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Ripensare l’Agenda 2030: le direzioni strategiche per la sostenibilità



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All’alba del 2030 e con il radicale cambio di rotta degli scenari globali, una riflessione critica su Agenda2030 è imprescindibile. E questo è l’argomento del III episodio del Podcast Sostenibilità Digitale, dal quale è tratta questa rubrica

Pubblicato il 16 apr 2025

Stefano Epifani

Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale Autore del libro “Sostenibilità Digitale: perché la tecnologia non può fare a meno della trasformazione digitale”



Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D): le sfide della sostenibilità di filiera

La sostenibilità, nella sua accezione moderna, è un concetto che nasce da un’esigenza: quella di ripensare radicalmente i modelli di sviluppo, produzione e convivenza umana su scala globale. Tale esigenza, come noto, si affaccia con chiarezza a partire dalla seconda metà del Novecento e prende forma, nella sua declinazione sistemica, con la pubblicazione del Rapporto Brundtland, nel 1987.

Il documento, redatto dalla Commissione mondiale su ambiente e sviluppo delle Nazioni Unite, definisce lo sviluppo sostenibile come «lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle future generazioni di soddisfare i propri».

Questa definizione, ormai canonica, pur essendo apparentemente semplice, racchiude implicazioni complesse che hanno richiesto decenni di elaborazione per essere comprese e strutturate in politiche pubbliche, modelli economici e approcci culturali coerenti. Il passaggio concettuale più significativo introdotto dal rapporto consiste nell’evidenziare l’interconnessione tra tre dimensioni fondamentali: ambientale, economica e sociale. Un modello che, per essere applicato, necessita di una visione sistemica dei problemi e della loro risoluzione.

L’emergere della sostenibilità sistemica

Negli anni successivi al 1987, il concetto di sostenibilità ha subito un processo di progressiva articolazione, culminato – sul piano della policy internazionale – con la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, da cui emerse Agenda 21: un piano d’azione sottoscritto da 178 governi per promuovere lo sviluppo sostenibile. Agenda 21 rappresentò un momento di svolta: non più solo dichiarazioni d’intenti, ma l’adozione di un approccio che prevedeva strumenti di intervento, responsabilità condivise e una visione di lungo periodo.

Tuttavia, l’implementazione delle azioni previste da Agenda 21 ha evidenziato limiti significativi. Le politiche nazionali, più spesso di quanto auspicabile, sono rimaste vincolate alla contingenza politica interna, incapaci di sviluppare una prospettiva realmente integrata e coordinata. L’assenza di un sistema di controllo efficace, unita alla carenza di accountability multilivello, ha reso difficile la concretizzazione di obiettivi ambiziosi, specialmente su scala globale.

In parallelo, sono emersi esperimenti locali – sebbene spesso non sistematizzati – capaci di tradurre in pratica i principi della sostenibilità. Tali esempi hanno dimostrato che una visione sistemica, se adeguatamente adattata ai contesti locali, può generare risultati rilevanti in termini di rigenerazione economica, inclusione sociale e tutela ambientale.

Millennium Development Goals: primi segnali di concretizzazione

L’anno 2000 segna un ulteriore passaggio con l’introduzione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG), otto macro-obiettivi adottati durante il Vertice del Millennio delle Nazioni Unite. Gli MDG si sono distinti per un approccio più concreto e focalizzato rispetto ad Agenda 21, definendo target misurabili e scadenze temporali specifiche. In particolare, si è registrato un progresso misurabile nella riduzione della povertà estrema e nell’accesso all’istruzione primaria, nonché in alcuni indicatori relativi alla salute pubblica.

Tuttavia, durante la conferenza di Oslo del 2015, gli stessi promotori degli MDG hanno riconosciuto la distanza significativa tra i risultati raggiunti e gli obiettivi iniziali, soprattutto per quanto riguarda le questioni ambientali e climatiche. Questa parziale delusione ha portato alla consapevolezza che, per affrontare efficacemente le sfide della sostenibilità, fosse necessario adottare un impianto concettuale e operativo ancora più strutturato, in grado di agire simultaneamente su scala globale e locale, garantendo coerenza e adattabilità.

Agenda 2030: verso una governance integrata della sostenibilità

È in questo contesto che nasce Agenda 2030, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2015. Il documento, frutto di tre anni di negoziazioni, definisce un nuovo paradigma per lo sviluppo sostenibile. I 17 Sustainable Development Goals (SDG), articolati in 169 target specifici, costituiscono un impianto normativo e programmatico che si distingue per alcuni elementi fondamentali:

  • Interconnessione sistemica: gli SDG non sono concepiti come obiettivi isolati, ma come componenti di un sistema integrato. La riduzione della povertà (SDG 1) è collegata alla sicurezza alimentare (SDG 2), all’accesso all’istruzione (SDG 4), all’uguaglianza di genere (SDG 5) e alla protezione dell’ambiente (SDG 13, 14, 15).
  • Applicabilità multilivello: gli obiettivi sono formulati per essere declinabili tanto a livello globale quanto locale, prevedendo margini di adattamento alle specificità socio-economiche, ambientali e culturali dei diversi contesti.
  • Misurabilità e accountability: a differenza dei framework precedenti, Agenda 2030 prevede indicatori quantitativi e qualitativi per ogni target, rendendo possibile un monitoraggio rigoroso dei progressi. Il sistema di indicatori è stato sviluppato dalla United Nations Statistical Commission in collaborazione con enti nazionali e internazionali.
  • Governance inclusiva e partecipativa: l’implementazione di Agenda 2030 implica il coinvolgimento di una molteplicità di attori: Stati, enti locali, imprese, società civile e cittadini. Il concetto di “ownership” è centrale: ciascun attore è chiamato a contribuire secondo le proprie competenze e risorse.

Criticità e prospettive dell’Agenda 2030

Pur nella sua articolazione e ambizione, Agenda 2030 non è esente da criticità. Innanzitutto, la coerenza tra i diversi obiettivi non è sempre garantita: ad esempio, l’obiettivo di crescita economica (SDG 8) può entrare in tensione con quello di sostenibilità ambientale (SDG 13) se non adeguatamente mediato da strategie di decarbonizzazione e transizione energetica. Tale tensione dipende in larga parte dalle relazioni intersistemiche che legano i diversi obiettivi e dalla complessità insita nel processo di armonizzazione tra istanze economiche, sociali e ambientali. Inoltre, la realizzazione concreta degli SDG richiede un livello di coordinamento politico internazionale che, nei fatti, risulta spesso frammentato e disomogeneo, aggravato dalla progressiva perdita di rilevanza delle Nazioni Unite nello scenario geopolitico globale, che ne compromette il ruolo di garante e facilitatore dell’azione multilaterale.

Un’altra sfida significativa è rappresentata dalla capacità di integrare le tecnologie digitali nei processi di sostenibilità. La trasformazione digitale, se orientata in modo responsabile, può costituire un fattore abilitante per il raggiungimento degli SDG. Tuttavia, ciò richiede non solo infrastrutture adeguate, ma anche un modello di governance della tecnologia che privilegi elementi come la trasparenza e l’equità.

Il digitale come leva trasversale per la sostenibilità

Il legame tra sostenibilità e trasformazione digitale è spesso evocato, ma raramente approfondito in modo sistemico. È fondamentale riconoscere che non esiste sostenibilità senza trasformazione digitale. Ogni trasformazione sostenibile, infatti, presuppone la presenza di un’infrastruttura tecnologica sottostante, che ne abilita e ne sostiene l’operatività e la scalabilità.

La digitalizzazione rappresenta il fondamento su cui costruire sistemi complessi e resilienti in grado di rispondere efficacemente alle sfide ambientali, sociali ed economiche. Dalle smart grid per la gestione intelligente dell’energia, ai modelli di economia circolare abilitati da tecnologie di tracciabilità digitale, fino ai sistemi di mobilità sostenibile basati su piattaforme interconnesse, la tecnologia è l’infrastruttura abilitante di qualunque strategia sostenibile.

Sebbene la tecnologia in sé non sia né buona né cattiva, ed è quindi intrinsecamente neutrale, non lo sono i suoi impatti sull’economia, sull’ambiente e sulla società. Questi impatti dipendono dalle modalità di adozione, dalle finalità d’uso e dalle condizioni di accesso e governance. Perché la tecnologia possa diventare uno strumento al servizio della sostenibilità, è necessario sviluppare policy adeguate, investire nella formazione digitale e rafforzare la capacità istituzionale di governarne gli effetti collaterali, in modo equo, trasparente ed etico.

Dagli obiettivi alle direzioni: ripensare l’Agenda 2030

Agenda 2030 non è, né vuole essere, un piano rigido. È piuttosto una cornice dinamica, che definisce un orizzonte condiviso per l’umanità, ponendo al centro una visione sistemica e integrata della sostenibilità. I 17 obiettivi non rappresentano una soluzione in sé, ma un dispositivo politico e culturale attraverso cui orientare scelte collettive, politiche pubbliche e iniziative private.

Nei prossimi anni assisteremo con ogni probabilità a una profonda riformulazione di Agenda 2030, derivante dalla crescente consapevolezza che la maggior parte dei suoi obiettivi non sarà raggiunta entro la scadenza prevista. Tuttavia, prima di parlare di fallimento, è essenziale riflettere sul ruolo che Agenda 2030 ha effettivamente svolto. Più che uno strumento per fissare obiettivi quantitativi, essa ha rappresentato un punto di riferimento per indicare la direzione verso cui orientare le politiche e le azioni collettive. In questo senso, anche laddove i target non siano stati pienamente colti, la cornice degli SDG ha svolto una funzione fondamentale: ci ha aiutato a muoverci nella direzione giusta, fornendo un linguaggio comune e una visione condivisa. E oggi, più che mai, tale direzione si conferma di importanza strategica, in un mondo che richiede risposte sempre più coordinate e interconnesse.

Non per retorica, ma perché riflette in modo concreto la possibilità di agire localmente in una logica di impatto globale. È però giunto il momento di superare, soprattutto in Europa, una visione della sostenibilità troppo spesso intrisa di retorica e declinata in chiave esclusivamente normativa o etica. Dobbiamo cominciare a considerare la sostenibilità anche come una leva strategica di business, fondata su un nuovo modello di sviluppo sostenibile nel quale la tecnologia riveste un ruolo fondamentale. Solo integrando sostenibilità e trasformazione digitale sarà possibile costruire sistemi economici più resilienti, competitivi e orientati al futuro.

Ascolta il III episodio di “Sostenibilità Digitale: il podcast di Stefano Epifani” su:

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