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Startup sostenibili: l’Italia accelera, ma restano tanti divari da colmare

L’Italia è nelle retrovie in Europa in quanto a investimenti in sostenibilità e sconta anche un gap nord-sud ancora penalizzante. Una svolta potrà arrivare dal Fondo Nazionale Innovazione, che individua la crescita inclusiva e sostenibile tra le priorità. Le sfide che ci attendono

Pubblicato il 09 Nov 2022

Pierluigi Casolari

founder di Unconventional Road, autore di Startup 3.0, blog su startup, innovazione e web 3.0

startup Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Nei prossimi due anni la dotazione del Fondo Nazionale Innovazione raddoppierà il proprio valore, passando dagli attuali 1,8 a 5,3 miliardi di euro. Attraverso il suo braccio operativo CDP (Cassa Depositi Prestiti) verranno creati nuovi fondi di investimento e aumentati i finanziamenti a fondi di venture capital, acceleratori e direttamente a startup.

Un dato interessante è che nelle scorse settimane sono state anche annunciate le priorità del Fondo e nella sostenibilità è stato individuato un elemento strategico dello sviluppo industriale del paese. È stata varata “la policy generale di investimento responsabile” che sostanzialmente si propone di allineare la strategia di investimento di CDP agli obiettivi dell’agenda 2030 dello sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, con particolare riferimento alla crescita inclusiva e sostenibile, al cambiamento climatico e tutela dell’ecosistema e alla protezione delle filiere produttive.

Il tema della sostenibilità nelle startup Ue

Il tema della sostenibilità è fortemente presente nelle startup europee, in particolare in alcuni settori come quello agrifood. Secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano su circa 7.000 startup nel settore agroalimentare che hanno ottenuto finanziamenti, almeno il 30% si occupa di rendere più efficiente l’utilizzo delle risorse energetiche, di circolarità e di tutela degli ecosistemi. I paesi del Nord Europa sono in prima linea sui temi dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile. L’Italia è più nelle retrovie: alla ventitreesima posizione con 85 startup agrifood che hanno ottenuto investimenti, di cui il 35% sostenibili. Il problema non sembrerebbe dunque un’arretratezza culturale dei neoimprenditori, ma proprio la scarsità di investimenti. È di buon auspicio, dunque, l’apertura dei rubinetti di CDP e la scelta di inserire la sostenibilità nelle priorità dell’innovazione nazionale.

I fondi di investimento di matrice impact

Stanno nascendo anche nuovi fondi di investimento di matrice impact, cioè orientati a ritorni di investimento equi e rivolti a startup con impatto sociale. È il caso di Opes  oppure di acceleratori e network per la sostenibilità come Personae, acceleratore per startup che si occupa di welfare e benessere sul posto di lavoro. Interessante anche il progetto Habitech, che si propone di portare sostenibilità e innovazione ad impatto ambientale nel campo del real estate, un settore dove spesso ancora prevale ancora l’imprenditoria tradizionale focalizzata tendenzialmente solo sull’ultima riga del bilancio: il profitto. Intorno all’abitare stanno nascendo progetti interessati che vanno dal housing sociale alla costruzione di edifici ad altissima efficienza energetica.

Encubator | We hatch Climate Tech Startups

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Una mappa delle startup sostenibili

Per mappare lo scenario in costante trasformazione delle startup sostenibili è nato Green Startup portale che censisce tutte le startup sostenibili. Oggi molte startup che operano nel campo della sostenibilità si registrano come startup benefit. La maggior parte dei fondi di venture capital richiede questa caratteristica societaria alle startup che richiedono finanziamenti. È paradossale che l’attestato di società benefit non arrechi nessun vantaggio fiscale per gli investitori e nessun beneficio industriale o commerciale per le startup stesse. Anzi all’iscrizione al registro imprese come startup benefit corrispondono adempimenti ulteriori, come la stesura di una relazione di sostenibilità e ampie restrizioni alle trasformazioni dell’oggetto sociale in statuto. Un invito per il nascente governo potrebbe essere quello di favorire la scelta di sostenibilità degli imprenditori aggiungendo vantaggi alla qualifica di startup benefit, oltre agli adempimenti e oneri che vi incombono al momento.

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Il programma Encubator

In questi giorni sono state anche aperte le candidature per Encubator l’incubatore di startup della camera di commercio di Milano e Brianza rivolto alle startup sostenibili e nato dalla collaborazione di Polihub, Camera di commercio Monza e Brianza e Politecnico di Milano. Encubator offre un programma di accelerazione di 4 mesi gestito dal team di Polihub, inclusivo di un piccolo investimento “seed” e un sostegno per lo sviluppo dei primi prototipi industriali.

Startup e sostenibilità, un’Italia a due velocità

Una riflessione importante riguarda la distribuzione geografica delle startup a vocazione sociale, ovvero le startup iscritte al registro delle imprese innovative operanti in settore ad alto impatto sociale e ambientale. Secondo il report di Social Innovation Monitor la maggior parte delle startup a impatto opera nel Nord Italia. Anche nei temi della sostenibilità lo sviluppo del nostro paese è a due velocità. Il 67% delle startup a vocazione sociale è stata fondata nel Nord, il 15% nel centro, il 17% nel Sud Italia. La forchetta tra Nord e Sud è ancora più ampia delle startup innovative in senso generale. Anche le startup benefit, che hanno indicato in Statuto l’attenzione per il benessere dei dipendenti, dell’ambiente e un oggetto sociale benefico per la società si trovano nel 69% dei casi nel Nord Italia.

Il punto sulle aziende Benefit corporation

Sono poche, tuttavia, in tutto il paese le aziende B-Corp. Mentre l’accreditamento come startup benefit e/o startup a vocazione sociale richiede adempimenti di tipo generale e formale, la certificazione di azienda B-Corp viene assegnata dall’organizzazione no profit B-Corp, che oggi rappresenta un punto di riferimento dell’innovazione sostenibile. L’organizzazione B-Corp entra maggiormente nel merito delle attività delle aziende che fanno richiesta di questo titolo, analizzando il modello di business, la gestione dei dipendenti, la carbon neutrality. In Italia a fine 2021 erano presenti soltanto 131 aziende B-Corp e di queste solo 9 sono startup.

La scarsità di questi numeri è preoccupante. Indica assenza di consequenzialità tra l’auto dichiarazione di sostenibilità e la reale operatività aziendale? O piuttosto sono poche le aziende che in Italia oggi intraprendono il percorso per diventare B-Corp? Oggi questa certificazione sta diventando una forma di accreditamento a livello internazionale di primaria importanza e in un certo senso è anche un indicatore importante della distanza che esiste tra la sostenibilità intesa come green e social washing e sostenibilità come impatto reale su comunità e territorio. Anche per le startup dunque vale il dibattito sul mondo della sostenibilità in senso lato. Come passare da una manifestazione di volenterose intenzioni benefiche ad un reale impatto e ad una reale crescita sostenibile?

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