Nella corsa alla transizione ecologica molti materiali sono divenuti, almeno per il momento, indispensabili, tra di essi il litio, il nichel, il manganese e il cobalto, nonché le terre rare, conosciute con l’acronimo REE (Rare Earth Elements), tutti elementi chimici utilizzati per la produzione di motori elettrici e ibridi, ma anche per la produzione di smartphone, computer e apparecchiature medicali.
Terre rare: cosa sono e il loro effetto sull’ambiente
È importante notare che questi elementi sono definiti rari non tanto per la difficoltà di reperirli (si trovano tra l’altro in Cina, Stati Uniti, Russia, Australia), ma per la difficoltà del processo della loro estrazione.
Un processo che ha poco dell’ecologico, visto che avviene attraverso tre fasi ad alto impatto ambientale: dissoluzione, ovvero il processo attraverso il quale si estraggono dalle rocce mediante l’uso di acidi, la separazione, volta a isolare le differenti terre rare e la generazione, ovvero l’ottenimento di un concentrato di ciascuna terra rara.
Come si può immaginare, l’utilizzo di acidi ha un effetto devastante da un punto di vista ambientale, poiché spesso avviene con il rilascio di sostanze anche radioattive.
Tale aspetto fa comprendere perché vi sia un forte appetito, da parte delle potenze occidentali, ma anche da parte della Cina, nella quale sta crescendo una coscienza ambientale, di approvvigionarsi altrove (secondo il famoso detto “occhio non vede, cuore non duole”).
A ciò si accompagna la scarsità che caratterizza ad esempio l’Unione Europea, che soltanto di recente ha iniziato a correre ai ripari attraverso l’European Critical Raw Material Act, emanato dalla Commissione europea lo scorso 16 marzo 2023.
Merita notare che l’approvvigionamento estero, da un lato, ha valenza strategica, a fini geopolitici, con il controllo di risorse essenziali il cui fabbisogno lievita sempre più e, dall’altro, allevia l’insorgere di contestazioni interne da parte degli ambientalisti e di coloro che subiscono in via diretta i danni delle devastazioni.
A ciò si aggiunge il pericolo cui sono esposti i lavoratori coinvolti nelle miniere, che vivono in modo non molto diverso dai “carusi” (ovvero i ragazzi) che lavoravano nelle zolfatare siciliane di fine ‘800 e inizio ‘900 (basterebbe rileggere “Rosso Malpelo” di Giovanni Verga, con buona pace di coloro che reputano la relativa lettura noiosa).
Ed è recente, infatti, il rapporto del gruppo di ricerca Business & Human Rights Resource Center che ha identificato 102 violazioni di diritti umani legate all’estrazione mineraria cinese in varie parti del mondo.
E con buona probabilità la Cina non è sola in questo triste primato.
Il recupero delle terre rare tarda a decollare
Le summenzionate preoccupazioni dovrebbero spingere ad aumentare il recupero delle terre rare e degli altri materiali attraverso il riciclo dei materiali stessi, utilizzati nelle apparecchiature elettroniche giunte a fine vita: allo stato, però, tale attività appare assai limitata (solo una percentuale bassissima dei materiali dai quali si possono estrarre terre rare risulta recuperabile, pesano le difficoltà di raccogliere i relativi rifiuti in modo continuativo e organizzato. Eppure vi sono stime che prevedono di potere giungere a sopperire sino al 25% del fabbisogno laddove tali attività di recupero fossero effettivamente svolte (fonte Explores del 4 maggio 2023).
I paesi più ricchi di metalli tecnologici e terre rare
In Africa, tra i paesi più ricchi si annoverano il Sud Africa, l’Angola, la Namibia e il Madagascar, ma hanno giacimenti anche il Burundi, il Kenya, il Mozambico, il Malawi, e lo Zambia, per citare i più significativi.
In America latina spiccano la Bolivia, il Brasile e la Colombia, ma anche il Messico e il Cile.
Nel sud est asiatico, oltre che la Cina, anche l’Indonesia. Inoltre, da poco è stato scoperto un enorme giacimento di terre rare sull’Himalaya, che potrebbe divenire fonte di nuove tensioni tra Cina e India (con il “piccolo” Nepal sempre in mezzo tra le due potenze).
La trasformazione: il tallone di Achille dei paesi in via di sviluppo
Come per i prodotti agricoli e quelli petroliferi, anche per i metalli e le terre rare, la mancanza di trasformazione in loco è una delle cause di forte depauperamento dei paesi produttori, dal momento che vengono a mancare le valorizzazioni che le trasformazioni aggiungono ai materiali.
Spesso la causa della mancata trasformazione è giustificata con l’assenza di infrastrutture, argomento che poco convince laddove si pensi che le infrastrutture non mancano mai per portare via le materie prime all’estero.
Qualcosa sta cambiando: il nuovo approccio
A parte le restrizioni che le grandi potenze si stanno ponendo reciprocamente su questi materiali strategici, alcuni paesi in via di sviluppo stanno cercando di intervenire sullo sfruttamento delle proprie ricchezze, attraverso la trasformazione in loco.
Il movimento è vasto e include paesi quali il Cile e il Messico che cercano di avere maggiore controllo sulle estrazioni minerarie di litio, le cui concessioni sono state forse troppo improvvidamente rilasciate.
Altri paesi perseguono diverse soluzioni.
Ad esempio lo Zimbabwe, annoverato tra i paesi che hanno posto un bando all’esportazione del litio non lavorato, ha introdotto la differenziazione delle tassazioni a seconda che i materiali siano esportati grezzi o trasformati (incentivando la trasformazione).
Lo Zimbabwe non è solo, anche la Namibia ha posto simili limitazioni, consentendo solo limitate esportazioni di materiali grezzi, soggette a previa autorizzazione governativa (a quali arbitri questa previsione possa condurre è facilmente ipotizzabile).
Andando in Asia, l’Indonesia ha introdotto un vero e proprio divieto all’esportazione dei materiali grezzi, cercando quindi di imporne la trasformazione in loco.
Queste sono le misure adottate, spesso indicate come nazionalizzazioni delle risorse minerarie, ma c’è chi mette in dubbio la relativa legittimità in ragione delle disposizioni sul libero scambio stabilite dalla WTO (World Trade Organization), dal momento che costituirebbero vere e proprie restrizioni agli scambi.
Conclusioni
Negli obiettivi dello sviluppo sostenibile stabiliti dall’Assemblea generale dell’ONU, la transizione ecologica occupa un posto speciale, essendo essenziale per la sopravvivenza del pianeta. Ad esso si aggiungono però anche obiettivi diversi, quali il rispetto dei diritti umani, la lotta alla povertà, lo sviluppo di città vivibili.
Come spesso accade quando sorge un’emergenza, si assiste al si salvi chi può e, ancora una volta, si assiste allo sfruttamento dei paesi meno sviluppati, ammantato da nobili intenzioni.
Tali intenzioni un tempo erano fatte coincidere con la diffusione della “vera fede” e la civilizzazione, oppure con la liberazione dagli altrui imperialismi: ora il mantra sovrano è la salvezza del pianeta, con scarsa o del tutto assente considerazione di coloro che ne vengono travolti in tale corsa, senza alcuna condivisione di scelte e di ricchezza.