In un’epoca dominata dal consumismo sfrenato e dall’obsolescenza programmata, emerge un nuovo paradigma incentrato sulla sostenibilità e la longevità dei prodotti tecnologici: il diritto alla riparazione. Un cambiamento di prospettiva che trova l’appoggio del Parlamento Europeo, sempre più attento alle problematiche ambientali e alle conseguenze economiche legate all’usura precoce dei dispositivi.
L’obsolescenza programmata non è solo una minaccia per le tasche dei consumatori, ma rappresenta anche un serio problema ecologico. Il diritto alla riparazione si configura pertanto come un pilastro fondamentale dell’economia circolare, capace di generare benefici tangibili sia per l’ambiente che per i cittadini.
Ma in questo scenario , quali sono i ruoli e le responsabilità delle aziende produttrici?
Riparare, non sostituire: la spinta del Parlamento europeo
Secondo uno studio della Commissione europea, il 77 % dei cittadini dell’UE preferisce la riparazione all’acquisto di nuovi beni. A partire da questa diffusa sensibilità, il Parlamento Europeo sta portando avanti un iter legislativo che favorisca la riparabilità dei prodotti tecnologici rispetto alla loro sostituibilità.
Nei tardi anni ’80, il sociologo inglese Colin Campbell sosteneva che, in cuor suo, nessuno vorrebbe mai riparare un oggetto che già possiede perché, ormai, le persone hanno bisogno di sentire il piacere della novità e di percepire l’appagamento momentaneo che l’acquisto del prodotto appena uscito sembra concedere al desiderio di autorealizzazione e di inclusione sociale che ognuno sente dentro di sé. Una proiezione di significati che rende il consumo di nuovi prodotti un fenomeno fondamentale nella vita dei singoli e trascende la categoria di mera utilità. (concetto contenuto in The Romantic Ethic and the Spirit of Modern Consumerism, C. Campbell, 1987.)
Dall’obsolescenza programmata al riutilizzo circolare: il cambio di paradigma in Ue
Certo gli anni ’80 sembrano lontani, molto lontani nel discorso che l’europarlamentare tedesco René Repasi ha tenuto presentando, nel consesso di Strasburgo e nella successiva conferenza del 21 novembre, il testo della posizione negoziale del Parlamento in materia di Diritto alla riparazione. Il relatore ha infatti descritto un mondo in cui il riutilizzo circolare degli oggetti tecnologici prende il posto dell’obsolescenza programmata, la spinta ad acquistare il nuovo è sostituita dal desiderio di aver cura e di personalizzare i prodotti che sono testimoni della nostra quotidianità e invecchieranno insieme a noi mentre la facilità di sostituzione viene progressivamente scartata in vista della semplicità di riparazione.
Sono questi i concetti alla base della posizione che la più alta Istituzione rappresentativa d’Europa ha formalmente adottato con la votazione di martedì 21 novembre in cui la proposta presentata da Repasi ha ottenuto 590 voti favorevoli, 15 contrari e 15 astensioni.
Diritto alla riparazione vs obsolescenza programmata
Il fulcro del dibattito è rappresentato dalla questione del diritto alla riparazione: la nozione legale e politica che difende la capacità dei consumatori di riparare e modificare i propri prodotti elettronici e meccanici. Tale idea si radica nella convinzione che consumatori e tecnici dovrebbero utilizzare prodotti pensati fin dalla progettazione per essere facilmente aggiustabili, dotati di pezzi di ricambio agevolmente reperibili e accompagnati da guide di riparazione e manuali realmente utilizzabili.
La logica della riparazione viene ulteriormente delineata nell’opposizione al proprio contrario: l’obsolescenza programmata. Questa è la pratica di progettare oggetti con una vita utile artificialmente limitata e caratteristiche che li rendano strutturalmente difficili da riparare in modo da diventare superati o cessare di essere efficienti dopo un periodo predeterminato di tempo.
Le diverse facce dell’obsolescenza programmata
L’obsolescenza programmata può manifestarsi in diverse forme. Ad esempio, un prodotto può venir progettato in modo da essere incompatibile con aggiornamenti futuri, rendendolo rapidamente incapace di avere l’affidabilità, le prestazioni o la sicurezza propria delle nuove versioni. In altri casi, l’articolo può essere costruito in modo da smettere di funzionare dopo un determinato numero di utilizzi o un periodo di tempo specifico, è il caso di alcuni modelli di batterie. Tanto frequente quanto subdola è inoltre l’obsolescenza percettiva, variante nella quale un prodotto ancora perfettamente funzionante viene percepito come vecchio o fuori moda a causa dei cambiamenti nelle tendenze o nello stile dettati dalle campagne marketing. Denominatore comune di queste variegate tipologie è la suggestione che generano nel consumatore e che lo spinge poi a cercare qualcosa di più “attuale”.
L’impatto ambientale dell’obsolescenza programmata
Inoltre, come è stato sottolineato nel testo approvato dal Parlamento Europeo, l’attuale e diffusa pratica dell’obsolescenza programmata produce gravi impatti ambientali, contribuendo all’aumento dei rifiuti, allo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e all’ampio utilizzo di terre rare, minerali tanto fondamentali nell’alta tecnologia quanto potenziali armi di ricatto in mano a paesi estrattori extraeuropei.
Il diritto alla riparazione come fulcro dell’economia circolare
Guadagnata la distinzione tra obsolescenza programmata e diritto alla riparazione, la posizione negoziale che verrà discussa con i paesi membri del Consiglio d’Europa rivolge la propria attenzione a promuovere attivamente quest’ultimo introducendo incentivi finanziari per i consumatori che scelgano di riparare un loro prodotto e facilitazioni normative per favorire la nascita dei Repair Café, luoghi deputati allo scambio di prestazioni e competenze in materia di riutilizzo e riparazione di device meccanici e tecnologici.
La cornice di riferimento nella quale queste proposte acquistano significato e coerenza è quella dell’economia circolare, un modello di sviluppo che fa da sfondo teorico ad un numero crescente di direttive e proposte europee e risulta centrale nella norma che ha creato il fondo NextGenerationEU. Tale modello si propone come alternativa all’approccio economico lineare basato sul ciclo che alterna produzione, utilizzo e dismissione dei beni. Infatti, invece di creare merci che alla fine della loro vita utile diventeranno rifiuti, l’approccio circolare si concentra sulla riprogettazione del sistema produttivo per rendere i materiali continuamente riutilizzabili e rigenerabili.
Nell’economia circolare, fin dalla fase di progettazione, i prodotti sono pensati per minimizzare la creazione di rifiuti e inquinamento evitando l’uso di materiali pericolosi e garantendo che gli oggetti creati siano facilmente smontabili, riparabili, riutilizzabili e riciclabili. Il fine, che informa di sé tutto il ciclo di vita del prodotto, è estendere il tempo e le possibilità di utilizzo del bene attraverso strategie di riuso, ricondizionamento e riciclaggio, mantenendo così le risorse materiali ed energetiche all’interno dell’economia il più a lungo possibile.
Vantaggi economici e ambientali dell’economia circolare
Oltre a ridurre l’impatto ambientale, questo approccio può offrire nuove opportunità economiche stimolando l’innovazione tecnologica e incoraggiando lo sviluppo di nuovi modelli di condivisione, noleggio o abbonamento per prodotti durevoli. Ciò promuove la rigenerazione delle risorse naturali attraverso lo spostamento del focus dal settore della produzione a quello della riparazione e manutenzione. L’obiettivo di lungo termine vede l’esplicita creazione di un rinnovato sistema produttivo più resiliente e sostenibile, in grado di diminuire la dipendenza dalle risorse naturali e capace di contribuire alla mitigazione del cambiamento climatico.
Il ruolo delle aziende produttrici nel nuovo paradigma del diritto alla riparazione
Appare però chiaro che il riuscito passaggio a questa modalità economica, caratterizzata dalla centralità del diritto alla riparazione, dipenderà da quanto estesamente il legislatore europeo sarà capace di affermare il dovere delle aziende produttrici a riconoscere la concreta possibilità che il consumatore scelga prodotti duraturi e riparabili.
Se è infatti vero che i diritti di qualcuno non sono altro che i doveri degli altri nei suoi confronti, la possibilità di mantenere a lungo e riparare gli oggetti posseduti si misurerà sull’efficacia e l’applicabilità degli obblighi che regolamenteranno i produttori.
Sarà infatti necessario che essi progettino beni e strumenti pensati secondo i criteri della riparabilità, che rendano disponibili pezzi di ricambio a costi contenuti, che diano priorità alla riparazione se essa risulta essere più conveniente o costosa quanto la sostituzione del prodotto, che prevedano nuovi e più estesi tipi di garanzie legali sulla merce. Sull’effettività di questi doveri si deciderà lo status del consumatore europeo e la veridicità dell’entrata nel nuovo paradigma del diritto alla riparazione.