Economia circolare e digitalizzazione sono i driver del futuro sviluppo globale per i quali l’esperienza della pandemia si è rivelata un potente acceleratore, non tanto tecnologico, quanto culturale, contribuendo a trasformarlo in elementi “guida” destinati a distinguere la ripresa industriale, economica e sociale in tutto il mondo.
Economia circolare e realtà digitale rappresentano pertanto i presupposti irrinunciabili per raggiungere la sovranità economica, ambientale e sociale, perché lo scenario che il Coronavirus ci sta lasciando in eredità fa presagire la necessità di non accontentarsi di raggiungere obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti, ma immaginare una governance mondiale per lo sviluppo di modelli di business basati sulle nuove frontiere digitali. Modelli che solo con una integrale e interagente digitalizzazione, in grado di trattare adeguatamente l’enorme mole di dati provenienti dai vari dispositivi connessi tra di loro, si potranno strutturare. Quali sono quindi le sfide per raggiungere l’economia circolare in un’era digitale? E quali gli strumenti per una trasformazione “digicircolare”?
Figura: Orizzonte “Azioni digicircolari”
Governo mondiale delle risorse
La pandemia ha dato probabilmente il colpo di grazia alla tracotanza di un modello di civiltà, rendendo chiaro, per la prima volta dalla rivoluzione industriale, che il nostro futuro come specie non è sicuro. Il Covid-19 ci ha messi di fronte alla impossibilità di mettere fra parentesi i conflitti derivanti da un uso non sostenibile ed iniquo delle risorse. Abbiamo dunque raggiunto la consapevolezza della insussistenza delle false percezioni che dividono gli esseri umani dalla natura, e l’ecologia dalla economia.
È andata in crisi, forse irrimediabilmente, la legge della estrazione a senso unico, basata sull’idea che si può prendere, sempre di più dalle risorse del nostro pianeta, senza mai dare. Il Covid-19 ha dato una spinta a trasferire il paradigma circolare dall’economia alla politica, proprio perché la pandemia ha estensione e ricadute planetarie e di conseguenza i propositi di ripresa non si possono affidare alle dinamiche spontanee di riequilibrio – leggi immunità di gregge – come si trattasse di un fenomeno simile al potere regolatorio della libera concorrenza dei mercati.
Il virus che ha sconvolto la vita di miliardi di persone sul pianeta ha tuttavia ricreato le condizioni di una più sentita solidarietà tra le persone, favorendo lo spirito di comunità e la fattiva collaborazione tra le nazioni. Inoltre, le restrizioni del lockdown e le esigenze legate alla pandemia (utilizzo smisurato di mascherine, guanti, camici, ecc.) si sono tradotte in una conferma della necessità di porre un freno al degrado della terra, al cambiamento climatico, alle migrazioni forzate, ai conflitti emergenti, rendendo inaggirabile il tema del governo mondiale delle risorse e del loro utilizzo.
Più evidenti appaiono oggi i limiti dell’economia lineare, che conta – prevalentemente e spesso esclusivamente – su costi e rendimenti del ciclo economico, più appare necessario salvaguardare il pianeta con la sostenibilità permessa dal modello circolare dell’economia, più si rende indispensabile aspirare a un utilizzo intensivo della digitalizzazione per gestire processi ecologici complessi.
A tal proposito, è utile far riferimento ad un recente articolo pubblicato sul Il Messaggero, intitolato “Perché serve una leadership mondiale” in cui il noto economista Giulio Sapelli, ci offre spunti di riflessione sulle cause e le dinamiche che hanno prodotto la crisi sistemica dell’economia mondiale arrivando a sostenere che la causa degli “squilibri” è da cercarsi nella mancanza di responsabilità degli attori attuali. La soluzione per risolvere i problemi della società contemporanea, a nostro avviso, potrebbe essere trovata nella realizzazione di una nuova supergovernance mondiale (così come suggerito anche da Kevin Kelly, noto scrittore ambientalista fondatore, tra le altre cose, della rivista Wired). Questa nuova struttura sovranazionale, simile ad un OMS del digitale, potrebbe influenzare le singole politiche nazionali in ottica di un coodinamento sistemico regolando tutti i principali settori delle società moderne, dall’economia all’ambiente considerando gli stati nazione inadeguati di fatto a gestire le sfide globali che solo una leadership mondiale può superare, così come venne sostenuto già nel 1995 anche dalle Nazioni Unite nel report sulla governance globale, dal titolo “Our global neighbourhood”.
Sovranità sostenibile: condizione per la sovranità economica
Principio cardine dell’economia circolare è l’adeguamento dei cicli economici ai cicli naturali. Un nuovo paradigma che si propone come soluzione innovativa ed avanzata per coniugare crescita dei consumi e della domanda di beni alla sostenibilità ambientale. Ma implementare un modello di economia circolare significa ripensare il modo in cui utilizziamo materia ed energia: dalla progettazione alla produzione, dal consumo fino alla gestione del cosiddetto “rifiuto”. Forse proprio con riferimento al concetto di rifiuto bisognerebbe iniziare a parlare di risorsa rifiuto capovolgendo così il significato stesso del termine. Oggi appare del tutto palese che le soluzioni circolari non potranno diffondersi senza il supporto di tecnologie e infrastrutture digitali, in un perimetro di riferimento, peraltro, estremamente ampio: trasporti, porti, infrastrutture digitali, reti energetiche ed elettriche. Il modello circolare dovrebbe prevedere interazione e integrazione tra nuove tecnologie fisiche e digitali ovvero intelligenza artificiale, internet of things, realtà aumentata, additive manufacturing, sia sul versante rete che della digitalizzazione dei processi.
Ricadute positive della transizione sostenibile sull’economia, sono conseguibili, realisticamente, solo a patto di disporre di impianti in grado di consentire lo scambio intelligente – efficace ed efficiente – di flussi di risorse attraverso infrastrutture transcontinentali. Uno scenario che si può ottenere solo a condizione di un colossale scambio di informazioni (big data) che permetterà di soddisfare i bisogni e la domanda di benessere di una popolazione mondiale che, dal 1970 al 2017, è aumentata di 2 volte ed un consumo mondiale di materiali aumentato di 4 volte con tutti gli effetti negativi che ne conseguono in termini, per esempio, di produzione di rifiuti. Per poter raccogliere e analizzare i dati di cui sopra, in primo luogo è tuttavia necessario connettere i dispositivi, le reti e le infrastrutture tra di loro. Si parla di digitalizzazione delle infrastrutture (anche se allora di parlava di informatizzazione) già dalla fine degli anni Novanta, ma ad oggi siamo piuttosto lontani dal traguardo minimo di digitalizzare le dorsali portati e le risorse essenziali del nostro pianeta.
Se ancora oggi siamo costretti a rincorrere dati di consumi, o dispersioni nelle reti idriche, come possiamo immaginare di raccogliere dati utili a ottenere informazioni tali da rendere sostenibile il nostro mondo? Per far fronte a tali problematiche, dal dicembre del 2019 la Commissione europea ha assunto l’impegno di qualificare l’Europa come “campione mondiale di sviluppo sostenibile mediante una transizione energetica” volta a rendere l’Unione climaticamente neutrale: zero emissioni di CO2 entro il 2050. Ma la domanda che nasce spontanea è: come possiamo raggiungere questo traguardo se ancora non riusciamo a dare una metrica, una dimensione, una “misurabilità” delle grandezze che ci possono condurre a questo traguardo?
Oggi la tecnologia ci potrebbe aiutare, si pensi alle immense capacità di calcolo di un computer quantistico (il quantum computing della IBM e di Google sono già oggi disponibili per diverse simulazioni) o all’evoluzione del deep learning che sempre più si avvicina a quel livello di intelligenza noto ai neuroscenziati come “inferenziale”. Ma tutto questo, può essere utilizzato, solo se abbiamo i dati a disposizione, non costretti a rincorrere o a elaborare con particolari algoritmi, dati che ci vengano forniti automaticamente dalle strutture e dalle risorse oggetto delle analisi completamente digitalizzate e connesse. Solo in questo modo possiamo azzerare la latenza nella risposta e nelle decisioni, per poter prevedere qualsiasi fenomenologia che possa arrecare danni o spreco di risorse, e che non consenta il perfezionamento di quella che potremmo definire “Digicircolarità integrata”. La chiave per costruire una resilienza economica e sociale risiede dunque nella digitalizzazione, che è l’elemento dominante intorno a cui prende forma il futuro collettivo. L’Unione Europea insomma ha un grande compito da assolvere se si vuole fare protagonista di questa nuova rivoluzione in corso: contribuire a plasmare la trasformazione digitale del mondo con una visione basata su società aperte, stato di diritto e libertà fondamentali, che dimostri il suo primato su quella dei sistemi autoritari che usano le tecnologie digitali come strumenti di sorveglianza e repressione.
Se dai dati del Digital Report 2021 di “We Are Social” risultano essere ormai più di 4,6 miliardi (in aumento del 7,3% rispetto allo scorso anno) le persone ad avere accesso a internet, circa il 60% della popolazione mondiale, e ben 4,2 miliardi di queste utilizzano almeno un social media (il 13% in più rispetto a gennaio 2020). Giocoforza l’UE – e con essa colossi quali Cina e USA – ha l’obbligo di costruire un mondo digitale sano e basato su comunicazione e cooperazione. Per far fronte con soluzioni digitali ai problemi che si presentano in materia di sanità, lotta al terrorismo, mitigazione del cambiamento climatico, protezione delle biodiversità, per prevedere disastri naturali (e pandemie) è necessario che cresca la collaborazione tecnologica a livello internazionale. Condizione possibile solo a patto dell’incremento massiccio della integrazione e interoperabilità e regolazione dei sistemi digitali. Vale a dire: parità di condizioni nei mercati digitali; sicurezza nel cyberspazio; libertà su internet e contro la discriminazione e le violazioni della privacy. A tale proposito la stessa Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, chiarisce così il suo pensiero: “Si tratta di plasmare il mondo in cui vogliamo vivere. Un mondo in cui l’economia riduca le emissioni, promuova la competitività, allevi la povertà energetica, crei opportunità lavorative gratificanti e migliori la qualità della vita. Un mondo in cui usiamo le tecnologie digitali per costruire una società più sana e più verde”. Per l’Europa l’economia circolare costituisce quindi un’enorme opportunità anche perché si stima che nell’eurozona essa può creare 700 mila posti di lavoro addizionali, con benefici maggiori per i servizi, le utility, la gestione dei rifiuti e il recupero di materiali e componentistica.
Sfide per l’economia circolare e la bioeconomia in un’era digitale
Bild it back better, affermava Fahad Almubarak, membro del Consiglio dei ministri dell’Arabia Saudita in occasione del Saudi Arabia B20. Il processo di trasformazione non è automatico per vari ordini di motivi. Le transizioni digitali ci devono accompagnare a ridisegnare i confini del nostro mondo in maniera più “sostenibile”, cosa che non stava avvenendo nel corso degli ultimi anni, ventilando, secondo alcuni studi, la possibilità che tali processi digitali, piuttosto che supportare la sostenibilità, possano innescare modelli di crescita ad alto impiego di risorse esauribili ed emissioni di gas serra.
Di per sé la tecnologia non si mobilita da sola verso le trasformazioni di sostenibilità, dal momento che occorre una forte volontà politica per creare percorsi capaci di agganciare obiettivi di questa natura. Le tecnologie digitali, inoltre, come dicevamo poc’anzi, non sono innocenti nel progressivo peggioramento dello stato del nostro pianeta e della crescita delle emissioni di gas serra. C’è quindi in campo anche un tema legato all’impatto delle tecnologie digitali, così come ha spiegato il Ministro Cingolani “si stima che la tecnologia produca il 4% della CO2 totale che viene emessa”.
La percezione del rapporto fra danno e beneficio rimane un fenomeno complicato (anche perché bisognerebbe valutare quale sarebbe l’apporto ai consumi e all’emissioni senza l’impiego delle tecnologie). Tuttavia, a lungo termine i benefici supereranno i danni, come è facile immaginare, se l’uso delle tecnologie sarà affiancato da un uso responsabile. Esistono peraltro molteplici fattori che influenzano in maniera negativa il passaggio al modello di un’economia circolare, ponendo ostacoli al suo sviluppo ed alla sua evoluzione. Già nel 2018 il rapporto UE 2018, “Stakeholder Views Report Enablers and Barriers to a Circular Economy”, definiva le tre principali barriere alla trasformazione della catena del valore: assenza di un mercato delle materie prime seconde; esistenza di prodotti di design lineare e mancanza di infrastrutture.
A tal proposito è bene ricordare anche che il Green Economy Observatory (GEO) dello IEFE – Bocconi, ha svolto un lavoro volto all’identificazione delle principali cause alla base di quelli che vengono definiti “leakages”, ovvero tutti quei punti del ciclo economico dove non vi è “chiusura”, con una perdita di efficienza attraverso la fuoriuscita dal sistema produttivo di materiali ancora utili e valorizzabili. Tali cause possono essere viste come forze centrifughe che generano sprechi in corrispondenza dei vari stadi del sistema produttivo, causando un assottigliamento sempre maggiore del flusso di materiale. È proprio in queste fasi che l’impiego del digitale potrebbe avere la sua maggiore efficacia. Le sfide poste dalla digitalizzazione e dalla sostenibilità richiedono, tuttavia, un approccio integrato all’attività legislativa ed all’attività di coordinamento e di cooperazione dell’azione degli stati membri, dalle politiche fiscali globali a quelle sulla catena alimentare, passando per la difesa dei diritti fondamentali e la tutela dei consumatori. In tal senso la Commissione Europea, con l’intento di fare da traino e non da follower su questi temi, intende promuovere anche nuove iniziative per regolamentare tra gli altri il settore dell’intelligenza artificiale, considerata come una delle principali tecnologie utili per sviluppo di modelli circolari, con particolare attenzione sulle implicazioni etiche derivanti dall’uso degli algoritmi. Altro aspetto da considerare tra le sfide per l’economia circolare è costituito dallo sviluppo di piattaforme digitali globali come strumento per un uso virtuoso delle risorse in grado di intercettare tutti gli stakeholder della filiera in ottica di mercato globale delle «risorse», per una ottimizzazione anche dei costi e degli sprechi a livello nazionale ed internazionale, nel rispetto di standard globali riconosciuti oltre che di soluzioni personalizzate, risultato di applicazioni di strumenti scientifici globali. La vera sfida è che ognuno nel proprio ambito (produzione, fornitori, clienti) deve contribuire al “sistema”, generando valore a valle ed a monte per abilitare i fattori per la transizione e raggiungere così una sovranità sostenibile. Infatti, una supply chain globalizzata pensata per usare meno materiali risulta più resiliente.
Produrre ciò che serve quando serve (immaginiamo l’impiego diffuso di stampanti 3D, con il conseguente decremento di spostamento di materiali e merci ed incremento della circolazione di file, il bene si dematerializza), ragionare in ottica di servizi e non solo di prodotti, sono fattori centrali e presupposti fondamentali in una visione di una supply chain globalizzata ed integrata. Ovviamente in quest’ottica la digitalizzazione lungo la catena del valore rappresenta un elemento essenziale per il controllo, la pianificazione e la previsione delle attività aziendali che influenzano sui fattori competitivi in ottica di economia circolare. Le informazioni generate dalle tecnologie digitali supportano la transizione ad un’economia circolare attraverso l’identificazione di opportunità di business e la valorizzazione delle risorse in ottica di benefici, costi ed opportunità.
Figura: Sfide globali in ottica di fattori abilitanti e catena del valore
Esempi nazionali e internazionali
L’economia circolare è in vari casi già una realtà. Da Renault che nell’impianto di Choisy-le-Roi recupera la quasi totalità delle componenti dei suoi veicoli e le riprocessa riducendo dell’80% il consumo di energia, acqua e prodotti chimici. All’italiana Novamont, leader nella produzione di bioplastica dagli scarti agricoli. Nei modelli di business la generazione di valore può creare nuovi modelli di consumo: è il caso di Netflix che dematerializzando un prodotto genera risparmi nella mancata produzione di un bene; oppure il caso di Blablacar (o la più nota Uber) che attraverso la condivisione di un bene del singolo crea valore e risparmi in termini di emissioni.
Figura: Esempi di modelli di business
Nell’ultimo Rapporto 2021 sull’economia circolare in Italia, realizzato con Enea, viene confermato il primato dell’Italia con 79 punti, seguita dalla Francia a 68, da Germania e Spagna a 65 e dalla Polonia a 54 in termini di risultati raggiunti nell’ambito della produzione, del consumo, della gestione circolare dei rifiuti oltre che degli investimenti e dell’occupazione nel riciclo, nella riparazione e nel riutilizzo. Una fotografia più puntuale su alcuni esempi nazionali può essere delineata attraverso l’Atlante italiano dell’economia circolare da cui si evince che alcune regioni siano molto più attive ed impegnate verso il cambiamento, come Lombardia 23,1%, Lazio 13,8%, Toscana 10,8%, mentre altre come Molise, Umbria, Abruzzo, e Valle d’Aosta sono ancora ai primi passi.
Figura: Distribuzione e settori aziende (fonte: Atlante Italiano Economia Circolare –https://economiacircolare.com/atlante/)
Un nuovo mindset per progettare un futuro “digicircolare”
Dall’analisi socioeconomica riportata, è evidente come la digitalizzazione può (e a nostro avviso certamente lo è) essere un’opportunità per accelerare i processi di sostenibilità connessi all’economia circolare. Il punto ora è comprendere come dare una metrica a tutto questo, come passare da un approccio qualitativo ad un approccio quantitativo. Il problema non è del tutto secondario, anzi di estrema rilevanza se si pensa che molte amministrazioni locali e centrali oltre che molte aziende fanno fatica a comprendere ciò che è circolare da ciò che non lo è.
Occorre un cambio di paradigma. Un nuovo mindset per ridisegnare il modello per il futuro, adottando il modello di economia circolare su scala nazionale e internazionale. In quest’ottica le tecnologie digitali rappresentano un’opportunità per identificare nuovi modelli di business dal momento che assolvono gli obiettivi di sostenibilità (es. smart working; manutenzione attraverso l’utilizzo di realtà aumentata; digital twin per la simulazione di sistemi reali, ecc.). La combinazione di tecnologie aiuta a evolvere il business in un circolo virtuoso di miglioramento. Allo stesso tempo le tecnologie digitali aiutano a “sbagliare” senza fare disastri. Basti pensare alle potenzialità dei digital twin che ci consentono di simulare sistemi reali in ambienti virtuali mettendo a confronto molteplici scenari ottimizzando risorse, tempo e costi. Cose che prima sembrano fantascienza oggi sono realtà. Bisogna però aver chiaro che non esiste un modello unico valido per tutte le aziende e le amministrazioni. Bisogna conoscere il mercato. Bisogna disporre di informazioni, di dati. Oggi la grande mole di dati di cui disponiamo, risulta carente delle giuste informazioni utili a prendere decisioni e rendere predittivo il sistema nella sua interezza. Tuttavia, passare ad un modello di economia circolare è un processo complesso che richiede l’utilizzo di strumenti opportuni di misura e miglioramento. I processi di standardizzazione avviati ormai da alcuni anni dalle commissioni UNI ed ISO (Commissione UNI/CT 057 e la ISO/TC 323 – Circular economy), forniscono un valido contributo nell’iniziare a parlare lo stesso linguaggio comune: noi come esseri umani, strutturando “androritmi” capaci di dialogare con gli algoritmi autogenerativi dei sistemi di AI.
Figura: Quantificare la sostenibilità
Conclusioni
Complessità comporta complessità come ci insegna Ashly e non possiamo immaginare di gestire un problema globale se non con un “sistema di controllo avente una necessaria varietà”. Come affrontare quindi la crescente complessità in tema di sostenibilità? Non c’è una risposta “giusta”. La pandemia ha certamente prodotto un’accelerazione, non tanto tecnologica a nostro avviso, quanto culturale. Ci ha dato la chiara sensazione di non avere più un piano B.
Il Covid ha avuto la stessa funzione che il generale Cortez ebbe nell’incendiare le navi della sua stessa flotta per impedire ogni possibilità di concentrarsi sull’ipotesi di fuga invece che avere la vittoria come unico traguardo. Eliminare il piano B, eliminare una possibile distrazione e fare in modo ci concentrarci sul solo obiettivo possibile conseguibile, attivare e sfruttare al massimo tutti gli abilitatori tecnologici, innervarli profondamente nei tessuti connettivi delle aziende e delle altre infrastrutture per consentire una vera attivazione globale dell’economia circolare (la digicircolarita integrata), con al centro sempre l’uomo, unico preposto a fare le giuste domande, ma con una fortissima connessione di infrastrutture, aziende e risorse disponibili.
Siamo convinti che questa grande sfida dell’umanità non sarà certamente risolda da una tecnologia, ma da una mente umana motivata e con un chiaro obiettivo. Le tecnologie, semplicemente, agevoleranno il percorso tracciato dall’uomo.
Bibliografia
Circular Economy Network (CEN)-Enea, 2021, 3° RAPPORTO SULL’ECONOMIA CIRCOLARE I N I TALIA. Focus sull’economia circolare nella transizione alla neutralità climatica. Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Roma.
De Toni, A.F., De Zan, G., 2015. Il dilemma della complessità. Marsilio Editori.
Global Digital Report 2021 “We are Social”. We Are Social Ltd (https://wearesocial.com/it/)
European Commission, 2010, Communication from the Commission “Europe 2020 A Strategy For Smart, Sustainable And Inclusive Growth”, Com(2010) 2020 final, Brussels
Our Global Neighbourhood: The Report of the Commission on Global Governance, 1995 (http://www.gdrc.org/u-gov/global-neighbourhood/)