rapporto del Parlamento UE

Terre rare, l’Europa dipende troppo dalla Cina: perché è un problema

L’Unione Europea sopperisce al bisogno di terre rare, gruppo di diciassette elementi fondamentali per realizzare tecnologie e per attuare la transizione verde, grazie alle importazioni soprattutto dalla Cina: un report del Comitato per l’industria, la ricerca e l’energia del Parlamento Europeo fa luce sulla situazione

Pubblicato il 05 Gen 2023

Davide Agnello

Analyst, Hermes Bay

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Negli ultimi anni, le cosiddette terre rare o critiche (in inglese Critical Raw Materials – CRM o Rare-Earth Elements – REE) hanno assunto un ruolo sempre più importante nell’economia mondiale. Si tratta di diciassette elementi fondamentali per la costruzione e il funzionamento dei moderni dispositivi tecnologici. Come riportato nel rapporto del Comitato per l’industria, la ricerca e l’energia (ITRE) del Parlamento Europeo, pubblicato in data 19 dicembre 2022, l’avvio della transizione energetica e digitale nell’ambito dello European Green Deal ha reso necessaria la disponibilità tempestiva di tali materie prime per raggiungere gli obiettivi climatici prefissati: ovvero la diminuzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030 e il loro azzeramento entro il 2050.

Gli Stati Membri dell’UE sopperiscono al loro fabbisogno di questi elementi in larga misura attraverso le importazioni. Tuttavia, l’Unione è principalmente vincolata ai mercati esteri per quanto riguarda i componenti, i prodotti intermedi e i beni finali sviluppati con le REE. Esempi importanti in tal senso sono i deficit commerciali per i magneti permanenti, le batterie al litio e le celle a combustibile. Tuttavia, l’UE ricopre un ruolo centrale nell’esportazione di prodotti finali quali le turbine eoliche, gli elettrolizzatori e i veicoli elettrici.

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Terre rare, cosa dice il rapporto ITRE

Secondo quanto indicato dal rapporto, l’accesso a tali elementi e materiali è destinato a diventare sempre più rilevante all’interno dell’Unione man mano che la capacità produttiva in alcune industrie strategiche aumenterà. Un esempio di tale andamento riguarda il settore della produzione di batterie, dove l’UE è un importatore centrale di tutte le materie prime, soprattutto del cobalto. Un altro minerale altrettanto importante in cui l’UE ha un deficit commerciale complessivo è il titanio, necessario per la fabbricazione delle celle a combustibile. Di fatto, l’UE importa il 17% del suo fabbisogno di titano dalla Russia, che rappresenta uno dei primi tre produttori mondiali di questo elemento. Inoltre, Mosca fornisce il 15% delle importazioni europee di platino, fondamentale per l’assemblaggio degli elettrolizzatori.

Tuttavia, il principale Stato da cui l’UE dipende per quanto riguarda le importazioni di materie prime e componentistica necessari per la transizione verde e digitale è la Cina. Beijing è un attore dominante nell’intera catena del valore, dall’estrazione e raffinazione dei REE fino alla realizzazione di magneti permanenti che utilizzano questi prodotti raffinati. Inoltre, è altresì uno dei maggiori fornitori per l’Unione di batterie utilizzate nei settori delle auto elettriche e per l’accumulo di energia.

Le conseguenze di guerre e ostilità

L’invasione russa dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni imposte al Cremlino, insieme alle tensioni tra Cina e Stati Uniti in merito a Taiwan, hanno messo in evidenza le vulnerabilità dell’Unione di fronte alle distorsioni delle catene di fornitura internazionali delle terre rare. Sia la Cina che la Russia si starebbero muovendo da tempo per assumere una posizione dominante nel mercato dei CRM. Attualmente, la Cina controlla circa l’80% della produzione mondiale di terre rare. Il Paese si è concentrato sullo sviluppo di questo comparto fin dagli anni Cinquanta e il sito di Baotou, nella Mongolia Interna, rappresenta il principale centro di lavorazione nazionale. Nel 2022, la Cina ha ampliato per il quinto anno consecutivo la produzione di terre rare e ha fissato la quota di estrazione a 210.000 tonnellate, con un aumento del 25% rispetto alle 168.000 del 2021.

Il dominio della Cina nel settore incide in maniera importante sulla capacità dell’Occidente di trovare soluzioni autonome per sostenere la propria economia. Infatti, Pechino sfrutterebbe il suo vantaggio competitivo per esercitare pressioni diplomatiche sugli stati con cui intrattiene relazioni commerciali. Già nel settembre 2010, a seguito della detenzione di un peschereccio cinese da parte delle autorità nipponiche, la Repubblica Popolare impose il blocco delle esportazioni di REE al Giappone. Quest’ultimo ha rappresentato per molti anni il principale acquirente di terre rare cinesi, utilizzandole per vari scopi industriali, come la produzione di pannelli solari e di motori per le auto ibride. Nel febbraio 2022, nel contesto delle ostilità nello Stretto di Taiwan, Pechino ha imposto delle restrizioni sugli acquisti di REE alle aziende statunitensi della difesa Lockheed Martin Corp, produttrice dei caccia F-35, e Raytheon Technologies Corp, il più grande costruttore di missili guidati al mondo. Tale decisione sarebbe stata presa in considerazione del fatto che le filiere di approvvigionamento militare dei Paesi NATO sono altamente influenzate dalle decisioni cinesi.

Secondo Jakob Kullik, ricercatore presso l’Università Tecnologica di Chemnitz, questa dipendenza sarebbe maggiore rispetto a quella energetica nei confronti del Cremlino. Non disponendo finora di alternative per alimentare gli apparati militari, i produttori statunitensi di minerali critici stimano che, in caso di scontro, la Cina potrebbe interrompere le forniture di terre rare a Washington e portare all’esaurimento le scorte di minerali necessari all’apparato di difesa americano in meno di 90 giorni.

Gli investimenti cinesi in Africa e America latina

Allo stesso tempo, Pechino avrebbe rafforzato la sua predominanza sul settore con un aumento degli investimenti in progetti minerari in Africa. Dal 2018, la Cina ha iniziato a importare alcune terre rare in risposta alla crescente domanda interna e alle restrizioni ambientali imposte per limitare le pratiche di estrazione illegale. È probabile che la Cina possa offrire investimenti infrastrutturali e finanziamenti ai Paesi africani in cambio di risorse e diritti di esplorazione mineraria ed energetica. Oltre al continente africano, la Repubblica Popolare si starebbe espandendo anche in America Latina. Nel 2020, l’azienda brasiliana di estrazione del ferro Vale ha stretto un accordo da 624 milioni di dollari con l’operatore portuale statale Ningbo Zhoushan Port. Quest’intesa prevede l’incremento di 40 milioni di tonnellate delle spedizioni di minerale nel porto di Shulanghu, nell’intento di aumentare la quota di mercato dell’impresa in Cina.

Russia e terre rare

Per quanto concerne Mosca, nel 2020 sono stati resi pubblici 11 piani di investimenti pari a 1,5 miliardi di dollari per lo sfruttamento di 12 milioni di tonnellate di REE. L’obiettivo prefissato è quello di diventare il maggior produttore dopo la Cina entro il 2030. Alexei Besprozvannykh, Viceministro dell’Industria e del Commercio, ha dichiarato che questi piani avrebbero permesso alla Russia di diventare quasi autosufficiente per quanto riguarda i REE entro il 2025 e di iniziare le esportazioni nel 2026.

Così come la Cina, anche la Federazione Russa starebbe cercando sbocchi in Africa. A differenza della Cina, che è entrata nella regione attraverso i finanziamenti della Belt and Road Initiative, Mosca si starebbe espandendo attraverso l’impiego di mercenari, in primis quelli del Gruppo Wagner. In cambio dell’assistenza ai Governi africani impegnati in conflitti, l’organizzazione paramilitare avrebbe beneficiato di concessioni minerarie e di uno speciale status diplomatico.

Un’altra importante fonte di approvvigionamento di REE per il Cremlino sarebbe rappresentata dalle aree occupate nel Donbass. Oltre ai giacimenti di carbone e ferro, nella regione sarebbero presenti ingenti riserve di grafite, manganese, cobalto, titanio, litio e altri CRM, nonché di alluminio e rame. Snodo fondamentale per il commercio di questi minerali sarebbe il porto di Mariupol, occupato dalle forze filorusse nel maggio 2022. Secondo Marco Di Liddo, analista presso il Centro Studi Internazionale (Ce.SI), il controllo della regione sarebbe di cruciale importanza per la Russia al fine di sostenere economicamente il proprio sforzo bellico in Ucraina.

Le soluzioni per l’UE

Per far fronte alle posizioni dominanti di Cina e Russia e al rischio di future carenze nelle forniture mondiali, il Comitato ITRE individua nello stoccaggio a livello comunitario dei CRM una possibile strategia per garantire un approvvigionamento di queste risorse a tutti i Paesi UE. In passato, solo alcuni Stati membri, come Francia, Slovacchia, Svezia e Regno Unito avevano programmi di immagazzinamento di alcune materie prime specifiche, gestiti dai rispettivi Governi. Gli stoccaggi in questi quattro Paesi sono stati interrotti per varie ragioni: alcuni di questi paesi hanno ritenuto che le scorte non fossero più necessarie, poiché le fonti di materie prime sarebbero diventate sufficientemente diversificate; altri invece, come la Slovacchia, hanno ritenuto che i rischi si siano ridotti dopo l’adesione all’UE e alla NATO.

Tuttavia, come sottolinea il Comitato, vari Paesi industrializzati come Giappone, Stati Uniti, Svizzera e Corea del Sud hanno attivato programmi di stoccaggio per assicurare una fornitura sicura di CRM e la salvaguardia delle industrie nazionali che ne fanno uso. Oltre a questa strategia, il report suggerisce come altre pratiche da adottare:

  • la ricerca di soluzioni alternative agli accordi di libero scambio per via della loro portata limitata nella differenziazione dei fornitori;
  • l’ampliamento dei meccanismi di monitoraggio, in particolare l’acquisizione dei dati sull’andamento dei prezzi e sullo stato delle catene del valore;
  • lo stanziamento di incentivi destinati alle imprese per il mantenimento delle scorte;
  • l’impiego di professionisti del settore privato nella gestione delle operazioni di stoccaggio;
  • la connessione delle politiche di immagazzinamento a misure strategiche che irrobustiscano la resilienza della capacità industriale dell’UE.

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