L’uomo è l’unico essere vivente che produce scarti; in natura, infatti, non esiste il concetto di rifiuto né tanto meno di spreco, ma solo di materia che si trasforma: ciò che viene scartato da un organismo diventa risorsa per altri esseri viventi.
Negli ultimi anni molte innovazioni rispettose dell’ambiente si sono susseguite, ispirandosi a piante e animali.
La biomimesi dal greco “bios”, ovvero vita, e “mimesis”, cioè imitazione, è una nuova disciplina che ha l’intento di studiare e riprodurre le caratteristiche degli organismi viventi, al fine di trovare delle soluzioni progettuali che possano essere utili al miglioramento delle attività e delle tecnologie umane, riducendo il loro impatto sull’ambiente.
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Una piattaforma per ridurre l’impatto ambientale
L’inquinamento ambientale ha effetti negativi sia sulla salute dei cittadini che sul territorio e comporta enormi spese. Con l’abbattimento degli sprechi non ci sarebbe più bisogno di nuove discariche o termovalorizzatori, si eviterebbe l’inquinamento dell’aria, ma anche del terreno e, soprattutto, delle falde acquifere, sempre più prosciugate a causa dei cambiamenti climatici.
Tali interventi comportano grossi investimenti in ricerca e sviluppo che spesso una sola azienda, anche grande, difficilmente potrebbe sostenere.
Considerata l’importanza delle ricadute che ne scaturirebbero in termini di impatto ambientale e benefici per i cittadini, tenendo conto anche dell’obiettivo di far sì che l’Europa diventi il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 (green deal o “patto verde” europeo), il governo potrebbe istituire una piattaforma digitale per fare interagire le aziende al fine di condividere le attività di ricerca e progettazione, soprattutto per gli elementi dei prodotti che necessitano di grossi investimenti in fase di sviluppo (nuovi materiali, batterie, packaging, etc.), acquistare insieme materie prime di qualità al prezzo migliore, gestire insieme trasporti, logistica, e le aree di raccolta dei beni da riutilizzare o riciclare per realizzare nuovi prodotti.
Questa piattaforma potrebbe consentire allo Stato di individuare più facilmente le aziende più innovative, disponibili a condividere il proprio know-how e ad elargire più efficientemente incentivi e benefici fiscali, consentendo una più corretta rendicontazione delle spese.
La conoscenza condivisa
Le innovazioni sono tutelate dai diritti d’autore (“copyright”); tuttavia, quando un’innovazione potrebbe apportare dei miglioramenti alla vita di tutti noi o all’ambiente, per consentire all’intera collettività di beneficiarne al massimo, essa dovrebbe essere condivisa senza alcun limite di riproduzione, distribuzione e diffusione. Enti autonomi internazionali appositamente costituiti potrebbero premiare, anche economicamente, gli autori dell’innovazione dando il giusto riconoscimento al loro ingegno.
L’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma che “ogni individuo ha il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici”. La condivisione di conoscenze ed esperienze, in grado di migliorare la qualità della vita, permetterebbe una forte accelerazione delle innovazioni per un mondo migliore.
Rivedere l’intero ciclo di vita di un prodotto
La pandemia, attraverso i lockdown, ha consentito un notevole miglioramento della qualità dell’aria, soprattutto nelle grandi città, ma ha anche provocato un aumento dei rifiuti di plastica monouso.
In un mondo in cui i Paesi vengono misurati in base alla crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) sarebbe difficile stabilire regole che, al fine di limitare i rifiuti, avessero effetti negativi sul PIL. L’unica soluzione concretamente praticabile potrebbe essere quella di cercare di produrre beni che non generino sprechi.
Proposte per realizzare un prodotto a impatto zero
Il ciclo di vita di un prodotto potrebbe essere suddiviso in 6 fasi: Concezione, Progettazione, Produzione, Distribuzione, Utilizzo, Dismissione. Per poter raggiungere l’impatto zero di un bene di consumo bisognerebbe intervenire per ridefinire soprattutto le prime 3 fasi (concezione, progettazione e produzione), e quella finale (dismissione).
Concezione e progettazione ad impatto zero
Dal momento in cui nasce l’idea di un nuovo prodotto, occorre prevedere l’intero ciclo di vita dello stesso. Quindi, correggere, in fase di progettazione, le caratteristiche che potrebbero generare sprechi futuri e indicare nel manuale di istruzioni, accessibile online tramite QR Code presente sul prodotto, le modalità più corrette per dismetterlo.
Concezione e progettazione sono le fasi cruciali durante le quali si materializza l’idea di un nuovo prodotto. Spesso i nuovi prodotti sono evoluzioni di prodotti già in commercio; partendo da un’analisi dei pro e dei contro di un prodotto in commercio, la condivisione delle conoscenze consentirebbe di aver un maggior numero di ricercatori con il know-how necessario per innovare un prodotto che rispetti l’ambiente.
Produzione ad impatto zero
Molto importante, per azzerare gli sprechi, è la scelta dei materiali da utilizzare per realizzare il prodotto concepito. L’utilizzo di materiali durevoli e totalmente riciclabili consentirebbe di non generare rifiuti alla fine del ciclo di vita del prodotto. Al fine di raggiungere tali obiettivi è necessario superare alcuni ostacoli, che probabilmente sono le principali cause dell’incremento dei rifiuti. Non tutte le plastiche ad esempio sono riciclabili. A tal proposito, potremmo suddividere le plastiche maggiormente utilizzate in due categorie: termoplastiche, che possono essere rifuse e riformate (sono le plastiche meno resistenti: bottiglie dell’acqua, vasetti yogurt, confezioni degli alimenti,….) e termoindurenti, le quali contengono polimeri che si intersecano per formare un legame chimico irreversibile, non possono essere rifuse in un nuovo materiale, e pertanto non sono riciclabili (sono le plastiche più dure: bacinelle, giocattoli, borracce, posate…).
Nel caso delle plastiche termoindurenti, sarebbe necessario individuare dei materiali alternativi oppure ideare processi che le rendano riciclabili e, in quest’ultimo caso, alcune ricerche sono già in fase avanzata. Nel frattempo, si potrebbero incentivare le aziende ad utilizzare, in fase di produzione, elementi universali, ovvero già utilizzati in altri prodotti (ad esempio i microchip, ma anche componenti meccanici o elementi strutturali come il telaio o il contenitore del prodotto, etc.). Tali soluzioni consentirebbero non solo di ridurre enormemente l’impatto ambientale di un prodotto, ma anche di allungare la fase di utilizzo del prodotto, poiché sarebbe più facile il reperimento dei ricambi in caso di guasti.
Dismissione a impatto zero
Questa fase è molto importante per evitare che il prodotto finisca nelle discariche. Quindi bisognerebbe incentivare le aziende a gestire insieme delle aree di consegna dei prodotti inutilizzati dove stabilire se rivendere il prodotto così com’è (se ancora funzionante), ripararlo per rivenderlo, smembrarlo per riutilizzare le sue parti per altri prodotti, o riciclare le rimanenti materie prime di cui è composto per produrre nuovi prodotti. Sarebbe utile anche un’app nazionale, dove le aziende potessero descrivere dettagliatamente i loro prodotti, indicare come e dove ripararli, e indirizzare gli utenti verso il centro di dismissione più adatto o prenotare un ritiro direttamente a casa. La maggior parte dei cittadini è consapevole degli effetti dei rifiuti sull’ambiente, ma purtroppo, in mancanza di un efficiente sistema di gestione del prodotto inutilizzato, spesso sono costretti ad abbondare prodotti riparabili o riciclabili tra i rifiuti.
Stampanti 3D: l’evoluzione della produzione
La stampa 3D sta registrando una crescita così veloce da rendere imprevedibile la sua evoluzione. È oramai possibile costruire con una stampante 3D una intera casa, solida ed economica, senza alcun scarto. In futuro potremmo forse stamparci in casa (o in appositi centri di stampa 3D) gran parte di quello che ci serve, dalle scarpe ai pezzi di ricambio per qualsiasi macchina o attrezzatura, o altri oggetti che usiamo quotidianamente in casa. Inoltre, consente di condividere un modello 3D di nostra creazione per riprodurlo identico in tempo reale a migliaia di chilometri.
Addirittura, sono oramai disponibili diversi kit che consentono di tritare in casa, o in piccoli laboratori, senza la necessita di grandi centri di riciclo, i nostri “rifiuti” di imballaggio in plastica, e ottenendo filamenti utilizzabili per creare nuovi oggetti o ricambi attraverso la nostra stampante 3D.
Conclusioni
La transizione verso un’economia circolare, che favorisca l’aumento del ciclo di vita del prodotto, la riparazione, il riutilizzo dei componenti e il riciclo dei materiali residui, viene promossa dall’Unione Europea per superare l’attuale economia lineare al fine di ridurre la produzione di rifiuti.
Partendo dal soddisfacimento di uno specifico bisogno finale del consumatore, sarebbe possibile evitare o limitare la produzione di diversi prodotti vendendo al loro posto il servizio, in base al concetto della “functional service economy” vale a dire, soddisfare il bisogno senza dover acquistare un prodotto (ad esempio, con un trasporto pubblico più efficiente molti eviterebbero di acquistare l’auto).
Tutto ciò ci fa capire che il futuro prospetta tantissime opportunità, generate soprattutto dalla continua creatività e sperimentazione, le quali potrebbero renderci più consapevoli che anche l’oggetto più semplice ha una sua importanza.