Dopo una recente sentenza del Consiglio di Stato, da questa settimana in Italia non sarà più consentito alle startup innovative di costituirsi in modalità digitale, obbligando di fatto al passaggio da un atto pubblico.
Questa notizia ha sollevato, ovviamente, forti reazioni a caldo da parte di tutto l’ecosistema dell’innovazione e non è difficile comprenderne il perché. Dichiarare nulla una norma in vigore dal 2016, che aveva rappresentato fino da allora un modello per molti altri Paesi europei, crea a catena una serie di questioni di difficile soluzione per le parti in causa.
In particolar modo, mettendo a rischio la legittimità del passaggio dalla sezione speciale a quella ordinaria, al termine dei cinque anni o alla decadenza dei requisiti, creando un vuoto normativo per le startup che hanno già avviato la procedura di costituzione digitale e, bloccando, pro-futuro, questa modalità di costituzione per le startup innovative.
Secondo i dati del MISE, negli ultimi anni il 35% delle startup si sarebbero costituite con la sola modalità online. Oggi, quindi, queste società si trovano a dover ragionare sulla possibile nullità della società stessa o sulla necessità di sanare la propria posizione, con ovvie ricadute sul breve e medio termine soprattutto per quelle realtà in procinto di chiudere un round di finanziamento. In sintesi, si è diffuso un clima di incertezza assoluta che culmina verso prospettive di certo poco rosee.
Le Camere di Commercio locali sono state da subito forzate a sospendere in maniera cautelativa gli accessi ai portali per l’iscrizione via web, con una situazione di forte dubbio riguardo alla gestione delle pratiche di quelle realtà che si fossero iscritte nella giornata di lunedì o nei giorni immediatamente precedenti.
Gli stessi studi professionali si trovano al centro di una bufera mediatica, nonostante in svariati casi si siano invece distinti come partner attenti e affidabili delle giovani realtà nascenti nel Paese.
La norma al centro del contendere
La sentenza di nullità riguarda inoltre una norma che, pur lodevole negli intenti, presentava alcune criticità e difficoltà interpretative che erano già state sottolineate negli anni.
Anche i Ministeri competenti, ancor più con la recente istituzione del primo Comitato interministeriale per la transizione digitale, si trovano nuovamente a dover dare risposte chiare in materia. Non più tardi di un mese fa, infatti, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto attuativo sull’innalzamento della quota di detrazione IRPEF per i primi 100.000 euro investiti dalle persone fisiche in startup e PMI innovative dal 30% al 50%.
Una misura che, come Associazione, abbiamo fortemente richiesto già dall’anno scorso e che ha trovato spazio all’interno del Fondo Rilancio, ma che ora è stata depotenziata da norme attuative (ancora una volta) complesse che lo rendono difficilmente applicabile.
Startup, lo stato di salute dell’ecosistema italiano
L’ecosistema italiano, nonostante l’ormai storico gap con paesi come Regno Unito, Francia o Germania, che hanno iniziato a investire nelle startup innovative con anni di anticipo, sta dimostrando una sempre maggior maturità e sono diversi gli indicatori che lo dimostrano. La tenuta degli investimenti in equity anche nell’anno della pandemia (secondo l’Osservatorio Startup Hi-Tech del Politecnico di Milano sono stati 683 i milioni di euro raccolti nel 2020, solo il 2% in meno rispetto all’anno precedente) e la comunicazione di nuovi importanti round da parte di realtà italiane (solo pochi giorni fa Everli ha annunciato un nuovo finanziamento di 100 milioni di dollari) confermano un approccio sempre più sistemico all’imprenditorialità e il ruolo strategico di questo settore per il futuro del Paese.
È per questo motivo, soprattutto se si pone lo sguardo verso il futuro, che è necessario che la politica e le Istituzioni non retrocedano proprio ora nel sostegno all’ecosistema dell’innovazione. driver fondamentale per il rilancio del Paese dopo l’emergenza epidemica e per la creazione di opportunità e posti di lavoro qualificati per molti giovani.
Una proposta concreta
Come Associazione, quindi, vogliamo rivolgerci alle Istituzioni con una proposta concreta in grado di superare questa situazione di impasse, cogliendo l’opportunità di trasformare un passo indietro in tre passi avanti.
Siamo quindi davanti alla possibilità di riscrivere opportunamente le norme che regolamentano questa materia, ma il tempo a disposizione è poco: la Direttiva UE 1151/2019 sull’utilizzo di strumenti e processi digitali nel diritto societario, impone dal prossimo 1° agosto che in tutti i Paesi dell’Unione la costituzione delle società dovrà poter essere completamente svolta in via telematica, in un’ottica di ottimizzazione ed innovazione.
Previsione auspicata anche dall’“EU Startups Nations Standard”, sottoscritto pochi giorni fa dall’Italia, insieme ai principali Paesi UE che, tra le altre cose, prevede anche la necessità che ciascuno Stato si doti di una disciplina rapida e poco costosa per la costituzione delle startup: “Startup creation, smooth market entry – An entrepreneur can establish a startup (legal entity) both online and offline in one day for a fee of no more than 100 EUR. In exceptional cases, to carry out appropriate checks, establishment should be possible within one week.”.
L’obiettivo comunitario, quindi, è quello di dimezzare le tempistiche e ridurre i costi, fattori di certo particolarmente importanti soprattutto per le società più piccole, attori protagonisti dello scenario attuale e futuro nel contesto europeo del Next Generation EU, dove l’Italia deve riaffermare il suo forte e importante prestigio.
L’emendamento che mette a rischio la semplificazione
Tuttavia, un emendamento del PD, inserito nella legge di delegazione europea 2019-2020, approvato alla Camera lo scorso 31 marzo, prevedendo che “la costituzione online relativa a società a responsabilità limitata e a società a responsabilità limitata semplificata con sede in Italia, sia stipulata, anche in presenza di un modello standard di statuto, con atto pubblico formato mediante l’utilizzo di una piattaforma che consenta la videoconferenza e la sottoscrizione dell’atto con firma elettronica riconosciuta”, rischia di ipotecare lo sviluppo di soluzioni innovative che semplifichino realmente e radicalmente il processo di costituzione come nelle migliori best practices internazionali a partire da quella del Regno Unito per la quale sono sufficienti 3 ore e 17 sterline.
Dobbiamo, quindi, passare rapidamente da una “pars destruens” alla “pars construens”, andando a rassicurare gli imprenditori, ora in un clima di totale incertezza, e creando delle prospettive verso mezzi più semplici ed efficaci.
Conclusioni
La base associativa di InnovUp è sempre stata composta sia dagli imprenditori sia dai professionisti che li assistono e li supportano con le proprie competenze nel percorso di sviluppo e crescita, dalla nascita all’auspicata quotazione, con l’obiettivo di essere un punto di incontro e dialogo tra questi due “mondi”.
La comunione di interesse o forse anche solo una passione verso l’innovazione, il progresso e il futuro sono elementi che a mio avviso caratterizzano l’Associazione ma non la sentenza del Consiglio di Stato che, per questa ragione, non colpisce solamente gli “Startupper”, ma anche tutti quegli attori che con essi credono in questi principi.
Su queste basi, sono certo che InnovUp sarà in grado di elaborare una proposta solida, concreta ed innovativa, forte della poliedricità della base associativa che la contraddistingue.