“Smart City” è ancora un concetto che non ha univoca definizione tecnica e giuridica, nonostante gli investimenti anche cospicui di questi ultimi anni sia da parte delle imprese private che degli organismi pubblici. Nell’accezione comune indica piuttosto una collezione o costellazione di azioni indirizzate sulla struttura urbana, ognuna delle quali pone l’accento su una particolare vista dell’intero sistema: la sensoristica per l’illuminazione, per il controllo dell’inquinamento, per il controllo della mobilità, per il controllo ambientale o la disponibilità di servizi al cittadino che gli facilitino la vita, come la ricerca di parcheggi o l’integrazione dei device per la sicurezza urbana e così via. Ma una” semina tecnologica” nei diversi settori non comporta necessariamente l’acquisizione di una smartness. Per fare un semplice esempio forse qualcuno ricorderà quando la televisione era un oggetto per il quale per cambiare canale (quei pochi esistenti) era necessario alzarsi dalla poltrona e girare una manopola. Poi, questo sistema fu migliorato tecnologicamente con l’introduzione del telecomando.
Sicuramente era un bel passo avanti nella qualità della vita del telespettatore, non doveva più alzarsi dal divano! Fatti i dovuti distinguo, questo è paragonabile, in un certo modo alle tante APP esistenti oggi sul proprio smartphone, che semplificano la vita anche in città. Ma il telecomando rendeva la TV smart? No di certo. Era pur sempre solamente un apparecchio televisivo la cui fruizione era solo più comoda. Le smart tv sono nate solo quando si è verificato l’incontro tra due diversi sistemi: la TV e Internet. Allora sì che la televisione è diventata smart, perché da oggetto che forniva servizi unidirezionali (dalle società televisive agli spettatori) è diventato un device nelle mani dell’utente, che permette non solo di programmare il proprio palinsesto, scegliendo in un’offerta multipla ed estremamente ricca, ma che abilita ad un colloquio bidirezionale e multi device, dallo spettatore al broadcaster, introducendo un nuovo aspetto, anche sociale oltre che tecnologico, che preannuncia un vero e proprio cambio di paradigma sintetizzabile nella tv partecipativa.
Il ruolo e posizione di Agid per fare città smart
Per questi motivi riteniamo che manchi una comprensione complessiva del fenomeno e quindi una visione di insieme che permetta di massimizzare l’effetto degli interventi sul territorio ed è per questo che AgID, oggi, in presenza di capisaldi legislativi necessari per un intervento efficace su questo tema (dalla strategia di crescita digitale, alla BUL , al piano triennale e al piano Industry 4.0), può compiutamente ottemperare alla disposizione prevista dall’art. 20 del D.l. 179/2012, redigendo le linee guida nazionali sulle Comunità Intelligenti, dizione che comprende in sé sia le Smart City che la Smart Community. Queste ultime, non trattate in modo specifico in questo articolo, riguardano l’utilizzo delle tecnologie ICT per le aree del territorio non urbanizzate cioè a bassa o bassissima densità abitativa.
Qual è il punto di vista adottato da AgID sulle Smart City?
Le città, prima ancora che siano innervate dalle tecnologie ICT diventando Smart City, sono “sistemi complessi” e come tali devono essere trattate. L’utilizzo diffuso della sensoristica e dei relativi attuatori, delle infrastrutture di connettività, applicative e delle control room rendono il sistema ancora più strettamente legato al proprio interno, di fatto lo rendono un corpo unico che va trattato olisticamente, nella sua interezza. Per chiarire meglio, un “sistema complesso” è un insieme di sottosistemi che interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante i quali, presi complessivamente, danno vita ad un unico sistema più grande e più efficace della mera somma delle singole componenti. Questi sistemi hanno le proprietà di non linearità e di dinamicità. In particolare per “non lineare” si intende che il comportamento di un tale sistema non è proporzionale agli interventi effettuati sul sistema stesso, a causa delle strette relazioni tra i sottocomponenti, per cui il sistema complessivo può avere risposte amplificate o smorzate rispetto alle singole azioni che vengono adottate sul sistema medesimo. Mentre con l’aggettivo “dinamico” si intende che il sistema cambia nel tempo a partire dal suo stato attuale. In generale questo tipo di sistemi sono dotati di capacità di una certa autoregolazione nei confronti degli input provenienti dall’esterno di essi.
Da un punto di vista pratico significa che non è detto che un’azione di infrastrutturazione ICT di una parte della città (p.e. un quartiere) o di un settore specifico (p.e. la mobilità) comporti automaticamente un miglioramento proporzionale all’intervento. Potrebbe, paradossalmente portare ad un peggioramento dell’intero sistema o a un fenomeno che va a morire dopo un certo lasso di tempo.
Inoltre c’è da chiedersi quali siano gli obiettivi che si vogliono raggiungere trasformando una città in qualcosa dotato di autoregolazione e con una “intelligenza” diffusa, cioè una Smart City. In generale gli approcci fino ad ora tentati sono stati orientati verso un risparmio economico, attraverso una maggiore efficienza p.e. sul versante energetico oppure un generico miglioramento della qualità della vita dei cittadini delle aree urbane.
Tre macro aree per smart city
La posizione dell’Agenzia è che occorre partire da tre macro-aree che devono necessariamente crescere e migliorare insieme, proprio perché costituiscono le tre principali qualità di questo sistema complesso. Esse sono: l’Economia, l’Ambiente e le Relazioni sociali. L’ Economia riguarda ad es. l’occupazione, la fiscalità, la ricerca, l’energia, la filiera alimentare, l’agricoltura dove applicabile (p.e. il Comune di Roma è una delle grandi aree agricole del Paese), il sottosistema distributivo, etc.. L’ Ambiente è legato all’inquinamento, alla gestione dei rifiuti, alla salute, al verde pubblico, all’illuminazione pubblica etc.. Infine, le Relazioni sociali sono attinenti alla socialità urbana, all’e-partecipation e e-democracy, alla socialità digitale, alla densità abitativa, alla security e così via.
Ma se si pone attenzione si intuisce immediatamente che i sottosistemi elencati all’interno di una macro-area sono connessi con moltissimi degli altri sottosistemi appartenenti alle altre macro-aree. Ad esempio il sottosistema “gestione dei rifiuti”, elencato nella macro-area Ambiente è strettamente connesso anche con la densità abitativa, la salute, l’inquinamento, la mobilità, la distribuzione, quindi anche con le macro-aree Economia e Relazioni sociali. E questo vale per tutti i sottosistemi che compongono la City. È importante sottolineare, quindi, che un intervento di automazione della città in un settore specifico (sottosistema) ne influenzerà positivamente o negativamente anche moltissimi altri potendo rendere il comportamento della Smart City anche non prevedibile oppure inefficace o inefficiente.
Un esempio in positivo può forse chiarire meglio il concetto. Nel prossimo futuro avremo veicoli a guida autonoma (liv.5) o semi-autonoma (liv.4), già in sperimentazione o anche in esercizio in diversi Stati nel mondo; se si sceglie di fare investimenti infrastrutturali (5G, semaforistica intelligente, sviluppo e diffusione dei protocolli V2V, intelligenza artificiale, etc.) affinché si possano avere dei flussi di traffico c.d. “a convoglio” o “a stormo”, dove la velocità del flusso è relativamente elevata per l’ambito urbano ed è ad alta densità, perché le auto o i mezzi pubblici possono avere una distanza minima di sicurezza tra loro durante il movimento automatico (da cui il nome del flusso).
Si potrebbe quindi riformulare il piano di mobilità urbana diminuendo gli altissimi investimenti per le metropolitane o le tramvie, con le relative corsie preferenziali, avendo comunque a disposizione un sistema molto efficiente di trasporto privato e pubblico ad alta redditività e a basso impatto ambientale perché una parte delle risorse economiche liberate potrebbero essere usate, ad esempio, per incentivi all’acquisto di auto elettriche.
Tuttavia, per rendere un tale sistema efficace ed efficiente, occorre ragionare sulla reale estensione dei flussi di traffico che, di norma, travalica i confini comunali o anche delle città metropolitane ed esaminare con maggiore attenzione sia gli aspetti tecnici, che l’Agenzia sta comunque approfondendo, che quelli socio/economici per verificare come si muoverà il mercato nel prossimo futuro.
Le due cose che servono per sviluppare smart city
L’esempio appena fatto conduce ad un’altra considerazione fondamentale su cui AgID sta riflettendo e sulla quale sta impostando le Linee guida nazionali. Le Smart City, quale sistema complesso, sono modellate sul territorio in modo differente dagli attuali confini amministrativi. Nell’esempio precedente avrebbe poco senso strutturare flussi di traffico a convoglio che poi si interrompano improvvisamente sul confine comunale. Si rendono quindi necessarie due cose affinché lo sviluppo delle Smart City possa essere coerente:
- La normale divisione di competenza in assessorati, ognuno con area di azione solo su un sottoinsieme dei sottosistemi, andrebbe superata;
- È necessario introdurre un focal point territoriale che possa avere la competenza e la visione di insieme sull’intero sistema complesso e che, per ciò che si è detto, più ampia dei confini comunali.
In prima istanza, anche se in futuro saranno probabilmente necessari degli aggiustamenti territoriali e quindi legislativi, potrebbe essere una delle nuove e specifiche competenze delle quattordici Città Metropolitane, purché coscienti della diversità amministrativa che questo compito impone, ma anche delle rimanenti Province perché esistono numerosi casi di potenziali Smart City sul territorio che non vedono al proprio interno aree urbane di grande estensione ma che, per effetto rete, si comportano invece potenzialmente proprio come aree urbane diffuse a bassa densità abitativa. Inoltre le Province potrebbero gestire anche le politiche di indirizzo e infrastrutturali per le Smart Community.
Un utilizzo delle Province in tal senso potrebbe essere permesso sin da oggi senza grandi o nessuna modifica legislativa perché, in effetti, quanto previsto dall’art 1. commi da 85 a 89 della legge 54/2014 permetterebbe facilmente di trasformare o estendere il ruolo di questi Enti rendendoli uno strumento efficace per questa trasformazione digitale del Paese. Un tema complesso su cui riflettere….
Per concludere, quindi, riteniamo che ci sia ancora molto da fare in termini di definizione del problema e della tecnologia, che per molti versi abilita il sistema verso confini di efficienza non immaginabili altrimenti.
Ma la tecnologia da sola non basta, perché oltre alla necessaria valutazione degli impatti del sistema sotto altri aspetti, p.e. quello giuridico e in qualche modo geopolitico, è necessario favorire l’inclusione dei diversi strati sociali, promuovendo sempre più la componente socio/partecipativa nella governance della City. È indispensabile pertanto cercare per quanto possibile di invertire la tendenza alla distanza sociale, rispetto a quanto avviene oggi, per avere davvero città Smart destrutturando nel tempo, per quanto possibile, le situazioni che viviamo quotidianamente e rappresentate magnificamente nella scultura di Simone Benedetto “Together Alone”.