L’evoluzione dell’Italia nel campo del Venture Capital continua tra slanci e alcune battute di arresto: dopo un notevole 2022, durante il quale gli investimenti hanno superato la raccolta complessiva di due miliardi di euro, l’Italia ha nuovamente raggiunto il miliardo per il terzo anno consecutivo, registrando un totale di 1.048 milioni di euro, che rappresenta tuttavia circa la metà degli investimenti dell’anno precedente.
Lo rivelano i dati dell’ultima edizione dell’EY Venture Capital Barometer, osservatorio che esamina annualmente le tendenze degli investimenti nelle startup e scaleup del Paese.
L’evoluzione del Venture Capital in Italia
Il risultato ottenuto, sebbene manifesti chiaramente una contrazione, si allinea alle tendenze riscontrate in quasi tutte le geografie del globo. Dopo il record eccezionale dell’anno precedente, questo indica, infatti, una fase comunque di consolidamento dell’ecosistema del venture capital in Italia.
Le statistiche relative all’anno appena trascorso sono state oggetto di commento e analisi, da parte di esperti del settore, nell’ambito dell’EY Venture Capital Talk, un incontro tenutosi lo scorso 16 gennaio a Milano, che ha rappresentato un importante momento di riflessione e coinvolgimento per gli operatori all’interno dell’ecosistema del Venture Capital. Proprio l’esigenza di coesione tra gli attori del nostro Paese è stato uno dei temi centrali dell’evento, costituendo un punto di riferimento positivo da seguire per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi.
Unitarietà e coesione: i motori dell’ecosistema Venture Capital
Tra le ragioni alla base della contrazione della raccolta venture capital dell’anno si individua senza dubbio il contesto macroeconomico globale caratterizzato da un’elevata incertezza generale che ha portato gli investitori a essere più cauti, soprattutto verso classi di asset molto rischiose come gli investimenti in giovani imprese innovative. Questa cautela è ulteriormente influenzata dall’effetto sconvolgente della trasformazione tecnologica, ancora difficile da valutare fino in fondo. In questo scenario si registra una diminuzione degli investimenti nel capitale di rischio in tutta Europa, con una media del -40%. Questo si evidenzia specialmente in Francia e Spagna, con una diminuzione rispettivamente del -43,4% e del -56,0%.
In questo contesto, l’Italia si trova in una posizione non troppo favorevole, principalmente a causa della sua storica tendenza a registrare livelli di investimenti privati significativamente inferiori rispetto al panorama europeo. Mentre gli investimenti in ricerca e sviluppo nel nostro Paese si attestano a un modesto 1,0% del PIL, paesi come la Germania raggiungono circa il 3,5%.
La sfida di colmare il divario che separa l’Italia dalle principali economie europee è un tema già familiare tra gli addetti ai lavori del nostro Paese, che ne hanno discusso in occasione dell’EY VC Talk. Come è emerso, la strada sarebbe più percorribile tramite l’implementazione di manovre politico-economiche, magari anche attraverso il rafforzamento di incentivi finanziari e fiscali, con l’obiettivo di catalizzare gli investimenti privati verso il più ampio tema dell’innovazione.
Nonostante le sfide attuali, quanto emerso nel corso del 2023 e quanto osservato durante l’EY Venture Capital Talk, grazie alla partecipazione di numerose grandi aziende e professionisti del settore, è un chiaro invito rivolto anche alle istituzioni: è fondamentale costruire un ecosistema unitario e collaborativo in cui tutti i players coinvolti possano interagire e contribuire alla crescita del settore del venture capital. Questo non solo dovrebbe tradursi in un’innovazione interna al settore, ma anche in un’azione esterna che porti le competenze e le idee generate da questo ambiente all’attenzione dei policy makers e dei regolatori, i quali hanno un ruolo decisivo nel determinare il futuro del venture capital in Italia e le prospettive di sviluppo del Paese.
Come rendere l’Italia attrattativa sullo scacchiere globale
Inoltre, ciò che risulta chiaramente dai numeri dell’anno è la mancanza di grandi operazioni che avevano segnato l’anno precedente. È evidente che è tempo di rilanciare e stimolare l’eccellenza, per rendere l’Italia un faro di attrattività sul palcoscenico internazionale. Se da un lato il calo delle startup innovative nel 2023, scese al di sotto della soglia delle 14.000 unità nello specifico registro, potrebbe sembrare un campanello d’allarme, dall’altro potrebbe invece rivelarsi il segno di un settore in piena maturazione, che si orienta verso investimenti sempre più selettivi, puntando sull’innovazione e sulle eccellenze locali. Questo potrà contribuire a creare un terreno fertile per ambiziosi mega-round di investimento, dando ulteriore slancio al settore degli investimenti nel nostro Paese.
Sulla base di questa pietra miliare, si intensifica l’interesse non solo dei fondi di investimento istituzionali, ma anche delle grandi aziende nostrane, che si lanciano nella creazione di propri veicoli di Corporate Venture Capital (CVC) e in iniziative di Open Innovation, perpetuando la tendenza assai promettente del 2022. In tal senso, l’EY Venture Capital Talk si è fatto portavoce della rinnovata attività del CVC, attraverso la testimonianza di attori del settoreprotagonisti di questo verticale.
La collaborazione tra Venture Capital e università: un potenziale inespresso
Tra le opportunità poco sfruttate citiamo anche la possibile collaborazione tra il settore del Venture Capital e quello delle università. Negli ultimi dieci anni, gli atenei italiani hanno dimostrato il proprio potenziale innovativo depositando circa 8.600 brevetti, posizionandosi come incubatori di idee rivoluzionarie. Nonostante ciò, l’effettiva commercializzazione di questi sviluppi rimane limitata, evidenziata da soli 150 accordi commerciali medi all’anno. Qui, il Venture Capital può intervenire efficacemente per cogliere e valorizzare questo potenziale inespresso, utilizzando le proprie risorse e competenze per trasformare la teoria e la ricerca accademica in applicazioni pratiche e imprese di successo.
Le sfide normative e strutturali del Venture Capital in Italia
Il settore del Venture Capital potrebbe essere ad un punto di svolta, avendo raggiunto una fase di consolidamento ma dovendo ancora superare ostacoli normativi e strutturali. Come evidenziato durante l’evento di settore, gli operatori di mercato concordano che l’ecosistema dovrà confrontarsi con sfide all’interno di un contesto normativo più solido che supporti l’accesso ai capitali ma, soprattutto, che promuova l’imprenditorialità e la possibilità di competere su scala internazionale.
Esaminando il panorama italiano, emerge una diffusa avversione al rischio da parte degli imprenditori, influenzata principalmente da una limitata comprensione dei benefici a lungo termine degli investimenti nelle asset class del Venture Capital, nonché dalla mancanza di operazioni di exit rilevanti che potrebbero agire da catalizzatori e segnali di fiducia nel mercato. Tale atteggiamento cauto pone l’Italia in notevole ritardo rispetto agli standard europei, dove i paesi leader nel Venture Capital presentano un investimento pro-capite in startup significativamente superiore. Ad esempio, nel Regno Unito si investono 227 euro per abitante in questo ambito, a fronte dei 18 euro in Italia. Questa discrepanza è cruciale, considerando che il Venture Capital è un elemento chiave nella promozione della crescita e dello sviluppo economico di una nazione.
A tal proposito, durante l’evento, vi è stato un ampio consenso tra i professionisti del settore sul fatto che la discontinuità delle politiche pubbliche rappresenti uno dei principali ostacoli, evidenziando la necessità di una più efficace razionalizzazione degli incentivi esistenti, in particolare in considerazione del fatto che in Italia la fonte di finanziamento per gli investimenti è spesso derivata da capitali pubblici e da investitori istituzionali.
Cambiamenti e riforme attesi per il 2024
Per rispondere a tali necessità, l’anno 2024 si preannuncia come un anno di sostanziali cambiamenti, con importanti riforme in arrivo. Tra queste, spicca la revisione dello “Startup-Act”, fulcro normativo per le imprese nascenti, destinato a subire un’ampia riformulazione. Le modifiche apporteranno significativi cambiamenti, in particolare nella legislazione che disciplina la nascita delle startup. Un focus particolare sarà posto sulla possibilità di dedurre le perdite dalle tasse, elemento chiave che incentiva gli investimenti nel settore del Venture Capital, promettendo un impatto rilevante sulle dinamiche d’investimento e favorendo così la corrente innovativa nell’ecosistema imprenditoriale italiano.
Infine, poiché investire in innovazione equivale a sostenere attività di ricerca e sviluppo a livello nazionale ma in modo esternalizzato, gli operatori auspicano l’adozione di nuove misure incentivanti mirate a stimolare anche il Corporate Venture Capital – rafforzando le policy relative agli investimenti in Ricerca e Sviluppo e omogeneizzando questa categoria di spesa con gli investimenti nel capitale di rischio di startup e PMI innovative.
I Family Office: un nuovo attore nel panorama del Venture Capital
In Italia, il fenomeno dei Family Office sta acquisendo un’importanza sempre crescente, con una presenza in espansione che si è manifestata in modo particolarmente evidente negli ultimi anni. Imprenditori italiani stanno valutando con maggiore assiduità l’opzione di disinvestimento dalle proprie aziende, optando per l’exit come scelta strategica. Questa tendenza si è intensificata notevolmente nel decennio scorso, con un raddoppio nel numero di exit e la movimentazione di capitali ragguardevoli. L’emergenza sanitaria legata alla pandemia di Covid-19 ha ulteriormente accentuato questa inclinazione verso l’investimento in capitali privati, in parte grazie al crescente coinvolgimento delle nuove generazioni nel sostegno e nella gestione attiva delle attività di famiglia.
Nonostante il Venture Capital e i Family Office possano sembrare settori separati, in realtà condividono aspetti fondamentali che delineano un convergente profilo d’investimento. In particolare, un parallelo si individua nella comune predilezione per gli orizzonti temporali estesi dei loro investimenti, con un ruolo crescente assunto dalla “next generation” di giovani imprenditori, i quali stanno riorientando le pratiche delle Family Office verso un’apertura sempre maggiore al Venture Capital, ampliando l’asset allocation dei loro portafogli in questa direzione. In aggiunta, entrambi gli ambiti mostrano una radicata tradizione ed esperienza imprenditoriale, essendo i capitali gestiti il frutto di storie aziendali, siano esse in attività o precedentemente concluse.
Tuttavia, come discusso nel corso dell’EY Venture Capital Talk, malgrado le analogie tra i settori, il Venture Capital occupa ancora una quota residua nei portafogli dei Family Office, attestandosi al di sotto dell’1%. La diffidenza verso tale asset class può essere imputata principalmente a due resistenze: la mentalità prevalente a livello nazionale e la propensione delle classi imprenditoriali che, una volta allontanatesi dalla gestione diretta delle aziende familiari, inclinano verso un atteggiamento eccessivamente prudente, mostrando reticenza nei confronti di investimenti che possono sembrare più rischiosi.
Ritorna dunque preponderante la necessità di coesione e fiducia nel sistema, che consentirebbe di superare anche le ostilità verso gli investimenti Venture Capital e di adottare un approccio culturale più aperto, riducendo la propensione ad un conservatorismo eccessivo.
Venture Capital: analisi e prospettive del mercato italiano
Sebbene il 2023 abbia registrato una flessione negli investimenti complessivi, la situazione porta con sé raggi di speranza per il futuro del Venture Capital in Italia. L’attività di raccolta completata da alcuni importanti fondi di VC segna un rinnovato slancio nel settore. L’entusiasmo è alimentato anche dalla dinamicità dei micro VCs, focalizzati su specifici ambiti settoriali, che confermano la vitalità e l’impegno continuo verso la specializzazione e l’innovazione. La stabilità degli investimenti nella fase Early Stagedelle startup indica non solo resilienza, ma anche un’innata capacità di adattamento e crescita del sistema imprenditoriale italiano. Questi segnali delineano un ambiente favorevole allo sviluppo, che lascia sperare in un rafforzamento delle basi del Venture Capital nel nostro Paese.
Inoltre, potremmo presto assistere a un panorama macroeconomico più favorevole, determinato da una calata dei tassi di interesse e una stabilizzazione dell’inflazione, condizioni che potrebbero offrire alle startup italiane accesso ampliato a finanziamenti internazionali. Questo scenario le posizionerebbe favorevolmente sulla scacchiera globale, aumentando le possibilità di emergere come future unicorni del settore. Parallelamente, l’aumentata percezione di stabilità e crescita del mercato italiano da parte degli investitori internazionali sta stimolando un maggiore interesse verso le opportunità che il nostro Paese offre, annunciando un’integrazione sempre più marcata nel tessuto economico globale.
Gli ospiti dell’EY Venture Capital Talk hanno portato anche un ulteriore spunto di riflessione: l’ascesa dei “second time founders”. Questi sono imprenditori che, avendo già condotto una startup al successo, si lanciano nell’avventura di nuove iniziative imprenditoriali o reinvestono la propria esperienza e capitali in startup emergenti. Tale fenomeno non è solo sintomatico di un ciclo virtuoso di reinvestimento, ma testimonia altresì l’avanzamento e la sofisticazione dell’ecosistema del Venture Capital nel nostro Paese.
Il futuro del Venture Capital in Italia: internazionalizzazione e collaborazioni transfrontaliere
Il Venture Capital italiano ha un ruolo cruciale nel portare alla luce il potenziale innovativo del Paese. Con l’avvento di nuovi attori finanziari e la crescente consapevolezza degli investitori sul valore dell’asset class Venture Capital, le startup italiane si trovano a dover navigare le tendenze emergenti e sfruttare le condizioni di mercato favorevoli. In una prospettiva futura, il settore potrebbe vedere vantaggi considerevoli da una collaborazione più stretta e strategica con le aziende tecnologiche, sia a livello nazionale sia internazionale. Questo aprirebbe la strada a collaborazioni transfrontaliere, offrendo alle imprese italiane una visione chiara delle enormi opportunità che l’internazionalizzazione può apportare.
In ultimo, ci auguriamo che la prova di stabilizzazione mostrata dal Venture Capital italiano, nel recente periodo di incertezza economica, anticipi un ciclo di ripresa in cui le startup italiane possano beneficiare di condizioni di finanziamento più vantaggiose, anche grazie a un contesto di nuove categorie di investitori, anche internazionali, alla ricerca di inesplorate nicchie di crescita.