Durante la formazione del Governo Draghi, lo scorso febbraio, il dibattito pubblico nel nostro Paese si concentrò (per qualche giorno) sulla transizione ecologica. L’introduzione del nuovo Ministero, affidato poi a Roberto Cingolani, fu l’occasione per portare all’attenzione un tema che in altri paesi era già piuttosto radicato nell’agone mediatico e politico.
Ma “Transizione ecologica” non è un termine neutro, né può essere semplicemente il nuovo nome da dare ad un ministero che in Italia ha contato sempre troppo poco: si tratta, piuttosto, di un processo di profondo e radicale cambiamento, che non riguarda solo la questione climatica e l’uscita il più rapida possibile dal sistema dei combustibili fossili, ma anche la drammatica perdita di biodiversità e di salute del pianeta, nonché le profonde disuguaglianze tra emisferi, generi, generazioni. In discussione c’è, nella sua interezza, lo stesso modello di produzione e consumo, quello della crescita infinita basata sull’estrazione e il consumo di risorse, non solo energetiche.
In quest’ottica complessiva non può bastare “spostare” i profitti verso il green o invocare una qualche fantomatica tecnologia taumaturgica (anche perché le tecnologie, da sole, non bastano). È necessaria una “rivoluzione di sistema”, non solo per andare oltre la pandemia, ma anche per trasformare la società.
Dagli accordi di Parigi alla strategia ONU per lo sviluppo sostenibile: a che punto siamo?
Né si può fare diversamente se consideriamo l’accordo di Parigi del 2015. I suoi obiettivi sono estremamente ambiziosi: mantenere l’aumento della temperatura media globale del pianeta sotto i 2°C (rispetto ai valori precedenti all’era industriale), e fare di tutto per limitarlo a 1,5°C, significa infatti rivoluzionare interamente non solo il nostro sistema energetico, ma tutta la nostra economia e il nostro modo di vivere. E ciò che più conta: per fare tutto questo abbiamo solo pochi anni (30 per l’obiettivo ultimo di de-carbonizzazione, al 2050, ma molto meno di 10 per imprimere la giusta spinta ed evitare che si inneschino fenomeni in grado di accelerare ulteriormente il collasso climatico).
Tanto dagli accordi di Parigi, quanto dalla pubblicazione della strategia ONU per lo sviluppo sostenibile, declinata su 17 obiettivi, sono già passati quasi 6, preziosissimi, anni.
A che punto siamo? Il progetto scientifico indipendente e internazionale Climate Action Tracker[1] monitora da sempre i progressi che i vari stati stanno realizzando nelle politiche climatiche. Secondo l’ultimo aggiornamento (di dicembre 2020) solo due Stati sembrano avere politiche in linea con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura del pianeta entro i 1,5°C: Marocco e Gambia.
Altri sei Stati (tra cui le Filippine, l’Etiopia e l’India) hanno strategie in linea con l’obiettivo dei 2°C.
Nonostante gli enormi sforzi, anche recenti, l’Unione Europea al momento è bocciata. I suoi obiettivi di riduzione delle emissioni porterebbero infatti a un aumento di 3°C della temperatura globale (quando il solo atto di superare i 2°C sarebbe sufficiente a condannare intere aree del pianeta all’irreversibile inabitabilità per gli esseri umani, accelerando al contempo la sesta estinzione di massa).
Corti e tribunali chiedono ai Governi sforzi maggiori
Non è quindi un caso se in diversi Paesi tribunali e corti supreme si sono espressi chiedendo ai rispettivi governi e parlamenti di adottare strategie molto più ambiziose di quelle attualmente implementate.
La Corte Costituzionale tedesca, ad esempio, lo scorso aprile ha chiesto al governo Merkel di modificare la legge sul clima[2], perché pur avendo come obiettivo la decarbonizzazione del paese entro il 2050, rimandava gran parte delle misure più rilevanti a dopo il 2030. In questo modo, secondo la Corte, il rischio è di gravare troppo sulle future generazioni, introducendo obblighi differiti che potrebbero tradursi in rilevanti riduzioni delle libertà personali «perché quasi tutti gli aspetti della vita umana sono ancora associati all’emissione di gas serra e quindi sono minacciati dalle restrizioni drastiche che si dovranno fare dopo il 2030».
Analoghe posizioni sono state espresse dal Tribunale amministrativo di Parigi a febbraio e prima ancora dalla Corte Suprema Olandese nel 2019. In tutti i casi i promotori dei ricorsi sono stati ONG e attivisti climatici.
Anche in Italia è stata presentata una analoga iniziativa dal basso con la campagna Giudizio Universale[3].
Legge europea sul clima: la svolta?
Ora, a livello europeo, il prossimo momento decisivo sarà l’approvazione della Legge europea sul clima per la quale è già stato trovato un accordo politico[4] di alto profilo all’interno del Consiglio Europeo, che dovrà però essere tradotto in azioni concrete. Il pacchetto completo dovrebbe essere presentato a metà luglio e impegnerà tutti gli Stati membri, inclusa l’Italia.
Transizione ecologica: tre libri sul tema
Uscendo dal dibattito quotidiano e provando a mettere le questioni in una prospettiva più a lungo termine, è interessante segnalare come nelle ultime settimane sono stati pubblicati tre libri dedicati a questi temi.
Federico M. Butera inquadra con grandissima lucidità la questione nel suo contesto scientifico generale, svelando le inter-connessioni tanto tra i pericolosi fenomeni innescati dagli esseri umani, solo apparentemente slegati tra loro, quanto tra questi e i sistemi politici, economici e sociali che abitiamo quotidianamente. “Affrontare la complessità. Per governare la transizione ecologica” pubblicato ad aprile da Edizioni Ambiente.
Scrive Butera: “Abbiamo profondamente alterato il metabolismo del super-organismo biosfera, e le manifestazioni di questa alterazione sono state, negli ultimi decenni, la sua febbre (il riscaldamento globale) e la progressiva perdita di biodiversità, che è il principale indicatore della salute degli ecosistemi. Sono due, dunque, i fenomeni, le malattie, che minacciano la stabilità del sistema Terra, e quindi la società umana: il riscaldamento globale e la perdita di biodiversità. E dobbiamo cercare di riportarli sotto controllo. Il tutto è complicato dal fatto che i due fenomeni sono fra loro connessi, ed entrambi incidono negativamente sulla sola cosa di cui non possiamo assolutamente fare a meno: il cibo; con l’aggravante che la produzione di cibo, a sua volta, è la causa principale della perdita di biodiversità e una delle cause del cambiamento climatico”.
Massimo Acanfora e Gianluca Ruggieri hanno invece curato per Altreconomia “Che cos’è la transizione ecologica. Clima, ambiente, disuguaglianze sociali”.
Raccogliendo i contributi di 30 tra autrici e autori: docenti e ricercatori, giornalisti e filosofi che affrontano questioni dirimenti come il rapporto tra economia reale e quella finanziaria, il finanziamento della transizione attraverso fisco e debito, l’estrazione di risorse e la necessità di calmierare e rendere circolare la produzione industriale, la sottrazione continua di biodiversità, del capitale naturale ed agricolo, il suolo, l’aria e l’acqua; e poi estendono la riflessione a quale governance globale e locale sia desiderabile, a come affrontare la povertà energetica, dai Paesi in via di sviluppo alle nostre città e a come ridisegnare il linguaggio, auspicando una “decarbonizzazione” dell’immaginario. Un libro che racconta e interpreta la transizione ecologica con voci diverse e da ogni prospettiva: tracciando il quadro politico e normativo, affrontando di petto la questione climatica, con i grandi temi dell’energia e dei trasporti in primis, ma anche interpellando esperti di altre discipline, dalla finanza alla forestazione.
“Ricomporre i divari Politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica” curato da Alessandro Coppola, Matteo Del Fabbro, Arturo Lanzani, Gloria Pessina, Federico Zanfi e pubblicato da Il Mulino, raccoglie invece contributi di ambito accademico di descrizione di pratiche concrete già in atto o in programma per affrontare nei tanti territori italiani, ricchi di criticità e di potenzialità. Perché la transizione ecologica impatta sulla vita di tutti, e riguarda direttamente temi come l’abitare, le infrastrutture della vita quotidiana e la mobilità. Il lavoro, sintesi di progetti pluriennali, potrebbe diventare un utile manuale su come definire le politiche del Next Generation EU nel nostro paese.
Note
- www.climateactiontracker.org/countries/eu ↑
- www.ilpost.it/2021/04/29/germania-legge-clima-corte-costituzionale/ ↑
- https://giudiziouniversale.eu/ ↑
- www.consilium.europa.eu/it/press/press- releases/2021/05/05/european-climate-law-council-and-parliament-reach-provisional-agreement ↑