La normativa italiana si allinea a quelli che sono gli indirizzi strategici della direttiva europea in materia di prestazione energetica degli edifici e, specificatamente fa propri alcuni concetti di fondo, quali: l’accelerazione della riqualificazione energetica degli edifici esistenti; il favorire la mobilitazione di risorse economiche per la realizzazioni di edifici a emissioni zero entro il 2050; la promozione della domotica di ultima generazione per favorire una gestione intelligente degli edifici volta a ridurne i consumi; ed infine, il favorire l’integrazione tra edifici e mobilità elettrica.
Ecco cosa cambia e perché l’attenzione su questi temi è molto alta.
Il decreto legislativo n.48/2020
Il decreto legislativo n.48/2020 che allinea la normativa italiana in materia di prestazione energetica degli edifici alle nuove regole europee, previste dalla direttiva UE 2018/844, era un provvedimento atteso da tempo e finalmente è stato pubblicato, il 10 giugno nella Gazzetta Ufficiale n. 146.
Con questo atto, pienamente coerente con le strategia del Green New Deal di Ursula Von der Leyen , è possibile affermare che inizia pienamente anche in Italia l’era degli “smart building” o, più specificatamente, degli edifici NZEB (Nearly Zero Energy Building) e, come vedremo, non solo.
Per comprendere il perché ci sia un’attenzione così alta su questa tematica, bastano poche cifre: in base agli studi realizzati, si stima che gli edifici in Europa siano responsabili del 40% del consumo di energia e del 36% di emissioni di CO2 in atmosfera. La Commissione Europea ha valutato che la sola riqualificazione edilizia potrà portare ad una riduzione dei consumi del 5-6% e un buon impianto, con un sistema di controllo intelligente, può comportare risparmi nei consumi nell’ordine del 15-20% senza toccare l’involucro. A tutto ciò si aggiunga che abbiamo appena aperto in Italia il capitolo delle Comunità energetiche, che devono trasformare i nostri quartieri da consumer a “prosumer” di energia e che ai building è legata gran parte della partita sull’infrastruttura della mobilità elettrica e il gioco è fatto.
Il contesto
Non si tratta, è bene precisarlo, di un provvedimento che modifica le metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici, ma di un importante documento programmatico che delinea le linee d’azione dei prossimi anni e persino dei prossimi decenni in materia di edilizia e di impiantistica.
Di che cosa stiamo parlando in termini di impatto appare chiaro da due valori significativi: pur ridimensionato dalla crisi, il mondo delle costruzioni vale ancora in Italia circa 140 miliardi di fatturato all’anno e, di questi, circa 62 sono generati dall’impiantistica. Parliamo insomma di un settore che produce circa l’8% del PIL nazionale. Se poi stringiamo il campo alle tecnologie “smart” il valore si attesta a fine 2018 a circa 4 miliardi di euro, ancora una nicchia, ma con una tendenza in fortissima crescita, pari al 15% annuo per le building technologies e addirittura del 52% per le home applications.
Le tecnologie per gli smart building
Ma di che tecnologie parliamo? Uno smart building è sostanzialmente caratterizzato da quattro fattori connotanti: la connettività, l’impiantistica smart, la sensoristica e le piattaforme software di gestione e controllo. L’intelligenza di un edificio, ovvero la sua capacità di reagire in autonomia alle sollecitazioni che provengono dall’ambiente, sia indoor che outdoor, è dettata dalla capacità di elaborare i cosiddetti big data registrati dai sensori, e a ciò si riferisce chiaramente il D.lgs n. 48/2020 quando recepisce il concetto di “domotica” come strumento per il raggiungimento di risultati come l’efficienza energetica.
Ma in cosa consiste la “smartness” di un edificio?
Stando alla direttiva (UE) 2018/844 e al recepimento nel D.Leg. 48/2020 per smartness – come ci ricorda Pasquale Capezzuto, Presidente dell’associazione Energy Manager – si deve intendere la capacità di un edificio di gestirsi in modo efficiente; di essere in grado di interagire e rispondere ai suoi occupanti; e infine di essere in grado di interagire attivamente e passivamente con la rete, con tre precisi obiettivi:
- la capacità di mantenere le prestazioni energetiche e il funzionamento dell’edificio attraverso l’adattamento del consumo di energia, ad esempio attraverso l’uso di energia da fonti rinnovabili;
- la capacità di adattare la propria modalità operativa in risposta alle esigenze dell’occupante prestando la dovuta attenzione alla disponibilità di facilità d’uso, mantenendo condizioni climatiche interne sane e la capacità di riferire sul consumo di energia;
- la flessibilità della domanda complessiva di elettricità di un edificio, inclusa la sua capacità di consentire la partecipazione alla risposta attiva e passiva nonché implicita ed esplicita della domanda, in relazione alla rete, ad esempio attraverso la flessibilità e le capacità di spostamento del carico.
Nel valutare nel suo complesso il provvedimento, ci sembra peraltro molto rilevante la sottolineatura relativa alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, che in un Paese come l’Italia costituisce e costituirà il principale terreno operativo per il conseguimento dei risultati di sostenibilità ambientale. Anche i recentissimi provvedimenti del Decreto Ripresa, con il noto “bazooka” del 110% sugli interventi di riqualificazione energetica, sembrano esserne consapevoli e, tuttavia, è chiaro che in tale ambito le tecnologie e la nuova impiantistica avranno un ruolo determinante.
Propongo infine una lettura tangenziale del riferimento alla smart mobility, opportunamente presente nel provvedimento, perché se è vero che i punti di ricarica presso gli edifici costituiranno la vera ossatura dell’infrastruttura della nuova mobilità elettrica (come ampiamente studiato la ricarica avviene, infatti, soprattutto a domicilio), è anche vero che questa apertura all’ambiente circostante, a ciò che sta “fuori” dall’edificio, lascia intendere che d’ora in poi non si potrà più considerare l’unità immobiliare come una “monade”, indipendente dal contesto e dovrà, viceversa e necessariamente, essere considerato come una unità di un insieme complesso. La connessione alla rete (o alle reti, sarebbe più corretto dire), infatti, ne farà sempre più una parte del tutto, ovvero della smart city o dello smart land.
Quanto impatterà tutto ciò sul mercato immobiliare? Probabilmente molto e con un orizzonte temporale non troppo lungo, se si pensa che a livello europeo è prossimo ad essere licenziato anche l’SRI (Smart Readiness Indicator); ovvero un indicatore della smartness di un edificio che andrà inevitabilmente a modificare sempre più i valori di mercato.