Per combattere il cambiamento climatico servono maggiori investimenti in innovazione tecnologica.
Quest’anno si sono verificate inondazioni in Brasile, Nepal, Spagna e altrove, ondate di calore prima in Asia e nel Sahel, poi in America e in Messico.
La Cop29, che quest’anno si è tenuta a Baku, capitale dell’Azerbaigian, ha certificato l’inesorabile innalzamento delle temperature e il nuovo record.
Cambiamenti climatici: non è il tempo della rassegnazione
Ma, anche se il nuovo Presidente Usa, il rieletto Donald Trump, ha promesso la nuova uscita dagli accordi di Parigi e non si impegna nella riduzione delle emissioni, non bisogna cedere a paura o rassegnazione.
Ogni anno le energie rinnovabili diventano più economiche, soprattutto i pannelli solari, dunque la base installata cresce annualmente. L’anno scorso la Cina ha aggiunto più capacità solare in patria di quanta ne potesse vantare il mondo intero nel 2015, l’anno della sigla dell’accordo di Parigi.
Ampliando le installazioni, i prezzi si abbassano e le installazioni più vaste diventano economicamente sostenibili.
Il cambiamento climatico non ha bloccato i progressi bel mondo e le emissioni possono diminuire e lo faranno.
Cambiamento climatico: il ruolo dell’innovazione tecnologica
La tecnologia è sempre stata una parte fondamentale della cassetta degli attrezzi per lottare contro il cambiamento climatico. Al momento rappresenta quasi l’unica speranza.
I modelli economici hanno sempre sottovalutato la velocità con cui si riducono i prezzi di pannelli solari, batterie e turbine eoliche. Per questo motivo, le stime del costo della decarbonizzazione del sistema energetico sono sempre troppo alte.
La differenza tra gli investimenti annuali necessari per soddisfare la nuova domanda di energia, con le tecnologie pulite e senza, sembra essere inferiore all’1% del PIL di tutti i Paesi.
Occorre estendere le reti ai siti in cui è migliore lo sfruttamento delle nuove fonti di energia. Serve una reingegnerizzazione delle reti, attraverso lo stoccaggio e la gestione della domanda, per gestire meglio l’intermittenza delle fonti rinnovabili.
Esse devono anche poter accogliere le nuove fonti di energia costante. I progetti ambiziosi per raggiungere questi obiettivi, come quelli di Ed Miliband, ministro britannico per il cambiamento climatico, sono benvenuti, sebbene non sufficienti.
Il ruolo della Cina
Un’enorme percentuale della tecnologia necessaria proviene dalla Cina. Un enorme mercato interno, l’assenza di petrolio e gas nazionali, reti produttive di livello mondiale e sussidi generosi hanno contribuito alla crescita della Cina fino a diventare la forza dominante nel settore dei pannelli solari, delle batterie, dei veicoli elettrici e altro ancora.
Se la transizione verso un mondo a energia pulita deve essere economica, questi prodotti devono poter entrare in tutti i mercati possibili. Una guerra commerciale globale a base di dazi provocherebbe danni terribili.
Le tecnologie necessarie
Nel 2025 le fonti rinnovabili metteranno la freccia sul carbone, superando quest’ultimo come prima fonte di energia al mondo. Insieme al nucleare sfioreranno tutta la crescita della domanda globale di elettricità (90%) nell’arco del prossimo triennio. Fotografiamo il ruolo delle tecnologie che metteranno un freno rilevante alle emissioni di CO2 del settore energetico globale. Un aumento è infatti improbabile in futuro, grazie al veloce incremento della capacità di energia rinnovabile.
Rinnovabili
La domanda elettrica registrerà in media un incremento del 3% all’anno nel prossimo triennio (rispetto a una media del 2,4% negli anni prima della pandemia).
Sul fronte dell’offerta, la crescita stimata della produzione di corrente da rinnovabili in 3 anni è di 2.450 TWh (pari al 98% della crescita della domanda). La Iea prevede che le fonti decarbonizzate passeranno da 8.349 TWh nel 2022 a 10.799 TWh nel 2025, superando come prima fonte di energia globale il carbone (che rimarrà stabile, da 10.325 TWh del 2022 a 10.217 TWh nel 2025).
Tra il 2010 e il 2019 sta calando il costo unitario dell’energia solare (85%), dell’energia eolica (55%) e delle batterie agli ioni di litio (85%).
È il solare che farà la differenza nel futuro, soprattutto. Il mondo non non ha però ancora risolto il problema che i luoghi dove si produce questa energia tendono non coincidere con quelli industriali e urbanizzati dove ne serve di più.
Il ruolo si nuove tecnologie di storage ossia delle batterie e quello di super grid internazionali per connettere impianti rinnovabili con i consumatori saranno sempre più importanti.
Nucleare
Sebbene l’America abbia 94 reattori nucleari convenzionali, circa un quinto del totale mondiale, negli ultimi decenni ne ha costruiti pochi. Tuttavia, ci sono oltre cinque dozzine di reattori nucleari in costruzione in tutto il mondo, soprattutto in Cina e Russia, ma sempre più spesso anche altrove.
A luglio, per esempio, la Repubblica Ceca ha finalizzato i piani per un progetto nucleare da 17 miliardi di dollari. Intanto l’interesse per i piccoli reattori modulari (Smrs), più economici e veloci da costruire, sta aumentando ovunque. Sta finalmente sorgendo una nuova era per l’energia nucleare.
La domanda delle Big tech come Microsoft, Amazon e Google, che stanno facendo a gara per trovare energia pulita sufficiente ad alimentare i centri dati alla base del boom en energetico dovuto all’intelligenza artificiale (AI), sta mettendo il turbo alla rinascita del nucleare.
Brad Smith, presidente di Microsoft, spiega che era ambiziosa anche prima dell’avvento dell’IA, la promessa della sua azienda di eliminare dall’atmosfera più gas serra di quanti ne abbia prodotti in tutta la sua storia. Ora, grazie all’intelligenza artificiale, Microsoft consumerà entro il 2030 una quantità di elettricità da cinque a sei volte superiore a quella prevista quando ha fissato l’obiettivo nel 2020.
L’energia nucleare è adatta ai data center perché fornisce una fonte affidabile di energia pulita 24 ore su 24, a differenza di quella eolica e solare, secondo David Victor dell’Università della California di San Diego. Anche la vasta scala delle centrali nucleari le rende interessanti: il funzionamento di un data center di intelligenza artificiale può richiedere fino a un gigawatt (GW) di energia. Questa potrebbe essere fornita da milioni di pannelli solari o da una singola centrale nucleare.
Tuttavia la centrale nucleare di Vogtle in Georgia, la prima costruita in America dopo decenni, è costata 35 miliardi di dollari, più del doppio della stima iniziale, e la consegna è avvenuta in ritardo di ben sette anni.
I mini reattori stanno destando vari interessi, per ridurre tempi e costi, ma non ci sono ancora certezze su fattibilità.
Un altro punto è che il nucleare è adatto a forniture costanti, non a essere complementare rispetto alle lacune di sole e vento, per le quali ora si pensa di utilizzare di più le fonti fossili (come il gas, meno inquinante del carbone).
Nella Settimana del Clima delle Nazioni Unite, è stato ribadito l’impegno assunto da oltre 20 Paesi al vertice sul clima tenutosi a Dubai l’anno scorso di triplicare la produzione globale di energia nucleare entro il 2050. Quattordici grandi banche hanno inoltre dichiarato di essere pronte a finanziare nuovi progetti nucleari. Sottolineando l’aumento della domanda da parte dell’AI, Mohamed Al Hammadi, capo della Emirates Nuclear Energy Corporation, ha dichiarato: “Abbiamo assistito a un cambio di passo nello slancio del settore nucleare”. Affinché continui, sarà necessario un mix di ingegno tecnico, abilità finanziaria e politiche di sostegno.
I vantaggi dell’intelligenza artificiale per mitigare i cambiamenti climatici
L’AI è uno strumento potente per migliorare la sostenibilità. Può ottimizzare le reti energetiche, migliorare la prevenzione dei disastri grazie a più puntuali sistemi di warning e rafforzare le pratiche di agricoltura digitale. Per esempio, NeuralGCM di Google rivoluziona le previsioni meteorologiche con l’AI.
In ambito manifatturiero, i digital twin equipaggiati con l’AI stanno aiutando a ridurre il consumo energetico fino al 30%.
La Green Digital Action Declaration della COP29 punta a indicare gli strumenti digitali per la climate action, incorporando le resilienze climatiche nelle infrastrutture digitali e mitigando l’impatto ambientale della digitalizzazione (come il problema dell’AI energivora).
Il report di Deloitte
Secondo il report di Deloitte, dal titolo “Powering Artificial Intelligence: A study of AI’s environmental footprint”, l’AI presenta una natura duale nel contesto del cambiamento climatico. Da un lato, i data centre per l’AI sono molto energivori e la sfida consiste nel renderli più sostenibili. Ma dall’altro, l’intelligenza artificiale rappresenta un prezioso alleato per combattere il cambiamento climatico.
Lo studio prevede che l’adozione dell’intelligenza artificiale aumenterà significativamente la domanda di energia dei data center, raggiungendo potenzialmente i 2.000 TWh entro il 2050, pari al 3% del consumo globale di elettricità.
Secondo il rapporto Greening Digital Companies 2024 delle Nazioni Unite, i principali fornitori di cloud con un significativo coinvolgimento dell’intelligenza artificiale hanno registrato un aumento del 62% delle emissioni di gas serra dal 2020 e un aumento del 78% del consumo di elettricità dal 2023.
Ma Josh Parker, Senior Director of Legal – Corporate Sustainability di Nvidia, sottolinea che le infrastrutture dei data center esistenti stanno diventando datate e meno efficienti: “I dati dimostrano che è 10 volte più efficiente eseguire i carichi di lavoro su piattaforme di elaborazione accelerata rispetto alle piattaforme tradizionali dei data center. C’è un’enorme opportunità per noi di ridurre l’energia consumata nelle infrastrutture esistenti.”
Josh sottolinea l’attenzione dell’azienda verso operazioni di data center efficienti dal punto di vista energetico: “Vediamo una tendenza molto rapida verso il raffreddamento a liquido direct-to-chip, il che significa che la richiesta di acqua nei data center sta diminuendo drasticamente in questo momento”, ha spiegato.
L’efficienza nell’elaborazione dell’intelligenza artificiale sta compiendo progressi:
“La tendenza dell’efficienza energetica per l’elaborazione accelerata negli ultimi anni mostra una riduzione del consumo energetico di 100.000 volte. Solo negli ultimi due anni siamo diventati 25 volte più efficienti per l’inferenza dell’IA. Si tratta di una riduzione del 96% dell’energia a parità di carico di lavoro”, spiega.
L’elaborazione accelerata è attualmente la piattaforma più efficiente dal punto di vista energetico per l’IA e per molte altre applicazioni di calcolo.
L’aiuto ai Paesi poveri
I Paesi poveri, in cui l’accesso ai capitali è costoso, necessitano di aiuto. Le energie rinnovabili hanno costi di capitale più elevati e costi operativi più bassi rispetto alle tecnologie che richiedono l’acquisto di combustibile. E ciò danneggia le popolazioni che non hanno accesso ai finanziamenti.
I Paesi ricchi hanno ragioni morali e pragmatiche per fornire aiuto finanziario al Sud globale.
Potrebbero, ad esempio, garantire i prestiti in modo da ridurne il costo. Sono auspicabili anche programmi di aiuto ai Paesi per abbandonare il carbone, il combustibile più sporco. Purtroppo, i “Partenariati per la transizione energetica giusta”, che avrebbero dovuto portare a questo risultato, non sono stati all’altezza delle loro promesse.
Una delle cause dell’inerzia è che l’abbandono del carbone danneggia gravemente le popolazioni locali e gli interessi acquisiti. Anche l’inclinazione al risparmio da parte dei donatori non aiuta. Ora che sono disponibili alternative al carbone, le tariffe sulle emissioni dovrebbe essere un utile strumento aggiuntivo. Ma c’è urgente bisogno anche di altre misure.
Se si adottano queste soluzioni, sarà possibile vedere il giorno in cui le emissioni cominceranno a invertire la rotta e si dovrebbe anche accelerare il ritmo del calo.
Oggi è ormai certo non riuscire a rispettare il limite di 1,5°C previsto dall’accordo di Parigi. Tuttavia sembra ancora possibile mantenere il mondo al di sotto dei 2°C. Ovviamente questo piano B non è l’ideale. C’è una grande differenza tra le due temperature in termini di rischi, danni e sofferenze. E se la stima della mitigazione è spesso esagerato, quello dell’adattamento è invece ignorato.
Il mondo ha il dovere di affrontare queste ulteriori sfide a testa alta, senza indulgere in un inutile e pericoloso fatalismo.