Come si può facilitare l’adesione delle PMI ai nuovi orientamenti in termini di sostenibilità senza dover incidere eccessivamente sui costi, sulle risorse e sul tempo e senza compromettere, quindi, la loro redditività e capacità competitiva?
La questione è abbastanza complessa, proviamo a capire perché e come risolvere.
Quanto pesano le PMI sull’economia italiana
Secondo gli Osservatori.Net del Politecnico di Milano, su 4,4 milioni di imprese attive in Italia, le microimprese con meno di 10 addetti rappresentano il 95,13% del totale, contro un 0,09% di grandi imprese. Le PMI italiane sono invece circa 211 mila e sono il restante 4,78% del tessuto imprenditoriale italiano ma da sole sono responsabili del 41% dell’intero fatturato generato in Italia.
Fermo restando che nessuno al momento è obbligato a fare seriamente “sostenibilità” se non le aziende quotate che hanno l’obbligo di redigere un bilancio di sostenibilità – ma che racconta parzialmente il reale impegno sui processi produttivi visto che inserendo charity o regole di compensazione si possono ottenere bilanci sostenibili – sono le PMI le realtà che hanno maggiore capacità decisionale e, forse per la loro natura, più propense a scelte sostenibili. Anche perché le PMI sono più veloci nel cambiamento, fatto salvo alcune resistenze culturali dell’imprenditore.
Secondo i dati ISTAT si stima che il 69% delle imprese manifatturiere, a giugno 2023, abbia intrapreso azioni di sostenibilità. Tra queste, il 56,2% segue pratiche di tutela ambientale, il 60,9% iniziative di sostenibilità sociale e il 39% ha svolto azioni di sostenibilità economica.
Ma se analizziamo il profilo dimensionale, sono le grandi imprese quelle che intraprendono maggiormente azioni di sostenibilità (90,9%), tale quota scende al 46,7% per le imprese di minori dimensioni.
Incrociando i dati possiamo stimare che il 90,9% dello 0,09% delle imprese ha intrapreso percorsi di sostenibilità mentre solo il 46,7% del 99,91%.
Come aiutare le PMI a virare verso la sostenibilità
Si tratta di un problema di volontà o c’è dell’altro? Come si può aiutare la PMI ad aderire ai nuovi orientamenti in termini di sostenibilità, prepararsi allo scenario prossimo e alle richieste del mercato senza dover incidere in termini di costi, risorse e tempo in modo eccessivo e pregiudicando la loro redditività e capacità di stare sul mercato?
Non sono domande facili e la complessità è sempre difficile da comprendere così come le semplificazioni che a volte diventano delle riduzioni di significato lasciando spazio al green washing. Un esempio: la riduzione dell’impatto ambientale nella produzione di un prodotto non riguarda sole le emissioni di CO2, come siamo indirizzati a pensare visto che molti ora le indicano, soprattutto quando l’indicatore di impatto di CO2 può essere ridotto per compensazione, come ad esempio piantando alberi in qualche luogo. Viene ancora molto sottovalutato il consumo di acqua nel mondo industriale, del relativo impatto che ha sulla vita di tutti non credo serva soffermarsi, seppure abbia un indicatore facile da monitorare come il contatore o la bolletta. Senza parlare della cementificazione e la mancanza di finanziamenti per il recupero di edifici dismessi. Insomma, le PMI hanno diverse difficoltà nell’agire questa trasformazione o transizione.
Prendiamo un’azienda che vuole realizzare un prodotto, si parte dalla ricerca e sviluppo, azione fondamentale per essere competitivi ma non solo le PMI faticano ad investire, sono perfino poco attraenti per i centri di ricerca, spesso alla ricerca di finanziamenti importanti a loro volta. A questo si aggiunge il tema delle competenze e della carenza di personale altamente preparato perché non riusciamo a trattenere i talenti che all’estero hanno maggiori opportunità e miglior stipendio, ma sono fondamentali. Basti pensare al ruolo dei ricercatori per individuare nuovi materiali con il minor impatto ambientale, dove servono simulazioni di molecole su supercomputer che permettono di individuarle senza sprecare materie prime, o simulare le performance richieste come spessore o resistenza.
Il PNRR dovrebbe contribuire a favorire studi che possano essere a disposizione delle PMI in ambiti vari come la creazione di nuovi materiali a minor impatto ambientale e che facilitino il riciclo.
Le agevolazioni finanziarie e fiscali
Le agevolazioni finanziarie e fiscali poi sono ancora pochissime e riguardano prevalentemente investimenti in energie alternative, ma l’acquisto di materie prime riciclate comporta circa un 20% di maggiori costi rispetto alle materie prime vergini, sia in ambito delle plastiche che nella carta.
In un momento di inflazione importante, il prezzo dei prodotti veramente sostenibili, che per esempio non usano nulla che provenga da paesi che non rispettano i diritti dei lavoratori, o materie prime che provengono da paesi extraeuropei con legislazioni molto meno restrittive e che potrebbero essere contaminati, sono poco competitivi. Molti gadget di aziende che si dichiarano attenti alla sostenibilità provengono da paesi che non rispettano i diritti dei lavoratori, perché ovviamente molto economici.
Sostenibilità, redditività, competitività
Il rapporto di SAP “Does Your Business Have a Talent for Sustainability?” nel 2022 indicava che nonostante le persistenti interruzioni della catena di fornitura, la carenza di manodopera e l’inflazione, la percentuale di investimenti nei confronti dell’ambiente è per la prima volta quintuplicata dal 2021. Ma soprattutto – ed è questa la cosa importante che emerge dal rapporto – la maggior parte delle aziende che hanno già investito non stanno smettendo di investire.
Inoltre sempre più imprese (il 75% degli intervistati) osservano una relazione positiva tra sostenibilità e redditività (+17% rispetto al 2021) e competitività a lungo (+28% rispetto al 2021). Tutto questo trova conferma nei principi di base del fondo BlackRock il quale afferma che una continua transizione sostenibile determina una crescita economica maggiore rispetto a non investire in azioni che riducono il cambiamento climatico.
I problemi legati alle forniture
Se le grandi aziende possono contare su un’importante mercato ricco di fornitori con tecnologie specifiche e avanzate, le piccole realtà hanno concrete difficoltà a trovare fornitori disposti a lavorare a piccoli lotti, che di solito si riferisce a una soglia tra i 5.000 e i 10.000 pezzi. Questo complica ulteriormente perché senza certi tipi di lavorazioni e tecnologie, alla competizione economica – difficile da sostenere – viene meno anche quella qualitativa contro i grandi produttori, pensiamo a packaging serigrafati o monomateriali. Senza contare la tempistica, lavorare piccoli lotti determina spesso un ritardo nel time to market perché devi aspettare di inserirti in un calendario dove la precedenza è dettata dai grandi numeri.
Su questo argomento poi, il packaging, non ci si può permettere di sottovalutare la comprensione del termine riciclato rispetto a riciclabile: molti pensano che prodotti definiti green siano quelli riciclabili, ma in realtà lo sono molto di più quelli riciclati. Chi sceglie di costituire un’azienda nativamente sostenibile per non dover pagare inutili costi di transizione e per differenziarsi fin da subito nel mercato deve comprendere, oltre a questo, che non viene data evidenza del fatto che riciclare può essere più o meno costoso, solo il packaging monomateriale ha bassi costi di riciclo, perché non richiede la separazione dei materiali prima del recupero, per esempio, oppure il fatto che il riciclo del vetro richiede investimenti importanti di energia.
I costi di comunicazione e marketing
Infine, arriviamo all’ultimo miglio con i costi di comunicazione e marketing necessari ad emergere nei mercati globali capaci di porre in evidenza i valori dell’azienda ed anche il valore economico, sociale ed ambientale generato e le difficoltà a sostenere i costi delle certificazioni nonché la difficoltà ad avere la disponibilità delle aziende di certificazione che spesso hanno a disposizione modelli validi solo per grandi aziende.
Conclusioni
In conclusione, le aziende che investono in sostenibilità sono le più redditizie e meglio gestite. Per poter avere più evidenza del ritorno di investimento delle azioni intraprese in ambito sostenibilità, ci viene in soccorso la tecnologia grazie agli strumenti per un approccio data Driven che le molte PMI non hanno ancora sperimentato, perché di nuovo servono competenze, che non trovano sul mercato e che non riescono ad attrarle.
La situazione in Italia su questo non è rosea: l’ultimo rapporto ASviS 2023 dimostra come l’Italia sia in forte ritardo e si rischia di non rispettare gli impegni di sostenibilità presi nel 2015 in sede Onu. Se – rispetto al 2010 – per otto dei 17 Obiettivi (Sustainable Development Goals – SDGs) si registrano contenuti miglioramenti, per sei la situazione è peggiorata e per tre è stabile. Come rileva il rapporto “Guardando ai 33 Target valutabili con indicatori quantitativi, solo per otto si raggiungerà presumibilmente il valore fissato per il 2030, per quattordici sarà molto difficile o impossibile raggiungerlo, per nove si registrano andamenti contraddittori, per due la mancanza di dati impedisce di esprimere un giudizio. I ritardi accumulati potrebbero essere in parte recuperati, ma bisogna attuare con urgenza e incisività una serie di interventi e di riforme” e continua con una ammonimento “È ora di trasformare le promesse in atti concreti, ma il tempo a disposizione è molto limitato.”
Serve quindi accelerare e tra tante la soluzione può essere una: l’agevolazione fiscale come per le startup innovative riservata alle PMI che hanno una chiara e concreta strategia sostenibile dimostrando il reale impegno sui suoi processi produttivi e nella catena di valore.