Pacchetto Omnibus

Sostenibilità, dietrofront Ue: la competitività vince sugli obblighi green



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L’Unione Europea rivede la sua rotta sulla sostenibilità. Il pacchetto Omnibus modifica CSRD e CSDDD, riducendo gli obblighi per le imprese e rinviando l’attuazione delle normative green

Pubblicato il 3 apr 2025

Marco Cristiano Petrassi

Partner di SZA Studio Legale



rendicontazione di sostenibilità aziendale

La fede e l’impegno incrollabile dell’Unione Europea in materia di sostenibilità hanno subito un brusco stop.

Come preconizzato dalla relazione di Mario Draghi del settembre 2024 sulla competitività e anticipato da mesi di rumors, il 26 febbraio 2025 la Commissione Europea ha pubblicato l’Omnibus Simplification Package, un provvedimento che ambisce ad accrescere la competitività europea e alleggerire gli oneri amministrativi che, dalle disposizioni della CSRD, CSDDD e Tassonomia, sarebbero potuto derivare per le imprese finanziarie e non finanziarie.

Il nuovo approccio alla sostenibilità Ue dopo il pacchetto Omnibus

La Commissione in maniera esplicita si è posta il chiaro obiettivo di realizzare uno sforzo di semplificazione senza precedenti, riducendo gli oneri amministrativi di almeno il 25% e quelli per le PMI di almeno il 35% entro la fine del suo mandato. Riunendo le proposte relative ad ambiti legislativi collegati tra loro, questi pacchetti “omnibus” – spiega l’esecutivo comunitario – puntano a una semplificazione di vasta portata nei settori dell’informativa sulla finanza sostenibile, del dovere di diligenza ai fini della sostenibilità, della tassonomia dell’Ue. Secondo una stima che la Commissione definisce “prudenziale” le proposte apporteranno risparmi complessivi in termini di costi amministrativi annuali di circa 6,3 miliardi di euro e mobiliteranno capacità aggiuntive di investimento pubblico e privato pari a a 50 miliardi di euro a sostegno delle priorità politiche comunitarie.

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Le modifiche chiave alla sostenibilità Ue nel Pacchetto Omnibus

Le principali linee di azione del pacchetto Omnibus riguardano:

  • per quanto riguarda la CSRD:
    • la modifica del perimetro di applicazione della CSRD, aumentando le soglie dimensionali così da allinearle a quelle della CSDDD: in particolare, la direttiva si applicherebbe solo alle imprese UE con più di 1.000 dipendenti e almeno €50 milioni di fatturato e/o €25 milioni di patrimonio netto; imprese extra-UE con un fatturato netto UE di almeno €450 milioni e una succursale in UE con almeno €50 milioni di fatturato;la sospensione di due anni dell’entrata in vigore della CSRD per le aziende che, in base alla normativa vigente, avrebbero dovuto pubblicare il primo report di sostenibilità nel 2026 e 2027;
  • per quanto riguarda la CSDD:
    • la semplificazione degli obblighi di due diligence in materia di sostenibilità, limitando l’obbligo di due diligence solo ai partner commerciali diretti e imponendo la revisione delle valutazioni di sostenibilità ogni cinque anni;
    • la rimozione dell’obbligo di interrompere le relazioni commerciali in caso di impatti negativi.

Gli effetti della revisione della sostenibilità Ue per le imprese

Naturalmente le misure del nuovo provvedimento in discussione dovranno essere confermate.

Il Pacchetto Omnibus entrerà in vigore dopo che il Parlamento europeo e il Consiglio avranno raggiunto un accordo sulle proposte e dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, ma la volontà della Commissione è quella di procedere a ritmi serrati, tanto che nel Pacchetto Omnibus 1 è scritto nero su bianco che in fase di recepimento di queste direttive, gli Stati membri “dovranno adottare e pubblicare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi al più tardi entro il 31 dicembre 2025“.

È evidente che questa novità normativa imporrebbe la riduzione del perimetro degli obblighi in tema di rendicontazione e gestione delle tematiche di sostenibilità.

In buona sostanza, la sostenibilità rimarrebbe un tema obbligatoriamente allordine del giorno solo delle grandissime imprese, mentre, per tutte le altre, la questione tornerebbe nella sfera della volontarietà e della responsabilità sociale.

È verosimile quindi che, dopo il terzo settore, comincerà a delinearsi un cosiddetto quarto settore: un’area economica di operatori che, sebbene orientati al profit, tengono conto, nella pianificazione delle proprie iniziative, anche degli impatti su comunità e ambiente.

Le motivazioni dietro il cambiamento di rotta sulla sostenibilità Ue

Se questo è lo scenario, è naturale chiedersi cosa abbia determinato il recente revirement politico.

La giustificazione addotta dalla Commissione è sviluppata nel nome della competitività: lingresso della sostenibilità in modo penetrante nella vita di impresa rischia di essere foriero di lacci e lacciuoli soffocanti per la creatività e vitalità delle aziende.

Tutto il contrario di quanto veniva spiegato (con insistenza quasi catechizzatrice) dalla Commissione Europea fino a qualche mese fa quando la sostenibilità era presentata come il volano della competitività.

Non è un caso che, per sciogliere la contraddizione delle due posizioni, la Commissione Europea si sia affidata alle valutazioni supertecniche di Mario Draghi per raccomandare un nuovo punto di equilibrio tra sostenibilità e competitività. Peccato posizioni analoghe Draghi non le abbia espresse qualche anno fa, quando il suo ruolo era meno tecnico.

Difficile, a questo punto, orientarsi.

La verità è che, negli ultimi anni, la sostenibilità è stato il cavallo di troia per la costruzione di un mondo nuovo e, di più, un uomo oeconomicus nuovo.

Teorie e visioni si scontrano però spesso con la realtà, soprattutto quando non sono sorrette da una cultura diffusa. In questo senso, sono emblematici i primi ordini presidenziali di Trump che, nell’abrogare le politiche green della precedente amministrazione, le definiva “burdensome and ideologically motivated regulations”. Linsistenza ideologica sulla sostenibilità ha determinato, quasi ovunque, una crisi di rigetto.

La sostenibilità è rinviata a tempi migliori, ma non tutto è perduto

Se poi si aggiunge che, da un lato, l’intelligenza artificiale sta imponendo una nuova accelerazione tecnologica, ponendo alle imprese costose sfide di rinnovamento e aggiornamento, dall’altro il nuovo contesto geopolitico è di conflitto e competizione permanente tra stati e superpotenze, il gioco è fatto: la sostenibilità è rinviata a tempi migliori.

Non tutto è perduto, certamente. Grazie allo sforzo divulgativo di molti, la sostenibilità sta comunque percolando nel terreno della cultura sociale ed economica. Quando arriverà il tempo della fioritura – e siamo certi che arriverà – la sostenibilità tornerà al centro del dibattito, in modo, speriamo, più maturo.

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