L’ultimo decennio passato è stato caratterizzato soprattutto nei Paesi occidentali da una forte stagnazione economica, da importanti problematiche ambientali e dal perdurare di disuguaglianze sociali ed economiche a cui non si sono date le opportune risposte tramite nuove politiche sociali ed economiche.
La crisi epidemiologica Covid-19 esplosa nel marzo del 2020 ha dimostrato al mondo l’evidente vulnerabilità di tutto l’ecosistema naturale soggetto a sempre più forti pressioni ambientali e climatiche cui è necessario dare rapidamente risposte.
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Riguardo la crisi climatica in atto l’OMM (Organizzazione Meterologica Mondiale) Il 31 ottobre il ha rilasciato un report provvisorio “Lo stato del Clima 2021” che recita: gli ultimi sette anni sono stati i sette anni più caldi mai registrati e che l’accelerazione dell’innalzamento del livello del mare ha raggiunto nuovi picchi nel 2021. Ogni anno recente è sempre più caratterizzato da ondate di calore, incendi, siccità e inondazioni che hanno provocato caos in tutto il pianeta quest’anno e intende informare i negoziati della Cop26.
Il cambiamento che potrebbe nascere da una crisi così grave come quella in corso potrebbe essere tuttavia un’opportunità unica per riscrivere la direzione dello sviluppo degli Stati più moderni tracciando anche l’esempio per le economie in via di sviluppo.
I segnali positivi
Ancora prima del 2020 possiamo leggere alcuni segnali positivi quali ad esempio il lancio dell’Agenda 2030 dell’ONU che definisce una nuova visione verso un’economia circolare, a basse emissioni, resiliente agli impatti climatici e ad altri cambiamenti globali che mettono in pericolo le comunità locali, dando priorità alla lotta contro la perdita di biodiversità, l’alterazione dei cicli biogeochimici fondamentali (carbonio, azoto, fosforo) e cambiamento di destinazione d’uso. Sulla base di questa strategia è necessario quindi bilanciare la crescita, ridurre le disparità, identificare quindi un approccio economico non solo orientato al reddito ma più vicino ai cicli naturali (Voluntary National Review ITALY National Sustainable Development Strategy, MITE 2017.
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Anche la pubblicazione nel 2015 dell’Enciclica “Laudato sii” ha fissato un passaggio cruciale anche da parte della Chiesa Cattolica riguardo la posizione nei confronti dello sviluppo umano che deve essere nell’ambito dei limiti planetari e che ha sicuramente acceso un forte dibattito riguardo i temi dello sviluppo sostenibile. Dalla pubblicazione del testo il Papa molto spesso è intervenuto sui temi dell’enciclica per indirizzare le politiche dei governi di tutto il mondo, delle organizzazioni economiche e di quelle della società civile sottolineando l’urgenza di prendere azioni rapide al fine di riportare lo sviluppo umano nell’ambito della sostenibilità.
Crisi climatica: i prossimi mesi
I prossimi mesi saranno quindi fondamentali per l’elaborazione e la definizione delle politiche pubbliche del prossimo triennio. La richiesta popolare di politiche pubbliche e private che promuovano lo sviluppo sostenibile è forte proprio perché la crisi ha messo in luce le profonde interazioni tra le dimensioni ambientale, sociale, economica e istituzionale nel nostro mondo.
Questo approccio si riflette pienamente negli obiettivi dell’iniziativa Next Generation EU e nelle linee guida che i paesi devono seguire nella preparazione dei loro piani nazionali di recupero e resilienza. Queste richiedono la coerenza delle politiche settoriali, vitali per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile. Tali politiche dovrebbero avanzare proposte concrete e fattibili, a partire dall’inclusione del principio dello sviluppo sostenibile nella Costituzione (Asvis 2020).
Negli ultimi anni la Commissione Europea ha promosso diverse iniziative in linea con gli obiettivi e i valori dell’Agenda 2030. Con l’avvio della Commissione presieduta da Ursula Von der Leyen, l‘Agenda 2030 è diventato un pilastro centrale dell’azione politica dell’Unione europea. Non a caso, è stato evidenziato “l’impegno della Commissione ad affrontare le sfide climatiche e ambientali che è il compito determinante di questa generazione”. L’obiettivo è trasformare l’UE in una società equa e prospera, con un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, dove non ci sono emissioni nette di gas serra nel 2050 e dove la crescita economica è disaccoppiata dalle risorse usate.
Gli obiettivi al 2030 della commissione sono ambiziosi e prevedono una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990) una quota almeno del 32% di energia rinnovabile stando ai livelli di miglioramento almeno del 32,5% dell’efficienza energetica.
Come indicato nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima presentato del Ministero dello Sviluppo Economico nel 2020 (in fase di aggiornamento), si prevede che il contributo delle rinnovabili al soddisfacimento dei consumi finali lordi totali al 2030 (30%) sia così differenziato tra i diversi settori: – 55,0% di quota rinnovabili nel settore elettrico; – 33,9% di quota rinnovabili nel settore termico (usi per riscaldamento e raffrescamento); – 22,0% per quanto riguarda l’incorporazione di rinnovabili nei trasporti.
L’Unione Europea ha indicato la strada da percorrere e l’Italia può giocare un ruolo da protagonista in questa trasformazione e raccogliere così gli enormi benefici che porta; visione, coraggio, innovazione, tenacia e partecipazione sono gli ingredienti vitali per realizzare un’Italia più sostenibile.
In Italia siamo ancora nel pieno della tempesta per la pandemia da Covid 19 ma il Governo ha avviato il programma di finanziamenti legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e gli altri strumenti messi in cantiere per risolvere gli annosi problemi che da decenni condizionano la nostra economia.
Già a maggio l’alleanza ASviS aveva evidenziato (Italy and the Sustainable Development Goals ASviS Report 2020) che attraverso la transizione verde e la digitalizzazione, la necessità di combattere le disuguaglianze di genere, la semplificazione delle procedure amministrative, gli investimenti nella conoscenza e la tutela e valorizzazione del capitale naturale come priorità delle politiche di rilancio.
Rilanciare il sistema Paese
Vediamo quali sono le condizioni base per favorire il rilancio del sistema paese. Qui si cita quando indicato da Confindustria (in Courage for the future Italy 2030-2050).
Alcuni punti fondamentali sono:
- Sostenere il processo di transizione energetica per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050, garantendo la competitività del sistema produttivo, e soprattutto dei settori più a rischio di delocalizzazione. Inoltre, devono essere individuate linee guida di intervento prioritario per creare un ecosistema per lo sviluppo di nuove catene del valore della green economy;
- Sostenere il processo di transizione ambientale verso modelli di business basati su un’economia circolare attraverso l’eliminazione delle barriere non tecnologiche, il rafforzamento delle strutture italiane e la creazione delle condizioni per lo sviluppo di mercati di beni e servizi innovativi e nuove competenze professionali per l’uso efficiente delle risorse naturali e materiali grezzi.
- Investire maggiormente in Ricerca e Sviluppo per migliorare il potenziale innovativo anche del settore privato come leva strategica per aumentare il valore aggiunto dei prodotti e consolidare la partecipazione delle imprese italiane nelle principali catene del valore globali.
- Attivare lo sviluppo del settore pubblico come motore del cambiamento: gli appalti pubblici innovativi sono un aspetto importante della politica industriale
- Rafforzamento del piano transizione 4.0, che prevede incentivi fiscali per investimenti in macchinari, progetti di innovazione tecnologica per Industria 4.0, economia circolare e ricerca e sviluppo, con l’obiettivo di rilanciare gli investimenti e garantire un sostegno stabile al settore privato a almeno a medio termine.
- Completare e potenziare gli investimenti per lo sviluppo di un’economia digitale sicura, scalabile e interoperabile. La presenza di un moderno e innovativo ecosistema digitale ampiamente condiviso nella società diventerà sempre più un asset strategico per facilitare e sostenere l’evoluzione del sistema economico, sociale e culturale italiano. Sarà un driver fondamentale per la trasformazione digitale del settore pubblico e privato e un motore di sviluppo e occupazione.
Proprio riguardo al settore della Pubblica Amministrazione è interessante notare che nel PNRR si punti sul ruolo fondamentale per il rilancio del paese. Vi è infatti il riconoscimento del drammatico sottodimensionamento e invecchiamento della PA e della mortificazione della formazione. Nell’indicare le linee di azione, particolarmente importante è l’enfasi sulla necessità di un reclutamento di qualità, fondato sulla valutazione dei nuovi fabbisogni, celere e attento non tanto alle conoscenze nozionistiche quanto a capacità organizzative e attitudini.
Focalizziamoci sulle trasformazioni principali che investono la nostra società; quella energetica e quella della mobilità e vediamo come sono declinate in chiave PNRR.
Il PNRR e la sostenibilità
Delle missioni che compongono il Piano Nazionale di Ripresa Resilienza quella con il più ampio stanziamento di risorse è legata alla “rivoluzione verde e transizione ecologica”, alla quale sarà destinato più del 31% dell’ammontare complessivo del Piano, per 69,8 miliardi di euro, (a cui si aggiungono i fondi della programmazione di bilancio per un totale di oltre 79 miliardi). Di questi, oltre 18 miliardi di euro sono dedicati alla componente “transizione energetica e mobilità locale sostenibile” per incrementare la quota di energia prodotta da rinnovabili, in linea con gli obiettivi europei, stimolare la filiera industriale, inclusa quella dell’idrogeno, e potenziare e digitalizzare le infrastrutture di rete.
Decarbonizzazione ed energie rinnovabili
Il PNRR segna dunque un ulteriore passo nella direzione della decarbonizzazione, con un ingente somma di investimenti economici nei prossimi anni per intensificare l’impegno dell’Italia in direzione degli obiettivi ambiziosi dell’European Green Deal e creare nuove occasioni di crescita e sviluppo.
A fronte delle assai chiare indicazioni europee sulla natura trasversale della transizione ecologica, tuttavia nel PNRR non è presente al momento alcuna indicazione su come si raggiunge il 37% di green né quale sia il tasso di green presente nei vari progetti (l’UE richiede di esplicitare tre valori: 100% – 40% o 0 di contributo al green). Modeste le ambizioni: perfino gli obiettivi per il clima sono inferiori a quelli europei: 51% di riduzione di CO2 al 2030 (contro il 55%).
Nello specifico le risorse per incrementare la produzione di energia rinnovabile sono pari a 5,9 miliardi di euro. È positivo che siano destinati: 1,1 miliardi di euro per l’agrivoltaico (obiettivo 2GW) che amplia gli interventi anche agli impianti a terra in cui convive il solare con le colture; 2,2 miliardi di euro per la promozione delle comunità energetiche e l’auto consumo nei Piccoli Comuni (obiettivo 2 GW); 3,61 miliardi di euro per il rafforzamento delle smart grid e 500 milioni di euro per la resilienza delle reti. Citando un’analisi di Legambiente sulle fonti rinnovabili appare tuttavia deludente l’investimento di soli 680 milioni di euro per gli impianti innovativi tra cui l’off shore.
E non è previsto nulla per il solare da installare nelle aree dismesse da bonificare. È una novità importante rispetto alla versione precedente del PNRR l’attenzione dedicata allo sviluppo del biometano, per il quale vengono stanziati 1,92 miliardi di euro. (I cambiamenti necessari nel PNRR per la Transizione Ecologica, Legambiente).
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Mobilità
Riguardo la mobilità e nello specifico quella elettrica e le batterie a supporto dei veicoli a zero emissioni nonostante esista una strategia Comunitaria sulla creazione di una filiera industriale l’Italia sconta un ritardo importante rispetto a tanti Stati Europei e internazionali. Peraltro, come indicato dall’Associazione Motus-e, si deve accompagnare l’industria di componentistica alla riconversione per la produzione di nuovi sistemi ausiliari dei sistemi di trazione, soprattutto del pacco batterie, integrati con quelli per l’abitacolo. Inoltre, sono significative le competenze delle nostre imprese sull’economia circolare: la Battery Directive della UE pone obiettivi sfidanti di riuso e riciclo e l’Italia avrebbe le capacità e le risorse per sfruttare questa opportunità. Il piano, in sintesi, manca l’obiettivo di sviluppo della mobilità elettrica, misura cruciale per la decarbonizzazione dei trasporti. In totale controtendenza rispetto ai principali stati membri, vi dedica meno dell’1% del fondo, contro oltre il 25% circa della Germania ed il 10% della Spagna.
Riguardo la mobilità ferroviarie Il PNRR si concentra molto sulle grandi opere con circa 13 miliardi destinati all’Alta velocità Ferroviaria su 24,77 miliardi dedicati a nuove ferrovie.
Solo 9,53 miliardi (7,8mld da Recovery e 1,73 da fondo complementare) sono destinati ai nodi metropolitani e alle ferrovie regionali del Paese dove gravitano milioni di cittadine e cittadini ogni giorno.
Smart city
E in ultimo Il PNRR risulta un po’ debole sulle città, responsabili della maggior parte delle emissioni di CO2 e degli inquinanti locali. Esse dovrebbero essere le protagoniste di un nuovo sviluppo resiliente e sostenibile, con al centro i trasporti che vengono invece “liquidati” con soli 8,58 miliardi.
Il capitolo sul digitale e l’innovazione tecnologica che vale circa 40 miliardi (20% del totale delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), di cui 8 solo per la digitalizzazione della PA.
Rigenerare le amministrazioni pubbliche è la principale priorità nazionale per garantire il successo dell’azione del governo e dell’attuazione del PNRR. La riforma della PA in chiave digitale, dovrà muoversi in investimenti in connettività con anche la realizzazione di piattaforme efficienti e nell’aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici.
Tecnologia e ricerca
In definitiva il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione nei vari settori e la digitalizzazione della società non può però prescindere dall’utilizzo delle tecnologie più avanzate e dal continuo miglioramento delle stesse. In questo senso, la ricerca scientifica gioca un ruolo chiave per la transizione ecologica della società. In particolare, ci sono quattro campi di indagine in cui la ricerca sta progredendo in maniera molto vivace: l’idrogeno verde, le batterie per la mobilità elettrica, lo stoccaggio per le rinnovabili, e la fusione nucleare.
E’ noto che la ricerca scientifica è il motore principale dello sviluppo economico e non a caso i paesi che hanno crescite sostenute investono il 3% del Pil in ricerca, come infatti raccomanda la commissione EU. A oggi l’Italia investe in ricerca solo l’1.4% del Pil e in ricerca pubblica di base e applicata circa lo 0.5% (9 miliardi di cui 6 in ricerca di base e 3 in ricerca applicata).
Certamente la ricerca e l’innovazione tecnologica devono tornare ad essere centrali nelle politiche di sviluppo del nostro Stato.
Per far questo, ad esempio, l’Unione europea dovrebbe accrescere le proprie ambizioni sul rilancio dello Spazio europeo della ricerca, disegnare politiche per l‘innovazione più incisive per il nuovo decennio e concepire un approccio rafforzato e più europeo per i finanziamenti pubblici e privati in R&S.
Serve maggiore investimento in ricerca, è quindi interessante chiudere con le parole del Manifesto Research and Innovation for the Future of Europe, lanciato da venti organizzazioni del mondo della ricerca e innovazione italiana ed europea, da oggi aperto alla sottoscrizione pubblica sul sito researchforeurope.eu.
In conclusione
Si legge che “il futuro dell’Europa e dei suoi cittadini sarà in gran parte legato ai risultati nel campo della scienza e della tecnologia. Nei prossimi anni, la ricerca e l’innovazione saranno fondamentali per guidare la ripresa europea post-Covid, accelerare la transizione ecologica e la trasformazione digitale, e sostenere le aspirazioni di autonomia strategica dell’Unione.”
Mai come oggi – si legge ancora nel Manifesto – è fondamentale promuovere un dialogo aperto tra scienza, tecnologia e società e un impegno diretto dei cittadini nelle attività di ricerca e innovazione, in modo che gli Europei possano continuare a riconoscere il contributo della scienza e della tecnologia al progresso e alla propria vita quotidiana.
Per secoli l’Europa è stata la patria del progresso scientifico e tecnologico globale: oggi più che mai gli europei dovrebbero svolgere un ruolo attivo per fare della Ricerca e dell’Innovazione le basi per costruire l’Europa del futuro.