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Trasporto marittimo a emissioni zero: l’impatto dell’EU ETS



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Dal 2024, la direttiva UE 2023/959 estenderà l’EU ETS al trasporto marittimo, imponendo limiti alle emissioni di CO2. Questa mossa, che mira a ridurre del 43% le emissioni entro il 2030, presenta sfide tecniche e logistiche per gli armatori, richiedendo innovazioni nel tipo di combustibile e nelle infrastrutture portuali, in un settore cruciale per il commercio globale

Pubblicato il 22 feb 2024

Francesco Beltrame Quattrocchi

Ordinario di Bioingegneria Università degli Studi di Genova; Presidente di ENR – Ente Nazionale di Ricerca e promozione per la standardizzazione



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La direttiva UE 2023/959, entrata in vigore in Italia l’1 gennaio 2024, ha ampliato l’ambito di applicazione del Sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (European Union Emissions Trading System – EU ETS), il principale strumento adottato dall’Unione Europea per raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2 nei principali settori industriali e nel comparto dell’aviazione, estendendo gli obblighi derivanti dalla direttiva 2003/87/CE, alle emissioni prodotte dal trasporto marittimo.

Anche il regolamento UE 2015/757, già concernente il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di anidride carbonica generate dal trasporto marittimo è stato modificato per ampliarne corrispondentemente l’ambito di applicazione, includendo nuove tipologie di navi e ulteriori gas a effetto serra.

Il meccanismo degli ETS e la contabilità delle compensazioni

Il meccanismo degli ETS è di tipo cap&trade, ovvero fissa un tetto massimo complessivo alle emissioni consentite sul territorio europeo nei settori interessati (cap) cui corrisponde un equivalente numero “quote” (1 ton di CO2eq. = 1 quota) che possono essere acquistate/vendute su un apposito mercato (trade). Ogni operatore attivo nei settori coperti dallo schema deve “compensare” su base annuale le proprie emissioni effettive (verificate da un soggetto terzo indipendente) con un corrispondente quantitativo di quote.

La contabilità delle compensazioni è tenuta attraverso il Registro Unico dell’Unione mentre il controllo su scadenze e rispetto delle regole del meccanismo è affidato alle Autorità Nazionali Competenti (ANC).

Le quote possono essere allocate a titolo oneroso o gratuito. Nel primo caso, vengono vendute attraverso aste pubbliche alle quali partecipano soggetti accreditati che acquistano principalmente per compensare le proprie emissioni, ma possono alimentare il mercato secondario del carbonio.

Nel secondo caso, le quote vengono assegnate gratuitamente agli operatori a rischio di delocalizzazione delle produzioni in Paesi caratterizzati da standard ambientali meno stringenti rispetto a quelli europei (c.d. carbon leakage o fuga di carbonio). Le assegnazioni gratuite sono appannaggio dei settori manifatturieri e sono calcolate prendendo a riferimento le emissioni degli impianti più “virtuosi” (c.d. benchmarks, prevalentemente basati sulle produzioni più efficienti).

L’impatto del trasporto marittimo internazionale sulle emissioni di CO2

Indipendentemente dal metodo di allocazione, il quantitativo complessivo di quote disponibili per gli operatori (cap) diminuisce nel tempo, imponendo di fatto una riduzione delle emissioni di gas serra nei settori ETS: in particolare, al 2030, il meccanismo garantirà un calo del 43% rispetto ai livelli del 2005. Il trasporto marittimo internazionale rappresenta meno del 3% delle emissioni di CO2 generate da attività umane, a livello mondiale. Questo dato va confrontato con un altro numero importante: il 90% delle merci a livello mondiale viene trasportata via mare.

Decarbonizzazione del trasporto marittimo: un problema complesso

Un’altra considerazione di rilievo è, vista la natura intrinsecamente internazionale del trasporto marittimo, ricordare che l’ente regolatore riconosciuto da tutti i Paesi è l’IMO (International Maritime Organization). IMO persegue una linea nel settore della decarbonizzazione del trasporto marittimo sintetizzabile nella parola compliance, ovvero conformità a una normativa, uno standard o a delle best practice condivise (bottom up) mentre risulta del tutto evidente l’approccio prescrittivo e stringente (top down) messo in atto dalla EU.

Tali quadri regolatorii, sia quello IMO sia quello EU, si trovano ad affrontare un problema che è davvero difficile da superare in modo integrato dal punto di vista logistico e da quello tecnologico. In pratica, non esiste oggi una soluzione tecnologica adeguata a risolvere la complessità del cambiamento necessario per il mondo degli armatori. Infatti, diverse sono le tipologie di navi, diverse le rotte, diversi i vincoli operativi, i quali, in un modo o nell’altro costringono a rivedere il problema della decarbonizzazione del trasporto marittimo sia sul versante delle navi sia su quello delle infrastrutture di terra portuali destinate ad accoglierle e dalle quali debbono ripartire.

Le difficoltà di identificare il combustibile o vettore energetico “ottimo”

Ci sono poi navi che hanno rotte definite, basti pensare alle navi da crociera o ai traghetti, e navi che invece operano con piani di navigazione diversi di volta in volta, a seconda del porto dove devono caricare o scaricare la merce: tipicamente, la flotta mercantile, come petroliere o porta rinfuse. In questa tipologia di casi, è evidente la problematicità della scelta del combustibile o vettore energetico per il sistema di propulsione che deve essere disponibile per l’operazione denominata “bunkeraggio”, ossia “fare il pieno” quando necessario. Occorre infatti assicurare la disponibilità di quel certo tipo di combustibile o vettore energetico su tutti gli scali marittimi interessati, variabili di volta in volta. Questo aggrava il problema per gli armatori di identificare un particolare combustibile (e un corrispondente motore navale) per cercare di rispettare i vincoli di decarbonizzazione posti dalle regole EU.

Sarebbe anzi più appropriato scrivere che tale aggravamento sostanzialmente attribuibile alla parte logistica di interfaccia terra- mare, si inserisce nell’ambito di un già complesso problema strettamente tecnologico che a oggi non consente di identificare il combustibile o vettore energetico “ottimo”. Ogni combustibile, infatti, da LNG a metanolo, ad ammoniaca, a biocombustibili diversi naturali o sintetici fino all’idrogeno, presenta vantaggi e svantaggi (occupazione di volume per idrogeno, tossicità per ammoniaca, nel caso dei combustibili verdi di sintesi, denominati e-fuel, sarebbe necessario l’impiego di più della metà di tutta l’energia rinnovabile attualmente prodotta nel mondo) e, allo stato, la scelta è assai legata ai parametri operativi legati ai diversi tipi di navi, alla loro velocità, spazio di carico e molti altri fattori. Si aggiunge infine il problema della formazione del personale che dovrebbe essere in grado di operare tali nuovi sistemi.

Combinando tutti questi aspetti, risulta evidente come un armatore, pur pronto a fare del proprio meglio come investimento per decarbonizzare il trasporto marittimo, non possa permettersi errori: rinnovare una flotta e poi accorgersi che essa non vada bene non è equivalente per una persona normale all’acquisto di un’auto elettrica per la quale può poi facilmente tornare indietro a una soluzione a motore endotermico o ibrido: ciò è evidente per l’entità dell’investimento e del tempo coinvolti. In estrema sintesi, si può scrivere che la dizione “transizione ecologica” nel settore della decarbonizzazione del trasporto marittimo andrebbe derubricata alla migliore denominazione di “trasformazione ecologica” attraverso una serie di passi che possano costituire un percorso ragionevolmente percorribile in termini di rapporto benefici/costi. L’equivoco nasce dal fatto che quando si parla di transizione deve essere chiaro il punto di partenza (e questo lo è) e il punto di arrivo, e questo invece non lo è.

Le possibili soluzioni

Occorrono passi diversi e non necessariamente in conflitto fra loro o uno sequenziale all’altro su scala temporale. I biofuels, per esempio, possono essere miscelati con combustibili convenzionali o utilizzati puri, con discrete riduzioni di emissioni di CO2, fermi restando la disponibilità di combustibile e la sostenibilità del suo costo. Un’altra soluzione di rilievo è la cattura del carbonio e il suo stoccaggio (Carbon Capture and Storage – CCS) per specifiche tipologie di navi. Altro caso ancora è quello legato all’impiego di metano liquido che consente una riduzione di circa il 20% di CO2 rispetto a un combustibile tradizionale, benché di origine fossile. Le navi così equipaggiate potrebbero usare tecnologie di reforming insieme alla cattura di CO2 con produzione di idrogeno a bordo, miscelabile con metano, indicando un percorso progressivo verso soluzioni con metanolo, ammoniaca e idrogeno. Dunque, la transizione può essere approssimata al più attraverso un percorso sostenibile di trasformazioni successive su un orizzonte temporale definito e non imposta da una normativa top down rigida come il sistema EU ETS. L’approccio regolatorio IMO, basato sulla compliance è certamente quello, allo stato della tecnologia e della logica dei diversi attori coinvolti, quello decisivo per fare passi in avanti concreti, evitando pericolosi salti nel buio.

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