La sostenibilità di filiera, intesa come l’insieme di pratiche finalizzate a promuovere la sostenibilità ambientale, sociale ed economica attraverso il coinvolgimento di fornitori e clienti lungo tutti i livelli della catena del valore, non rappresenta più un semplice “nice-to-have”.
Per molte imprese, sta ormai diventando un obbligo. A sottolineare questa tendenza, sono state approvate dalla Commissione Europea due direttive di grande rilevanza che estendono l’attenzione verso la sostenibilità dalla singola azienda all’intera filiera: la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD, (EU) 2022/2464, 2022) e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D, Directive (EU) 2024/1760).
La CSRD si concentra principalmente sulla rendicontazione delle prestazioni di
sostenibilità, comprese quelle relative alla filiera. La CS3D, invece, regola la responsabilità delle imprese in merito alle azioni che impattano la sostenibilità, con un particolare focus sulla gestione sostenibile della catena di fornitura.
Se la CSRD è ormai ben conosciuta dalle imprese, la CS3D, pubblicata nel luglio 2024, suscita ancora numerosi interrogativi riguardo alle sue implicazioni e alle azioni necessarie per adempiere ai suoi requisiti. Investighiamoli quindi con maggiore dettaglio.
Indice degli argomenti
La CS3D: le azioni richieste alle imprese
Dopo un lungo iter legislativo, la CS3D è entrata ufficialmente in vigore a luglio 2024. La direttiva coinvolge un ampio gruppo di aziende, in particolare quelle europee con più di 1000 dipendenti e un fatturato netto annuo superiore a 450 milioni di euro a livello mondiale, e quelle non europee con più di 450 milioni di euro di fatturato netto nell’Unione (Articolo 2).
Gli Stati membri avranno tempo fino a luglio 2026 per recepirla nella legislazione nazionale. A partire da luglio 2027, le regole si applicheranno inizialmente alle imprese europee con oltre 5000 dipendenti e un fatturato netto superiore a 1500 milioni di euro a livello globale, e a quelle non europee con un fatturato netto nell’unione superiore a 1500 milioni di euro, per poi essere estese progressivamente a tutte le imprese definite dall’Articolo 2 (Articolo 37).
Si raggiungerà l’intero gruppo di imprese con più di 1.000 dipendenti dal 2029.
La direttiva mira a regolamentare i processi di due diligence delle imprese, attraverso i quali esse devono identificare, prevenire, mitigare e rendere conto degli impatti negativi, effettivi e potenziali, sui diritti umani e sull’ambiente, prodotti dalla propria attività e dalla propria value chain.
Una delle principali novità della CS3D è l’estensione della responsabilità aziendale agli impatti generati non solo dalle proprie attività, ma anche da quelle dei partner commerciali lungo tutta la filiera (e quindi, anche dei clienti e dei fornitori).
Cosa devono fare le aziende
Le azioni richieste alle imprese sono molteplici. In primo luogo, la direttiva impone l’integrazione delle pratiche di due diligence nei sistemi di gestione del rischio e nelle politiche aziendali, conformemente ai requisiti della normativa.
La direttiva richiede poi di identificare e valutare gli impatti negativi effettivi e potenziali lungo la filiera, attraverso una mappatura dettagliata delle attività. Successivamente è necessario stabilire un ordine di priorità tra gli impatti negativi, poiché non è realistico affrontare simultaneamente tutti gli impatti identificati. La prioritizzazione segue una logica di gestione dei rischi, e si basa sulla probabilità che un impatto si verifichi e sulla gravità dei suoi effetti.
Una volta definiti gli impatti prioritari su cui agire, le imprese devono sviluppare un piano d’azione per prevenire e mitigare gli impatti negativi potenziali e per interrompere quelli effettivi. Questo richiede il coinvolgimento attivo dei fornitori, chiedendo loro di aderire al codice di condotta dell’impresa e di impegnarsi a loro volta, con i propri fornitori, nell’estensione dei loro codici di condotta. Inoltre, le imprese potranno richiedere ai fornitori garanzie contrattuali del rispetto dei codici di condotta e dei piani di azione che li coinvolgono.
Le imprese potrebbero inoltre dover supportare le PMI (Piccole e Media Imprese) fornitrici con misure finanziarie e non, per consentire loro di rispettare i requisiti della direttiva.
In caso di impossibilità a prevenire o mitigare determinati impatti, la CS3D prevede che le aziende valutino la possibilità di non instaurare o di interrompere rapporti commerciali con i fornitori responsabili.
La direttiva richiede inoltre di porre rimedio agli impatti negativi effettivi identificati e di instaurare un dialogo costante con gli stakeholder, inclusi fornitori, clienti, concorrenti ed enti regolatori.
Le aziende sono infine tenute a monitorare l’efficacia delle loro politiche di due diligence e a riportare pubblicamente i progressi compiuti.
I primi passi per le imprese e la gestione dei fornitori
Per adeguarsi alla CS3D, le imprese devono intraprendere una serie di azioni preliminari su diversi fronti. Il primo passo consiste nella valutazione dello stato attuale dell’azienda, verificando l’allineamento delle competenze interne, dei modelli di rendicontazione, della governance e dei processi di gestione dei rischi ai requisiti della direttiva.
È inoltre fondamentale verificare l’esistenza di pratiche di due diligence già consolidate e adeguarle alla direttiva, oltre a garantire la conformità del codice di condotta aziendale alla CS3D.
Sul piano operativo, è necessario formalizzare ruoli specifici per la due diligence,
eventualmente creando team interfunzionali incaricati di definire e implementare le azioni richieste. Le attività di formazione rivestono un ruolo cruciale, sia per i dipendenti direttamente coinvolti nell’implementazione delle misure, sia per tutto il personale aziendale, al fine di promuovere una cultura orientata alla sostenibilità.
Parallelamente, è necessario definire gli stakeholder esterni da coinvolgere, identificando le modalità di collaborazione con i fornitori e con i clienti in linea con la direttiva. Questo include la revisione dei contratti con i partner commerciali e l’implementazione di azioni di supporto per le PMI fornitrici. Un’accurata mappatura della filiera e degli impatti negativi potenziali ed effettivi è poi essenziale per prioritizzare le aree di intervento e sviluppare una roadmap per l’implementazione delle azioni.
La gestione sostenibile dei fornitori
Un elemento cruciale della CS3D è rappresentato dalla gestione sostenibile dei fornitori.
Le imprese devono identificare i fornitori più critici in relazione alla direttiva ossia quelli più soggetti alla generazione di impatti negativi significativi. Per farlo, è necessario definire criteri di rilevanza dei fornitori che riguardino sia le loro caratteristiche (basati, ad esempio, sull’impatto economico-finanziario o sulla strategicità del fornitore), sia le caratteristiche della categoria merceologica che forniscono (basati, ad esempio, sull’impatto ambientale e sociale delle categorie di riferimento).
Il percorso per le aziende
Una volta definiti tali criteri di rilevanza, occorre sviluppare degli indicatori per misurarli.
Sulla base dei criteri definiti, sarà possibile individuare i fornitori più critici per la direttiva, sui quali concentrare le pratiche di gestione sostenibile, quali la valutazione delle performance di sostenibilità tramite ESG rating e assessment, audit (in presenza o digitali) e iniziative di sviluppo e collaborazione.
Con l’entrata in vigore della CS3D, le imprese sono chiamate a intraprendere un percorso impegnativo ma essenziale per garantire la sostenibilità delle proprie filiere.
L’adozione di pratiche di due diligence integrate e il coinvolgimento attivo di tutti gli stakeholder, a partire dai fornitori, rappresentano i pilastri su cui costruire un modello di business più sostenibile e responsabile.