Il concetto di sostenibilità è usato con tale frequenza nel mondo delle imprese da far pensare che questo sia frutto di una moda, più o meno passeggera. Non ci sarebbe da sorprendersi, visto che lo stesso è accaduto a ondate con altri concetti, anche grazie all’interesse delle società di consulenza a creare un nuovo “filone” attorno a cui proporre i propri servizi.
In effetti il termine sostenibilità è diventato così mainstream da far sì che le imprese che ne sono state pioniere siano alla ricerca di un’alternativa, e “Rigenerazione” sta vincendo la corsa, mentre all’opposto c’è già chi dice che “non se ne può più di tutta questa sostenibilità”.
Prospettive sulla sostenibilità
Ora: possiamo leggere questo fenomeno da diverse prospettive.
Potremmo infatti pensare che la sostenibilitàsia già talmente integrata nel comportamento delle imprese da non rappresentare più né un fattore di differenziazione né una leva di cambiamento, avendo esaurito il suo potenziale d’innovazione e di catalizzazione di attenzione. Oppure, che fosse appunto una moda e che, come tale, sia destinata a esaurire il suo effetto.
Risponderei con un “magari!” alla prima opzione e con un “ma dai!” alla seconda. Ecco perché.
La realtà attuale della sostenibilità nelle imprese
L’attenzione crescente verso la sostenibilità delle imprese si è sino ad ora riflessa in prevalenza in un cambiamento delle strategie delle imprese. Ma questo è ancora lontano dal trasformarsi in modo totalizzante in cambiamenti effettivi del loro modo di agire, tali quindi da ridurre o azzerare il loro impatto negativo e le esternalità che questo comporta, sulle persone, sulla società e sull’ambiente.
A fronte di tante buone intenzioni, e anche di piani di implementazione coerenti sulla carta, ci sono resistenze al cambiamento che sono difficili da scalfire, e questo prima di tutto dal punto di vista culturale. Un certo livello di esternalità negative viene infatti tollerato perché in qualche modo considerato connaturato all’attività di impresa, senza il quale le imprese non potrebbero sopravvivere o prosperare.
Questo accade in modo molto evidente nei settori più critici, ad esempio quello dell’energia, dove il cambiamento comporta una trasformazione radicale, o quello della moda, che deve rivoluzionare business model e supply chain. O anche laddove i fast mover della sostenibilità non hanno ancora avuto un impatto significativo, ad esempio nel settore dell’edilizia e in tutto quanto gli ruota intorno.
Ma anche nei settori che, sia in relazione alla natura della propria offerta che agli aspetti tecnologici, potrebbero correre verso livelli superiori di sostenibilità, il cambiamento non sta invece correndo alla massima velocità che sarebbe consentita appunto dalle tecnologie e dalle attese del mercato. Altrimenti non ci sarebbero imprese che sono ancora indifferenti rispetto all’approvvigionamento dell’energia da fonti rinnovabili, o in cui si registrano ancora differenziali retributivi fra lavoratori di genere diverso, o che non hanno il minimo controllo sulle pratiche della loro supply chain. Insomma, traducendo dall’inglese, possiamo dire che per il momento stiamo solo “grattando la superficie” della sostenibilità.
Sfide e ostacoli al cambiamento
Si potrebbe quindi bene pensare che le cose non possano veramente cambiare in modo esteso e in profondità, e quindi che la sostenibilità sia una moda destinata a finire e quindi a divenire solo uno dei tanti “modi” di stare sul mercato. Questo nonostante le imprese che adottano i modelli più virtuosi, quelli delle B Corp e delle Società Benefit per intenderci, e tante altre, si stiano impegnando a fondo e con grandi risultati per dare sostanza al termine e a quello che rappresenta.
Purtroppo, però, la spinta “ideologica” di queste imprese non è sufficiente a generare quel cambiamento definitivo di cui il pianeta, e con esso la nostra specie, ha bisogno.
Perdiamo quindi la speranza?
Fattori di spinta verso la sostenibilità
Direi che non è il caso, perché ci sono buone ragioni per pensare che altri fattori, in parte estranei al mondo del business e in parte conseguenti a quello che sta già accadendo, diano una spallata decisa e possibilmente decisiva. Eccoli.
La convenienza
Partiamo dalla convenienza. Oggi, infatti, essere “sostenibili” è sempre più conveniente. I segmenti di mercato riservati a prodotti green o etici sono in forte espansione. Questo accade ovviamente nel Business to Consumer, grazie alla maggiore sensibilità e alla più ampia possibilità che i cittadini/consumatori hanno di disporre di informazioni su quello che c’è dietro ciò che acquistano. Tante persone continuano ad effettuare i loro acquisti senza farsi troppe domande, ma tante altre, e sempre di più, vogliono sapere cosa c’è dietro a quello che acquistano e quindi quale è il suo impatto. E fanno delle scelte conseguenti. Lo stesso accade a velocità crescente nel BtB (Business-to-business) , visto che le imprese sono sempre di più chiamate a rispondere di ciò che accade nelle loro catene di fornitura. Da questi segmenti di mercato in forte espansione è sempre più difficile pensare di restare fuori e, anche quando questo accade, l’attenzione alle componenti di sostenibilità della propria offerta non può più essere trascurata.
La convenienza vale anche per quanto riguarda i prezzi e i costi. Da un lato la disponibilità al Green Premium, cioè a pagare qualcosa in più per un prodotto “verde”, è crescente; dall’altra i costi delle risorse e dei materiali sostenibili si stanno abbassando, sia grazie all’aumento dei volumi che alla ricerca. E, a proposito della ricerca, gli investimenti sul fronte della sostenibilità sono aumentati in modo esponenziale e quindi i frutti non potranno che arrivare.
Il ruolo della finanza nella promozione della sostenibilità
Veniamo al secondo fattore, e cioè al favore che il mondo della finanza sta riservando alle imprese sostenibili. Il famoso fattore ESG insomma. Questo favore non proviene certo da una visione ideologicamente diversa del ruolo della finanza anche se, purtroppo ancora marginalmente, c’è chi invece l’ha sposata, ma per la consapevolezza che queste imprese riducano i rischi, in particolare quelli reputazionali, e nello stesso tempo, grazie alla maggiore convenienza e attrattività, siano più dinamiche sul mercato. Oggi il mondo della finanza sta ancora “sgrossando” il proprio approccio a questa tematica, spesso le valutazioni sono ancora formali o parziali, ma la competenza su questo fronte sta inevitabilmente crescendo così come è sempre più provato che le performance di queste imprese meritino quell’attenzione.
L’impatto della legislazione europea
Terzo fattore, determinante, la legislazione, in particolare quella Europea. Le norme come la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), o la CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), o quelle sui Green Claims e sul Diritto alla Riparazione, obbligano le imprese a cambiare modo di agire, comunicare e rendicontare. Oggi questo riguarda, a seconda della norma, solo alcune imprese o tutte, ma la direzione è chiara e i risultati delle elezioni europee hanno ridotto il rischio di una discontinuità nell’azione legislativa, anche se non sono da escludere ritardi o diluizioni nella fase di attuazione. Esiste certo il rischio che, per alcuni aspetti, il comportamento delle imprese si riduca ad un adempimento formale e che queste norme diventino una zavorra burocratica che le piccole imprese difficilmente potranno sopportare (e qui qualche “aggiustamento” è certamente necessario). Ma nell’insieme, esaurire con questo la portata di queste norme o smentirne l’importanza sarà molto difficile, perché il loro contenuto è davvero di sostanza.
Il cambiamento culturale in corso
Veniamo all’ultimo fattore. La maggiore convenienza obbliga imprenditori e manager a prendere le loro decisioni utilizzando fra i criteri in base ai quali le prendono anche i temi legati alla sostenibilità. Questo, progressivamente, porta ad assumere nuovi schemi mentali. Siamo ancora lontani da un vero cambiamento culturale ma per tante persone che in automatico prendevano decisioni considerando esclusivamente il loro impatto su ricavi, costi e quindi sui profitti, questa sarà una strada senza ritorno, perché “risveglierà” valori profondi che diverranno irrinunciabili. E lo saranno in partenza per le nuove generazioni.
La strada verso un futuro sostenibile
Tutto bene, allora? Il cambiamento verso la sostenibilità è certo? Nel lungo periodo penso di sì, il punto è che questo “lungo” va accorciato e l’insostenibilità va combattuta senza esitazioni ma anche con gli ammortizzatori necessari perché non ne debbano pagare il prezzo le imprese e le persone più deboli, perché uscirne tutti vincitori è possibile.