Lo stato di emergenza sanitaria ha acceso un potente faro, tra le altre cose, su quanto il comparto agroalimentare costituisca per l’Italia un cantiere importante nel mercato internazionale e in continua evoluzione. Evoluzione che negli ultimi anni ha portato anche nei campi – oltre che nelle industrie – “macchine 4.0” sulle quali vengano riversate molte risorse, nazionali e comunitarie e delle quali non molto viene comunicato, nonostante i moltissimi programmi Tv che fanno riferimento all’agroalimentare.
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Quello che, ad esempio, non sappiamo e che comunque non viene comunicato con cura e il “come” tali macchinari vengano impiegati, ovvero poco viene detto (e forse è pure poco conosciuto per incuria) dell’interfaccia tra macchinari evoluti e il loro impiego sostenibile nelle culture dei campi. Si potrebbe arrivare a dire che macchine di per sé sostenibili, magari perché operano con vettori energetici quali l’idrogeno verde e sono mosse da motori a celle a combustibile da esso alimentate, rischiano di esercitare un’azione grigia sui frutti dei campi e lungo tutta la catena degli alimenti da essi derivabili e, in ultima analisi, sulla nostra salute.
Il digitale in agricoltura come garanzia per i consumatori
Forse la digitalizzazione può intervenire a soccorso quale fattore di osservazione riguardo l’impiego di macchine agricole di per sé sostenibili, monitorando, tracciando, il “come” esse vengano usate dall’operatore nei campi, offrendo una forma di garanzia di valore non indifferente per il consumatore: in pratica, digitalizzazione e sostenibilità opportunamente integrate possono intervenire per offrire un percorso sicuro from field to fork.
La filiera olivicola
La filiera olivicola è, in tale senso, paradigmatica. Oggi è possibile offrire all’agricoltore di ulivi macchine che si muovano sul terreno non solo senza produzione di inquinanti ambientali a partire da CO2, ma anche tracciabili nei loro percorsi dotandole banalmente di una semplice scatola GPS a basso costo: potrebbe essere così possibile conoscere e tracciare in modo trasparente se tutti i prodotti previsti sono stati dati alle diverse piante, se nella stagione corretta e nelle condizioni metereologiche adeguate. È noto, infatti, che la qualità del prodotto finale (per esempio, quella di un olio extravergine di oliva) è fortemente dipendente dal rispetto di certi disciplinari, spesso disattesi perché i singoli passi soffrono di trasparenza fattuale.
Un esempio di potenziale miglioramento della situazione, sotto ogni profilo, potrebbe essere l’introduzione della tecnologia blockchain per tenere un registro digitale dei fitofarmaci acquistati e somministrati alle piante di ulivo da ogni coltivatore e produttore, mentre ancora oggi la nota di acquisto di tali fitofarmaci è ancora relegata a un illeggibile e poco portabile documento cartaceo nella potestà del venditore dei fitofarmaci stessi.
Agricoltura, quello che i programmi Tv non dicono
Pur esistendo una molteplicità di programmi televisivi che all’agroalimentare fanno riferimento, va osservato un ben diverso spessore culturale di tali comunicazione in senso negativo, spesso orientata alla divulgazione di cibi e vini rappresentativi dei diversi territori in forma ludico-folkloristica, rispetto a programmi televisivi quali il celebre “A come agricoltura” in bianco e nero di alcuni decenni fa: il target di quella trasmissione era il mondo degli agricoltori, dei loro campi, del loro impegnativo lavoro quotidiano, portava in luce da un lato la loro cultura vera, dall’altro i loro problemi seri, dai quali i cittadini-spettatori erano lontani o, meglio, desideravano forse essere lontani, quasi il fenomeno progressivo dell’inurbamento avesse allontanato per sempre quel mondo e quella cultura.
Eppure, tutti sappiamo come – non solo noi umani, ma anche tante specie animali – senza un’adeguata e seria cultura agraria e agroalimentare non possiamo neppure immaginare di vivere: a partire dall’acqua impiegata per irrigare i campi. A fronte di ciò, poco si sente parlare o scrivere di formazione agraria, a ogni livello, quello delle Università in prima istanza. Si parla e si scrive di idrogeno verde quale vettore energetico ideale per l’ambiente, perché verdi sono i campi. Ma chi conosce come vengano trattati oggi i nostri campi che danno luogo a un enorme quantità di culture e di prodotti? Forse, sarebbe la speranza, con la sapienza e la cura di tanto tempo fa.
Veicoli a idrogeno verde sul campo con GPS e blockchain potrebbero, ove usati in maniera integrata, consentire di conoscere in piena trasparenza la dose di fitofarmaci somministrata alle piante di ulivo, quando, in che condizioni meteo, tutte cose oggi non messe in adeguata luce, capaci di determinare un miglioramento decisivo sulla qualità dell’olio effettivamente prodotto. Il cantiere del cibo è aperto davvero e da tempo e necessita di essere popolato da attori consapevoli oltre che da risorse adeguate. Ma troppo poco viene fatto a livello di formazione di agronomi e altri attori della filiera, poco sono valorizzate le loro capacità rispetto a quelle strombazzate dei grandi chef più o meno stellati.
Le stelle andrebbero attribuite in primo luogo ai produttori, attraverso un’estesa promozione delle attività dell’intera filiera di standardizzazione del settore agroalimentare, requisito ineludibile per giungere a valle a corrispondenti certificazioni di qualità. Quanto sopra scritto per il terreno, può essere evidentemente riportato anche per il settore della pesca, in questo caso dal peschereccio del terzo millennio al pescato e al correlato comparto dei prodotti da esso derivati.
Conclusioni
Anche in questo caso, il binomio Sostenibilità-ICT, ove perseguito, pare foriero di alto valore per tutta la filiera coinvolta. Sia sui campi della terra, sia sul mare, c’è bisogno di rafforzare i rispettivi cantieri operativi, come formazione sostanziale della cultura dei relativi attori veicolando loro – specie ai giovani – messaggi forti della potenzialità disruptive del binomio integrato sostenibilità-Ict per il settore agroalimentare.