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Sostenibilità e digitale, “coppia di fatto” della trasformazione energetica: l’Italia a un bivio

Non c’è sostenibilità senza digitale, almeno nel mercato energetico. Ma la digitalizzazione di cui avremmo bisogno è molto più profonda e pervasiva di quella che oggi vediamo nel nostro Paese. Dall’industria agli edifici intelligenti, passando per le auto elettriche, ecco gli investimenti necessari per prepararci al futuro

Pubblicato il 10 Mag 2021

Davide Chiaroni

Politecnico di Milano

Vittorio Chiesa

Politecnico di Milano

smart-building

Si può essere sostenibili senza essere digitali? La domanda può apparire un po’ provocatoria, e dalla risposta non così scontata. In realtà, essa cela una profonda verità che interessa i mercati dell’energia, nella loro recente e soprattutto futura evoluzione: l’impossibilità (e volutamente usiamo una parola “forte”, esprimendo però il parere di chi scrive) di portare a termine la transizione energetica senza passare dalla trasformazione digitale.

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Elettroni e bit, accoppiata inscindibile

L’elettrone e il bit, non solo dal punto di vista “fisico”, sono sempre più interrelati e in mercati dell’energia sempre più complessi, distribuiti e costituiti da una molteplicità di attori differenti, sono una accoppiata inscindibile per garantire l’efficacia e l’efficienza di funzionamento necessaria.

Vediamone qualche esempio concreto.

L’efficienza energetica in Italia, se si guarda al comparto industriale, comanda investimenti annuali (Covid permettendo) nell’ordine dei 3 miliardi di euro all’anno, una parte dei quali è dedicata a mettere al servizio delle tecnologie di efficienza energetica (motori, cogeneratori, sistemi di combustione efficiente, macchinari di processo, …) la sensoristica e gli strumenti software necessari a controllarli e regolarli in maniera efficace. Senza questi ultimi, nella maggior parte dei casi, non è possibile tradurre in efficienza reale, ossia in risparmio in bolletta, gli investimenti fatti e non è quindi un caso che – dai risultati della survey che annualmente conduciamo al Politecnico di Milano – in oltre l’80% delle imprese esistano e siano correntemente impiegati sistemi dedicati al monitoraggio energetico. Un ottimo risultato quindi, di cui andare orgogliosi e con un contributo importante degli investimenti in automazione del Piano Industria 4.0.

Ma la strada da fare, in realtà, è ancora lunga.

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Dati energetici, un valore oltre i confini dell’impresa

Solo il 28% delle imprese che hanno risposto alla nostra survey utilizza i dati energetici nei propri ERP, ossia collega i consumi di energia ai propri prodotti/servizi ed è quindi in grado di prendere decisioni strategiche che comprendano anche questa prospettiva della sostenibilità. Oltre un terzo delle imprese non utilizza i dati energetici raccolti internamente al di fuori del puro monitoraggio dei consumi, e la quasi totalità del campione nemmeno immagina che i dati energetici possano avere un valore al di fuori dei confini dell’impresa.

Eppure, le potenzialità di impiego ci sarebbero, a partire dal cosiddetto mercato della flessibilità, ancora agli albori è vero nel nostro Paese, ma certo destinato a crescere. Si tratta della possibilità per l’impresa di “valorizzare” l’energia in eccesso che si trovasse a produrre o il consumo che potrebbe (pianificando e controllando nel breve periodo opportunamente la propria attività produttiva) limitare per “stabilizzare” il mercato elettrico, consentendo ai gestori di rete di rispondere con più efficacia ai problemi di sbilanciamento tra domanda e offerta di elettricità che la diffusione delle rinnovabili (non programmabili) ha inevitabilmente portato con sé.

Analogamente le imprese potrebbero divenire, quando sarà completato il recepimento delle direttive europee sulle “comunità energetiche”, degli attori “attivi” del mercato dell’energia, aggregando attorno a sé altre utenze (industriali, ma anche residenziali e di servizi) e potendo gestire in maniera autonoma gli scambi di energia a livello locale, bilanciando produzione e consumo ed in qualche modo sviluppando un certo livello di indipendenza (gestionale se non altro) dal resto della rete.

L’importanza degli strumenti per “gestire” l’energia

Appare evidente a chiunque, tuttavia, che per sfruttare queste potenzialità è necessario non soltanto “misurare” i consumi e la produzione, ma avere strumenti in grado di “gestire” l’energia, di raccogliere efficacemente dall’esterno informazioni (ad esempio relativamente alle previsioni di produzione o allo stato della rete) e di controllare flussi energetici multidirezionali (ad esempio nelle comunità dell’energia), bilanciandone non solo la controparte energetica, ma anche e soprattutto la parte economica e gestionale ad essa collegata.

La posta in gioco è molto alta in termini di sostenibilità. Si stima infatti che potrebbero essere coinvolte nel prossimo quinquennio (2021-2025) circa 150-300 mila utenze non residenziali ed oltre 1 milione di utenze residenziali. La riduzione delle emissioni di CO2 potrebbe superare il milione di tonnellate all’anno. Ma come è possibile gestire una tale complessità senza un uso più massiccio del digitale e senza fare dei “dati” energetici il cuore attorno a cui progettare questi interventi?

Smart building, sono i dettagli a fare la differenza

Non abbiamo parlato, e qualcuno se ne sarà sicuramente accorto, di smart building, del nuovo “mantra” degli edifici super efficienti e connessi, che dovrebbero rappresentare il tassello fondamentale attorno a cui costruire i servizi delle smart cities. Anche in questo caso gli investimenti fatti registrare nel nostro Paese sono nell’ordine dei 2 miliardi di euro l’anno, in crescita (Covid permettendo) nel triennio scorso. Si tratta di investimenti necessari per trasformare o dotare un edificio di un’intelligenza e una autonomia di gestione in diverse aree, dall’energia alla sicurezza, dal comfort alla salute.

Eppure, anche in questo caso sono i dettagli a fare la differenza. Si può usare un approccio “additivo” e “sottrattivo”, aggiungendo impianti di produzione energetica distribuita, aggiungendo sensoristica di controllo e monitoraggio delle condizioni ambientali, e sottraendo fonti di consumo, attraverso impiantistica o materiali ad elevata efficienza, immaginando però l’edificio come “a sé stante” nel contesto. Oppure si può adottare un approccio “sistemico”, che punta ad interconnettere l’edificio con il sistema elettrico (in ottica di comunità energetica o di flessibilità, come visto per il caso industriale), a ottimizzare la gestione dei flussi all’interno dello stesso tra i diversi utenti (titolari di utenze), a fornire servizi all’esterno, come ad esempio la ricarica e la connessione dei veicoli elettrici. Quale dei due approcci ha maggiori ricadute in ambito di sostenibilità? Quale dei due richiede, per la sua complessità di gestione, una maggiore e “vera” digitalizzazione?

Auto elettriche, attori attivi del mercato energetico

Abbiamo finito per parlare di auto elettriche. Ce ne sono quasi 100.000 in circolazione in Italia alla fine del 2020, di quelle che richiedono di connettersi alla rete per la ricarica. Il 60% dei quali è stato immatricolato nel 2020, nonostante il Covid, con crescite a tre cifre nelle immatricolazioni rispetto all’anno precedente. È facile crescere percentualmente quando si è piccoli, si potrà obiettare, ma anche dietro questa crescita, che ha trascinato lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica (+46% nel 2020, oltre 10 punti percentuali rispetto alla media europea), si nasconde il dilemma da cui siamo partiti. Le auto elettriche sono sistemi di storage su ruote, capaci di fornire, a determinate condizioni, servizi alla rete elettrica con uno scambio che è effettivamente bi-direzionale (cessione e consumo di energia) e sono a tutti gli effetti attori “attivi” del mercato e delle comunità energetiche. O meglio lo potrebbero essere, se i sistemi di interfaccia delle ricariche fossero progettati in ottica vehicle to grid (V2G) o vehicle to building (V2B) e se ci fossero sistemi software in grado di interpretare i dati di connessione e ottimizzare il sistema, decidendo (magari collegandole alle abitudini e alla routine del guidatore) quando prelevare e quando e quanto cedere alla rete, definendo opportunamente non solo i flussi energetici, ma anche quelli economici e gestionali collegati, come negli altri casi.

Conclusioni

Non si può essere quindi davvero sostenibili senza essere davvero digitali, almeno nei mercati dell’energia. Ma la digitalizzazione di cui avremmo bisogno è, come visto sopra, molto più profonda e pervasiva di quella che oggi vediamo nel nostro Paese.

Abbiamo di fronte una grande opportunità, con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, di dimostrare concretamente quale risposta vogliamo dare alla domanda da cui siamo partiti, indirizzando gli investimenti in modo che costruiscano il futuro che abbiamo delineato.

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