcuni punti fermi: in primis spesso le tubazioni sono vecchie e le infrastrutture vetuste; poi per rinnovare l’intera rete occorrerebbero una quantità di soldi che nessun governo potrà stanziare in tempi brevi (si parla di diverse decine se non centinaia di miliardi di Euro) ma, ancora peggio, occorrerebbero oltre 50 anni nella migliore delle ipotesi, ciò perché si tratta di scavare e sostituire tubazioni, riprogettare le reti in buona parte, rivedere i concetti con cui le stesse sono realizzate; infine all’interno dei gestori idrici ci sono tante competenze in idraulica (concentrate in poche persone) e poche competenze su tecnologie innovative e digitali: il digitale oggi sta lentamente entrando, ma la rivoluzione non è ancora iniziata, spesso perché mancano proprio le risorse umane necessarie a fronteggiare le crisi ed i progetti da farsi.
Tutte le criticità della rete nazionale
Molti gestori tra quelli considerati virtuosi hanno di recente dichiarato che tutti gli sforzi fatti sono serviti a mantenere e non ridurre il livello complessivo delle perdite, come dire non facciamo in tempo a tappare un buco che se ne riapre un altro.
Dei tanti aspetti è questo ultimo che ci interessa analizzare meglio. In Italia, tra grandi e piccoli, ci sono circa 2.000 gestori idrici, i grandi gestori idrici (ripeto i grandi e non quelli gestiti dai comuni) hanno introdotto tanta tecnologia nei sistemi informativi per la gestione della contabilità, della contrattualistica, del ciclo attivo e passivo di fatturazione e per la gestione del procurement e altri processi aziendali. Si sono anche spinti oltre con servizi web e app specifiche per la clientela. Quindi hanno imparato e fanno largo uso del digitale nei processi accessori a quello principale che è quello di portare l’acqua a casa degli utenti. Spostandosi sulla rete appunto, hanno introdotto negli anni la telemetria per le grosse stazioni di pompaggio, i grossi snodi e pozzi, o per i principali punti di chiusura (valvole), poco o nulla hanno fatto di digitale sull’ultimo miglio.
Ancora oggi, in molti casi, manca la mappatura delle reti (soprattutto dell’ultimo miglio), molti gestori hanno mappe su carta o sistemi GIS non aggiornati, e non riescono a monitorare ogni singola utenza.
Girando l’Italia si trovano ancora tante reti gestite dai comuni dove manca il contatore utente perché l’acqua è pagata con un forfettario annuo. Insomma il tema è molto complesso e, su questo punto per quello che abbiamo appurato, non vi sono differenze tra nord e sud: sull’acqua l’Italia è unita.
Partiamo da un concetto semplice: dove c’è l’acqua spesso non c’è l’energia elettrica. Questo era una barriera forte in passato ma potrebbe non esserlo più in futuro proprio grazie all’unione di diverse tecnologie di automazione e controllo, di information technology e di telecomunicazioni.
Cosa sta facendo allora il settore? Innanzitutto, si sta procedendo ad una “distrettualizzazione idraulica” della rete, a volte sezionandola fisicamente, a volte con distretti virtuali. Poi si sta proseguendo a una modellazione idraulica della rete e dei distretti alla luce delle rinnovate esigenze dei consumi e del cambio di topologia della rete avuta negli anni, ma anche per i requisiti chiesti dal’ARERA. Inoltre, legata alle precedenti, spesso c’è una ridefinizione delle zone di pressione all’interno della rete che, di per se, aiuta a ridurre le perdite. Di fondo tutti stanno cercando di conoscere a fondo la propria rete.
Sensori per monitorare le perdite
Per fare questo si sta introducendo sulla rete di distribuzione una serie di sensori multiparametrici, alimentati con energia elettrica o con batterie di lunga durata o con piccoli pannelli solari, collegati in 2G, 3G e domani in NBIoT, LORA o 5G, che raccolgono dati su pressione, portata di acqua, temperatura e analisi del rumore. I sensori oggi più avanzati riescono a raccogliere dati anche con frequenze di campionamento di qualche centinaio di Hz. I dati provenienti da più sensori sono poi raccolti da una piattaforma che li analizza e li mette in correlazione tra loro cercando di identificare, per esempio, l’insorgere di fenomeni particolari sulla rete, di identificare “transitori” e “picchi” di pressione ed il loro propagarsi al fine di prevenire le zone di rottura delle tubazioni o identificare l’insorgere di perdite sulla rete. Altri sensori simili sono posti, per esempio, in prossimità dei contatori utenti, raccolgono dati con minore frequenza ed hanno a bordo l’intelligenza per analizzarli e gestire alert in tempo reale, per esempio, in caso di consumi anomali. I gestori infatti sanno che la maggior parte delle perdite idriche è proprio nell’ultimo tratto della rete e a ridosso delle utenze. Si noti come nel settore parlare di sensori che raccolgano 100 campioni al secondo sia una rivoluzione che permette, ad esempio, lo studio dei transitori, fenomeni ben noti in teoria, e molto studiati in altri ambiti, ma che solo di recente si iniziano a studiare sulle reti idriche avendo i dati a disposizione.
La focalizzazione per ridurre le perdite è quindi sulla rete di distribuzione dove, fino a poco fa, il know-how era lasciato al “fontaniere” di zona. Inserire sensoristica per monitorare la rete è un primo passo per iniziare a conoscerla meglio, la sfida è cercare di installare una densità di sensori tale che le informazioni raccolte permettano ai sistemi di analisi dei dati di dare risultati sempre più accurati. Infatti, una grossa novità è anche l’introduzione di sistemi di intelligenza artificiale e big data per elaborare i dati provenienti dalla rete, dal sistema di manutenzione della stessa, dalla contabilità e dallo storico dei guasti e incrociarli tutti per suggerire come migliorare l’efficienza e ridurre le perdite.
Le sperimentazioni in corso
Sul tema della ricerca perdite vi sono oggi molte sperimentazioni in corso, oltre a quelle citate prima, per esempio si sperimentano tecniche satellitari che identificano le zone a maggior umidità o differenza di temperature e restringono il raggio a qualche chilometro di rete. Queste tecniche, ancora embrionali, richiedono poi un passaggio con i vecchi sistemi (geofono, noise logger, operatore esperto, ..) per restringere il raggio a pochi metri e/o identificare precisamente la posizione.
L’insieme di tutte queste tecnologie oggi porta a conoscere meglio la propria rete, gestirla e identificare le perdite. Ma poi? Una volta trovate vanno riparate.
E qui si ritorna al collo di bottiglia iniziale: per la riparazione fisica e/o la sostituzione delle tubature occorrono soldi e soprattutto tempo (si pensi ai tempi autorizzativi per gli scavi, o i tempi di gestione dei cantieri che possono durare settimane o mesi); spesso per motivi sociali non si può interrompere a lungo l’erogazione dell’acqua (esempio in prossimità di grandi condomini o scuole o ospedali) ed i tempi e costi lievitano perché bisogna realizzare by-pass temporanei per dare continuità di servizio. Spesso quindi i nostri gestori hanno poche risorse economiche e soprattutto non hanno il tempo necessario per aggredire tutta la rete, ragionano quindi per priorità/emergenza accettando che la rete continui a perdere acqua.
Tecnologie per accelerare le riparazioni della rete
Ecco che anche qui tecnologie recenti che fanno uso di nuovi materiali e tecniche di riparazione senza scavo, tra cui la Trenchless Automated Leakage Repair (TALR), permettono spesso di azzerare, e nella peggiore delle ipotesi di ridurre le perdite distribuite su un distretto o una porzione di rete (sotto certe caratteristiche) fino al 75% del totale in tempi irrisori e costi che spesso sono un quinto di quelli tradizionali ma raggiungendo tutti gli allacci utente, cioè aggredendo anche la parte più critica che altre tecnologie non coprono.
Il settore è quindi in fermento e ci si aspetta nei prossimi anni che anche il parco fornitori si trasformi, se non cambi proprio pelle. Questo perché a fianco dei tradizionali operai ed ingegneri idraulici oggi occorrono personale interno e fornitori in grado di portare sull’intero territorio nazionale, ed anche velocemente, le innovazioni del sistema. L’attuale sistema è per sua natura fatto da fornitori locali, al massimo regionali, ma mai nazionali, piccole aziende a gestione poco più che familiare che non hanno la capacità di scalare a livello nazionale. Da questo punto di vista ci si aspetta che nel corso del prossimo decennio nascano delle società di ingegneria e dei system integrator come avvenuto, ad esempio, nel settore delle telecomunicazioni, in grado di agire a livello nazionale. L’aggregazione dei player in multiutility di grandi dimensioni è uno dei principali driver di questo sviluppo e, senza entrare nel dibattito su acqua pubblica o acqua privata, sicuramente avere chi aiuta i piccoli gestori, ovvero i tanti piccoli comuni che la gestiscono in proprio, a conoscere e migliorare la propria rete è un must per i prossimi anni, insieme ai fondi per farlo ovviamente.