Politiche ESG

Sostenibilità aziendale: il ruolo strategico del mobility manager



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Il ruolo del mobility manager nella sostenibilità aziendale è cruciale per il raggiungimento degli obiettivi ESG. La Direttiva Europea 2022/2464/UE promuove la trasparenza e il reporting delle imprese sugli impatti ambientali, sociali e di governance. In Italia, il Decreto Rilancio impone la nomina obbligatoria del Mobility Manager per aziende con più di 100 dipendenti, incentivando soluzioni di mobilità sostenibile

Pubblicato il 30 set 2024

Roberta De Felice

Consulente del Lavoro

Giorgia Tosoni

Consulente del Lavoro



sostenibilità aziendale (1)

Nell’era della sostenibilità e delle politiche ESG (Environmental, Social, Governance), le aziende sono sempre più chiamate a ridurre il loro impatto ambientale e a migliorare il benessere sociale. Un ruolo cruciale in questo contesto è svolto dal mobility manager, una figura specializzata nella gestione della mobilità aziendale.

Vediamo perché figura del mobility manager è diventata essenziale per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità aziendale e il rispetto delle normative europee e nazionali.

Sviluppo sostenibile e Green Deal: gli oneri per le aziende

Con il termine sviluppo sostenibile, si fa sempre più riferimento ad una crescita – anche economica – in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità di garantire alle generazioni future di realizzare i propri.

Da ormai diversi anni la Commissione Europea è attenta al concetto di sviluppo sostenibile sia nell’ottica dello sviluppo delle attività economiche che per la salvaguardia dell’ambiente ed ha attuato una serie di iniziative strategiche, tra cui da ultimo, il Green Deal Europeo con cui si è prefissata l’obiettivo di guidare il nostro continente in una transizione verde, mediante la promozione di un’economia sostenibile, con lo scopo primario finale di raggiungere la neutralità climatica nel 2050.

Ruolo cardine del processo di transizione è affidato alle aziende, su cui grava l’onere di attuare tutte le misure idonee a limitare l’impatto della loro attività sull’ambiente e sulla società circostante.

Direttiva Ue CSRD: gli obiettivi

Al riguardo la Direttiva Europea 2022/2464/UE CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), pubblicata in G.U. dell’UE il 16 dicembre 2022 e collocata all’interno del Green Deal, ha lo scopo di promuovere la trasparenza e la divulgazione da parte delle imprese delle informazioni relative agli impatti ambientali, sociali e legati alla governance (ESG) delle loro attività, attraverso un rafforzamento degli obblighi di reporting delle stesse. L’obiettivo perseguito dalla direttiva CSRD è quello di fornire ad investitori e stakeholder, mediante “la rendicontazione della sostenibilità aziendale”, un’informativa dettagliata, ed il più possibile standardizzata ed esaustiva, sulla sostenibilità della singola impresa, o gruppo di esse, con conseguenze positive sul mercato finanziario in termini di completezza informativa, trasparenza e comparabilità dei dati.

La sostenibilità quale nuovo valore di rating

Da ciò deriva poi l’importanza riconosciuta oggi alla sostenibilità quale nuovo valore di rating preso in considerazione da investitori esterni nella valutazione delle aziende, che ponendo l’attenzione su fattori di tipo ambientale, sociale e di governance, indirizzano i propri capitali verso attività e progetti sostenibili aprendo le porte alla c.d. finanza sostenibile.

I criteri ESG, di Environmental, Social e Governance

Al riguardo, infatti, per verificare il livello e l’impegno in termini di sostenibilità di una impresa vengono utilizzati i criteri ESG, di Environmental, Social e Governance, considerati veri e propri indici di rating. Con tale acronimo si fa riferimento ai tre pilastri tramite i quali si intende valutare

  • l’impatto dell’attività societaria a livello ambientale (Environmental),
  • l’operato dell’azienda al proprio interno nei confronti dei dipendenti mediante l’adozione di politiche basate sulla valorizzazione dei diritti umani, dell’uguaglianza, dei programmi di inclusione, della parità di genere e a livello sociale (Social),
  • le politiche aziendali intraprese in termini di etica retributiva, trasparenza delle scelte aziendali, contrasto alla corruzione, diritti degli azionisti, tutela delle minoranze (Governance).

La figura del mobility manager

Volgendo lo sguardo all’ordinamento italiano occorre evidenziare come il Decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020 (c.d. Decreto Rilancio) è intervenuto in termini di sostenibilità ambientale e Mobility management, introducendo all’articolo 229 comma 4, l’obbligo di nomina per aziende private ed enti pubblici di un responsabile della mobilità, il cosiddetto mobility manager, ovverosia una figura specializzata nella gestione della domanda di mobilità e nella promozione della mobilità sostenibile nell’ambito degli spostamenti casa-lavoro del personale dipendente.

Ai sensi della norma richiamata, sono interessati attualmente dall’ obbligo di nomina del Mobility Manager, gli enti pubblici e le aziende private con più di 100 dipendenti per sede, ubicate in zone ad elevato rischio di inquinamento atmosferico quali: capoluoghi di Regione, Città metropolitane, capoluoghi di provincia e Comuni con una popolazione superiore a 50.000 abitanti.

I compiti del mobility manager

All’interno delle strutture in cui opera, il mobility manager ha il compito di guidare le imprese nella “decisione, pianificazione, programmazione, gestione e promozione di soluzioni ottimali di mobilità sostenibile” mediante la realizzazione di interventi legati agli spostamenti dei lavoratori. A tal proposito, secondo la diposizione normativa, aziende ed enti pubblici sono tenuti a adottare entro il 31 dicembre di ogni anno un Piano degli Spostamenti Casa-Lavoro del proprio personale dipendente (c.d. PSCL) prodotto con il supporto dello stesso Mobility Manager e finalizzato alla riduzione dell’uso del mezzo di trasporto privato individuale e ad una migliore organizzazione degli orari per limitare la congestione del traffico.

L’introduzione nel nostro ordinamento della pratica del mobility management

È opportuno precisare che la pratica del Mobility management vige da tempo nel nostro paese, in quanto introdotta con il decreto del Ministero dell’Ambiente del 27 marzo del 1998, che all’art. 3 disponeva per aziende private complessivamente con oltre 800 dipendenti ed enti pubblici ed imprese con più di 300 dipendenti per sede, la predisposizione di un piano degli spostamenti casa-lavoro del personale dipendente individuando, già all’epoca, un responsabile della mobilità aziendale. Il Decreto Rilancio ha ridotto notevolmente il requisito dimensionale, rendendo obbligatoria la nomina del responsabile della mobilità tramite l’introduzione della figura del Mobility Manager.

Nonostante in vigore da tempo, si ritiene di poter affermare che solo oggi, a fronte della maggior consapevolezza acquisita da investitori e stakeholder in tema di sostenibilità e alla forte attenzione posta all’interno dell’ambiente lavorativo a tematiche quali il benessere dei lavoratori, lo sviluppo tecnologico e la crisi climatica, la figura del Mobility Manager possa acquisire un ruolo chiave all’interno delle politiche ESG ed essere quindi considerata come figura indispensabile all’interno delle imprese.

La tecnologia a supporto del mobility management

Diversi sono gli interventi di mobilità sostenibile realizzabili all’interno delle aziende con l’ausilio di strumenti tecnologici e nel pieno rispetto delle politiche di Environmental, Social e Governance, primo fra tutti l’utilizzo del lavoro agile, di cui ne sono stati ampiamente constatati i benefici negli ultimi anni. Tale modalità lavorativa consente infatti (i) una riduzione dell’uso dei mezzi di trasporto da parte dei dipendenti, (ii) una maggior conciliazione dei tempi di vita – lavoro e (iii) minori spese aziendali, riconducibili in un’ottica ESG (i) in una riduzione dell’impatto ambientale, (ii)nell’incremento del benessere dei lavoratori e (iii) nell’abbattimento dei costi economici, aspetto di cui deve tener conto il Mobility Manager nello svolgimento del proprio operato.

Un ulteriore intervento pienamente in linea con le politiche qui in esame riguarda l’attribuzione di benefit aziendali attinenti alla sfera della mobilità dei dipendenti. La concessione di auto aziendali a bassa emissione o elettriche, il rimborso degli abbonamenti di trasporto pubblico, la messa a disposizione di mezzi di trasporto in sharing, l’utilizzo di navette tramite convenzioni con il trasporto pubblico locale, l’adozione di un sistema di car – pulling, sono tutti interventi a favore dei dipendenti che accrescono il benessere degli stessi, disincentivano l’utilizzo del mezzo di trasporto privato e nel contempo apportano un guadagno aziendale in termini di affiliazione dei lavoratori, puntualità rispetto all’orario di lavoro e maggior socializzazione tra colleghi, a vantaggio di un clima di lavoro più sereno e della produttività aziendale.

Servizi di mobilità sostenibile: i chiarimenti dell’Agenzia delle entrate

A vantaggio dello sviluppo di politiche sostenibili l’Agenzia delle Entrate è recentemente intervenuta sul tema con la Risposta a Interpello n. 74 del 21 marzo del 2024, fornendo chiarimenti al quesito posto da una Società Istante in merito al trattamento fiscale dei servizi di mobilità sostenibile per il tragitto casa – lavoro – casa concessi ai dipendenti nell’ambito di un piano di welfare aziendale, tramite l’utilizzo di un’applicazione.

Nel caso preso in esame dall’Ente, l’istante intendeva realizzare un’“App” che consentisse ai dipendenti l’accesso a servizi di mobilità sostenibile quali, car- sharing, bike- sharing, scooter-sharing, monopattini elettronici e altri, da utilizzare per gli spostamenti casa-lavoro- casa, con un impatto positivo in termini di sostenibilità ambientale e maggior sicurezza stradale, mediante l’ ottimizzazione e la riduzione di costi sociali e costi individuali di trasporto relativi al tragitto casa- lavoro dei lavoratori e la promozione di comportamenti responsabili dei dipendenti verso l’ambiente e verso l’utilizzo delle risorse. Il quesito dell’Istante verteva sulla possibilità di far rientrare i servizi offerti tramite applicazione, tra le iniziative welfare escluse da imposizione fiscale (ai sensi dell’ art. 51, comma 2 lettera f) del Tuir).

L’Agenzia delle Entrate rispondendo positivamente a tale quesito ha confermato che i servizi di mobilità sostenibile possono essere considerati fiscalmente esenti per i dipendenti fruitori, purché in linea con quanto previsto dalle disposizioni di legge ossia:

  • i beni siano offerti alla generalità dei dipendenti o categorie di esse,
  • la concessione consenta il perseguimento di finalità sociali ai sensi dell’art. 100, comma 1 del Tuir
  • i lavoratori, liberi di usufruire dei servizi concessi, siano totalmente estranei al rapporto economico che intercorre tra azienda e eventuale terzo fornitore del servizio.

Tale conclusione conferma sia il vantaggio economico delle aziende nell’adottare piani di welfare alternativi alle erogazioni in denaro, che il beneficio dei lavoratori nel fruire di benefit aziendali esenti dal reddito imponibile, oltre ad intervenire significativamente sull’ambiente esterno accrescendo la sostenibilità aziendale.

Conclusioni

Anche se attualmente, le politiche ESG sembrano interessare ancora solo poche aziende private, di grandi dimensioni e multinazionali, si ritiene che ben presto, complice la necessità di frenare la preoccupante crisi climatica e l’obbligo di recepimento delle direttive imposte a livello comunitario, verrà richiesto a tutte le imprese sia grandi che piccole di operare attraverso i tre indici ESG e a quel punto la figura del mobility manager accrescerà il suo ruolo chiave in termini di sostenibilità aziendale.

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