Le startup europee stanno giocando un ruolo importante nella definizione di un nuovo tipo di sviluppo sostenibile, in linea con l’agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Le Nazioni Unite hanno indicato in un’agenda di 17 punti le linee guida per uno sviluppo sostenibile. I 17 argomenti vanno dal cambiamento climatico alla parità di genere, dall’educazione di qualità (per tutti) alle comunità sostenibili, dalla protezione della vita sottomarina alla riduzione di povertà e fame, dal ripensamento delle istituzioni alla costruzioni di partnership per un migliore ecosistema dell’innovazione. Anticipiamo subito i punti della nostra riflessione. Nulla da eccepire sul tema ambientale. L’ecosistema startup europeo ha accettato il guanto di sfida e ha sviluppato centinaia di progetti, idee e soluzioni che affrontano il rischio climatico, il surriscaldamento e le emissioni. Molto meno presidiata è la seconda parte dell’agenda ONU, quella relativa a fame, povertà, disuguaglianza, ripensamento istituzioni e nuovi modelli di comunità.
Startup per l’ambiente, è boom: ecco gli esempi del “verde” che avanza
Come le startup stanno affrontando il tema ambientale
La green economy come uno tsunami ha investito il mondo startup. Anche in Europa. Soprattutto nei paesi scandinavi decine e decine di startup affrontano da varie angolature il tema ambientale.
La svedese Northvolt
Northvolt è la scaleup – unicorno – svedese che produce un nuovo tipo di batterie per auto elettriche, a bassissima impronta carbonica. Le batterie rappresentano un problema rilevante dal punto di vista ambientale. Il loro numero cresce del 20% all’anno e contengono materiali difficili da smaltire (nickel, manganese, cobalto). Le batterie incidono in maniera drammatica sull’inquinamento delle auto elettriche, che devono avere batterie potenti, basate su materie prime e minerali rari, di complessa estrazione e che complessivamente generano enormi emissioni e consumo di anidride carbonica. Northvolt sviluppa batterie utilizzando sistemi di estrazione mineraria a bassa emissione, riciclando materiali, e utilizzando sistemi energetici totalmente sostenibili nei propri stabilimenti. L’azienda è stata fondata da un ex manager di Tesla nel 2016 e oggi ha raccolto più di 2 miliardi di euro in 9 round di investimento.
È un super unicorno europeo, che affronta un tema complesso: non è tanto l’impatto del prodotto finale, ma di tutta la filiera a fare la differenza. L’azienda è sostenuta finanziariamente da BMW, Volkswagen e altre case automobilistiche. Nel mondo scandinavo le startup che operano nel settore dell’energia non si contano. L’ambiente è indubbiamente la grande priorità della cultura nordeuropea.
La lituana Vinted
Sul tema dell’economia circolare operano invece realtà anche più strutturate come Vinted, unicorno lituano fondato nel 2010, che ad oggi ha raccolto oltre 500 milioni di euro da vari investitori. Vinted, come tante altre startup che operano nello stesso segmento, consente a chiunque di vendere oggetti (principalmente abbigliamento e accessori) di cui si vuole disfare. Il modello dei marketplace del mercato secondario, d’altra parte nasce con la rete stessa basti pensare a Ebay o a Subito, per rimanere sul mercato italiano. Oggi, tuttavia, questo modello sta acquisendo nuove potenzialità. Mentre Ebay nasceva almeno in origine intorno al tema del collezionismo. Vinted, Depot, Subito.it nascono intorno al tema del risparmio. Il numero di persone sotto la soglia della povertà è in costante e drammatico aumento da almeno 15 anni e questi servizi si propongono ad un tempo come strumenti per risparmiare (comprando vestiti e accessori usati) e di introiti supplementari (per i venditori). Lo stesso modello è praticato da Greenchic in Italia, nel segmento dell’abbigliamento bambino. L’economia circolare è dunque uno dei settori dove maggiore è la concentrazione di startup e scaleup che operano nell’ambito della sostenibilità.
L’aumento del numero di persone sotto la soglia di povertà getta però un’ombra su cui in pochi hanno veramente voglia di interrogarsi. Come mai, nonostante vi sia un continuo pullulare e proliferare di servizi che permettono di risparmiare, arrotondare e comprare a sconto il numero di persone sotto la soglia di povertà continua ad aumentare senza sosta? La domanda non ha una facile risposta. Ma certamente il tema dei posti di lavoro dovrà prima o poi essere affrontato con maggiore rigore e minore faciloneria: la digitalizzazione con la sua ossessione per efficienza e automazione, sta creando più ricchezza di quanto ne sta distruggendo?
Le finlandesi Swappie e Grib3D
Swappie è una scaleup finlandese che affronta il tema del “secondario” da un punto di vista direttamente legato all’impatto ambientale: lo smaltimento dei cellulari. Oltre a Swappie, sono svariati i marketplace europei che consentono agli utenti di fare compravendita di cellulari usati e accessori tecnologici. In questo modo all’equazione risparmio-guadagno si aggiunge ambientale: ridurre la quantità di rifiuti tecnologici, allungandone la durata.
Dopo il Covid, anche l’argomento educazione è diventato di tendenza tra le startup europee. E ancora una volta molte soluzioni originali provengono dal Nord Europa: app per imparare la matematica, piattaforme basate sulla gamification, strumenti per imparare ad utilizzare i tool di creazione artistica 3D. Quest’ultimo tema è molto interessante. NFT e Metaverso stanno mettendo a disposizione dei “potenziali artisti” nuovi mezzi di creatività e nuovi canali per monetizzare gli artefatti. Come era successo ai tempi di Second Life, che aveva favorito la nascita di un nuovo artista digitale in grado di creare oggetti, avatar e ambienti tridimensionali, i nuovi metaversi e nuovi sistemi di controllo sulla proprietà basati su blockchain potrebbero permettere la nascita di un nuovo tipo di arte digitale e anche un nuovo tipo di mercato dell’arte. È esattamente questo l’obiettivo di Grib3D startup finlandese con sede a Helsinki che si propone di insegnare ai ragazzi a modellare in 3D.
La grande sfida delle startup è quella di produrre “impatto” positivo a più livelli, generando profitto per azionisti e dipendenti, valore commerciale per i propri clienti, impatto significativo sull’ecosistema. In questo sta la differenza rispetto all’organizzazione no profit. L’impatto positivo ecologico e ambientale non deve essere raggiunto a scapito della profittabilità dell’azienda e della sua capacità di crescere. Una sfida davvero complessa.
L’inglese Safetynet Technologies
Safetynet Technologies è una startup inglese che sviluppa dispositivi tecnologici per le navi da pesca con l’obiettivo al tempo stesso di rendere più efficiente (per i pescatori) e meno invasive (per l’ambiente) le attività di pesca. Safetynet ha raccolto 3 milioni di sterline da investitori privati e ha realizzato una campagna di crowdfunding di successo su Indiegogo.
Le startup che operano al confine tra servizi commerciali e sostenibilità, sono poco appetibili per i Venture Capital, che sono alla ricerca di Unicorni che destabilizzano i mercati esistenti e ne creano di nuovi. Safetynet è una delle tante startup che prova a migliorare pratiche, come la pesca industriale, che hanno impatti devastanti per flora e fauna marina e che in mondo totalmente utopistico sarebbero da dismettere, ma nel mondo reale in cui viviamo difficilmente verranno mai impedite, ragion per cui l’opzione di molte startup diventa appunto quella di ridurre i danni, piuttosto che combattere con i mulini a vento di una trasformazione totale delle abitudini alimentari delle persone.
Responsabilità Sociale d’Impresa: i casi Treedom (Italia) e Co2Cards (Bulgaria)
Un altro filone a cui stanno guardando le startup europee è quello del CSR (Corporate Social Responsability), ovvero la Responsabilità Sociale d’Impresa. Treedom è una startup italiana che permette alle aziende di piantare alberi attraverso i partner locali della startup. Co2Cards, scaleup Bulgara, con sede a Sofia, sviluppa ulteriormente questo concetto attraverso un marketplace di azioni sostenibili. I dipendenti delle aziende che sostengono C02Cards accedono a miriadi di progetti sostenibili e possono scegliere come utilizzare le proprie carbon cards. È un concetto interessante. Esattamente come le piattaforme welfare mettono a disposizione dei dipendenti, una miriade di servizi di welfare che vanno dal rimborso dell’asilo all’abbonamento alla palestra, i marketplace di welfare ambientale, danno la possibilità ai dipendenti di scegliere a quali progetti di sostenibilità donare i propri carbon credits. In questo modo la responsabilità sociale aziendale perde il connotato di decisione arbitraria, che oggi sta sempre di più diventando sinonimo di “green washing” e si trasforma in responsabilità sociale condivisa e partecipata.
Le sfide trascurate dalle startup
I grandi assenti di questa panoramica sono i punti dell’agenda ONU che riguardano l’abbattimento della povertà, della fame, le comunità sostenibili, il ripensamento delle istituzioni. Si tratta chiaramente di tematiche multifattoriali. La fame, la povertà e l’arretratezza hanno cause multiple. Il modello tipico della startup che affronta uno specifico tema e risolve un problema alla volta, rischia di non incidere.
Ma ci sono altri argomenti che potrebbero spiegare la ritrosia del mondo startup ad accettare queste grandi sfide. Il primo argomento è il rapporto tra profitto e povertà.
Le startup che ottengono più finanziamenti dai VC sono quelle che promettono i profitti più grandi. Questi sono a loro volta sinonimo di mercati grandi, di clienti benestanti e di sistemi efficienti che creano automazione. In pratica stiamo parlando della parte del mondo benestante e completamente digitalizzata. Inoltre, tanto la povertà quanto l’arretratezza delle comunità hanno dimensioni fortemente locali. La povertà del Senegal è diversa da quella dell’Honduras. Ed entrambe sono diverse dalla crescente povertà italiana o greca.
La spinta all’internazionalizzazione che sostanzialmente accomuna tutti gli unicorni e la maggior parte delle scale europee è incompatibile con un approccio local, verticale su uno specifico contesto. Non è un caso che queste tematiche vengono affrontate per lo più dalle organizzazioni no profit, sostenute da Fondazioni, Grants, CSR delle aziende. Una miriade di problemi mondiali non sarebbero – non dico presidiati – ma nemmeno conosciuti se non fosse per l’indomito ed impareggiabile impegno di ONG, cooperative e consorzi di cooperazione internazionale. E tuttavia allo stesso tempo, il modello economico di queste realtà è nella maggior parte dei casi insostenibile e troppo dipendente dai fondi europei, i quali a loro volta ruotano intorno a priorità discutibilmente definite in sede politica.
Conclusioni
La grande sfida che potrebbero lanciare le startup è quella di creare modelli economici sostenibili intorno alla solidarietà, alla povertà e allo sviluppo delle comunità arretrate. Ma affinché questo avvenga occorre rivedere completamente alcuni teoremi dell’ecosistema startup troppo dipendente in questo momento dal venture capital tradizionale, ossessionato dalla crescita infinita e da profitti finanziari insostenibili.