l'analisi

Decreto Rilancio e startup, dal Governo un segnale forte: cosa c’è e cosa manca

Col decreto Rilancio, il Governo ha immesso un miliardo di euro nell’ecosistema della nuova impresa innovativa. Uno sforzo notevole, indice di un importante cambio di mentalità della classe politica. Analizziamo le misure approvate, ma anche quello che manca

Pubblicato il 15 Mag 2020

Gianmarco Carnovale

Serial tech-entrepreneur

Un’attenzione davvero record a tutto quello che può essere visto come sostegno e promozione dell’economia dell’innovazione è stata riservata dal Governo nel Decreto Rilancio.

Analizziamo prima di tutto cosa c’è, perché lo sforzo è notevole, ma esaminiamo di seguito anche i limiti delle misure, che sono riscontrabili nelle caselle apparentemente saltate, che generano dei “vuoti” nelle dinamiche di investimento – e quindi nella liquidità preferenziale di una larga percentuale delle imprese innovative – soprattutto negli effetti immediati, che è forse dove più servirebbe incidere nello scenario economico della pandemia.

Siamo, comunque, in presenza di un segnale davvero forte al settore, di cui rendo merito al Ministro Stefano Patuanelli ma anche al Sottosegretario Gian Paolo Manzella, alla grandissima attenzione sul punto da parte di parlamentari di maggioranza come Luca Carabetta e Mattia Mor, e comunque non bisogna scordare che un pacchetto di misure così importante è anche frutto di accordo da parte di tutto il Consiglio dei Ministri: non dimentichiamo come lo scorso dicembre, alla presentazione della strategia di innovazione del Governo presentata dalla Ministra Paola Pisano, lo stesso Premier Giuseppe Conte ha dato una centralità all’innovazione mai vista prima nelle parole di un Primo Ministro.

Le misure approvate

  • Il fondo “convertendo”, l’ho chiamato così da marzo: 200 milioni di euro di dotazione al fondo di sostegno al Venture Capital del MiSE, che da questo verranno affidati al Fondo Nazionale Innovazione perché co-investa con grande velocità su un numero significativo di startup che abbiano un investitore qualificato che sottoscriva una parte del round (la ratio della leva che il Governo sceglierà di adottare sarà nota nelle prossime settimane, io propongo da tempo un ambizioso rapporto tra privato a 15% e FNI a 85%). Il meccanismo si baserà sull’affidare al co-investitore qualificato, che probabilmente ricadrà nella definizione del professionale, la responsabilità della due diligence e anche del successivo audit sulle operazioni proposte a FNI. Le operazioni non saranno degli aumenti di capitale, ma si introduce finalmente una pratica comunissima internazionalmente: un finanziamento in convertendo, un futuro aumento di capitale ma con possibilità di trasformazione alternative rispetto alla partecipazione al capitale sociale, e a condizioni legate a milestone (quindi la cosiddetta premoney evaluation, cioè la valutazione della startup su cui stabilire il sovrapprezzo, è rimandata), che garantisce l’investitore ma non richiede una onerosa gestione legale di una partecipazione societaria perché non lo è ancora. Il grandissimo merito di questa scelta sarà l’educare il mercato dei capitali. Il punto di attenzione su questo strumento, visto che la dotazione è di 200 milioni rispetto alle richieste dei corpi intermedi, è il tetto di questo ticket per evitare che la scala delle startup supportate sia nell’ordine delle centinaia e non delle decine.
  • La garanzia “riservata” del Medio Credito Centrale alle startup e pmi innovative: 200 milioni di euro che vengono assicurati all’innovazione per ottenere i finanziamenti bancari con garanzia di Stato (con copertura tra 80 e 90% a seconda dei casi). Creare una ripartizione riservata a loro aiuterà le startup a relazionarsi con le banche, che in questo momento danno molta più attenzione a quelle imprese verso cui sono già esposte, e si rischiava di esaurire il fondo di garanzia senza che le startup fossero finanziate – almeno per quelle che ha senso che prendano debito.
  • Cento milioni di euro aggiuntivi a Smart & Start di Invitalia: qui la notizia è che apprendiamo che la misura, che era stata rilanciata lo scorso febbraio con la nuova dotazione, sta andando bene con numerose richieste in pipeline, tanto che si prevede l’esaurimento delle risorse stanziate per settembre, e la politica si è sempre rivelata attenta a rifinanziare le cose che funzionano. Ma non solo, per la prima volta dopo che se ne sentiva parlare da anni, anche Smart & Start evolverà parzialmente lo strumento verso il convertendo. Molto interessante.
  • Il Fondo per la valorizzazione della ricerca tecnologica: 500 milioni di euro. Ci sono troppe poche informazioni sul cosa, come, chi, e in che modo si innesta nell’ecosistema. Probabilmente molte di questi sono punti anche da definire, ma se c’è anche a livello macroscopico un progetto di politica economica – e non può non esserci, con una dotazione simile – sarebbe opportuno condividerlo almeno con i corpi intermedi dell’Economia dell’Innovazione, perché il punto è lodevole ma le modalità possono essere virtuose o distorsive.
  • I voucher a fondo perduto: 10 milioni di euro per le startup, da spendere in servizi di incubazione e advisory. Vedremo anche qui come e con che requisiti verrà attuata la misura, e c’è da augurarsi che non divenga una procedura iperburocatica.
  • Il Fondo per i prototipi nel gaming ed entertainment: 4 milioni per coprire costi di prima prototipazione per startup di questo settore. Premesso che vada ritenuta sempre un bene qualsiasi somma in più nelle primissime fasi di progetti di startup, e che mi sembra marginale anche solo discuterne, ne faccio un punto di mentalità perché ogni volta che vedo una allocazione per un settore verticale specifico mi chiedo sempre: “Perché questo settore sì, e non svariati altri con lo stesso bisogno”? Perché non incentivare solo lo stage e poi far guidare le iniziative per valore potenziale dello specifico progetto, anziché per uno specifico settore di appartenenza? È un’osservazione di metodo, ogni volta che si crea una “riserva indiana” a mio avviso non si sta aiutando l’innovazione.
  • L’abbassamento della soglia minima di capitale da investire in startup italiane per ricevere il visto di residenza come investitore: è sceso a 250.000 euro, per rendere il paese più attrattivo. Speriamo che il tentativo dia buon frutto, ho la sensazione che sarebbe ben più fruttuoso rivedere in generale l’interfacciamento burocratico per gli stranieri residenti in Italia, magari digitalizzando per semplificare (è ancora una follia per un italiano, avere a che fare con l’amministrazione pubblica italiana, figuriamoci per uno straniero), e magari ridurgli l’aliquota sul capital gain per i capitali importati.

Ma la constatazione da fare, a fronte di tutto ciò, è che la sommatoria di quanto sopra è potente: un miliardo di euro. Un miliardo che lo Stato italiano immette nell’ecosistema della nuova impresa innovativa – per chi scrive, l’economia dell’innovazione. Come commentavo prima, lo sforzo è notevole e senza andare a cavillare il come, va apprezzato il cambio di mentalità della classe politica. Ci siamo lamentati per decenni di avere una politica disattenta al futuro, conservatrice e protezionista, ed è un cambio di passo per il quale non si può che compiacersi.

Quello che non c’è

Ora, fatti i dovuti complimenti per quello che c’è che è apprezzabilissimo, e per il quantum, quello che non c’è (più) va invece evidenziato con l’importanza che ha, perché non si tratta di non avere la ciliegina sugli ingredienti della torta che Governo e maggioranza intendono servire con questo cambio di passo, ma di assenza di cose non marginali come la scomparsa di teglia e qualche ingrediente.

  • L’aumento dell’incentivo fiscale sulle persone fisiche che investono non c’è più, ma la mancanza di questo rischia di lasciare scoperto uno degli effetti che sta avendo la pandemia in questi mesi: il crollo dei nuovi investimenti da parte dei privati, che delle centinaia di milioni l’anno investiti in startup negli anni scorsi costituiscono una percentuale a due cifre. Questo crollo in effetti ha una motivazione precedente alla pandemia, ed è stata la scoperta lo scorso dicembre che l’incremento dell’incentivo fiscale in capo ai privati che era stato portato dal 30 al 40% già dalla Legge di Bilancio 2019, non era stato notificato alla UE e quindi si intendeva annullato. La pandemia si è aggiunta alla delusione dell’aspettativa, ed è quindi più che mai opportuno che gli investitori privati vengano stimolati e incoraggiati a riprendere i loro investimenti, e di farlo oggi. Tra tutte le misure, quella dell’aumento dell’incentivo fiscale – seppure in de minimis – fino al 50% in detrazione per gli investimenti in startup, era quindi quella con efficacia sistemica maggiore e più immediata, perché gli investitori informali sono quelli più rapidi ad intervenire e cogliere opportunità di investimento. Sarebbe estremamente sensato e ragionevole provare a trovare un modo per delimitarla magari meglio e trovarne le coperture, perché la sua mancanza lascia irrisolto un problema odierno grave a cui le altre misure non ottemperano.
  • Il rifinanziamento del bando brevetti. Il bando per la copertura delle spese brevettuali di febbraio aveva avuto un grande successo, segno di un aspetto il cui sostegno può solo fare del bene al paese, perché più brevetti depositati significa plausibilmente maggiore ricchezza in futuro. Un peccato che le forbici delle coperture ci siano passate sopra.
  • La proroga dello status di startup. Tutti, politici e privati, concordano sull’opportunità di questa misura che prolunga di 12 mesi lo status di startup innovativa, alle relative facilitazioni, all’accessibilità a bandi pubblici. Cosa particolarmente importante se pensiamo a come una buona metà del 2020 sarà da considerarsi come un periodo di vita sospesa. Questa misura, se non tornerà nella bozza, è una faccenda incomprensibile: è stata censurata dalla Ragioneria dello Stato perché necessiterebbe di una relazione tecnica da parte del Ministero del Lavoro. Io mi auguro sinceramente che qualcuno stia predisponendo questa relazione tecnica e stia rendendo possibile il reinserimento della misura.
  • Allo stesso modo manda tutto il pacchetto Transizione 4.0 proposto dal Mise per estendere e potenziare il piano Industria 4.0. Anche se non riguarda le startup, è utile menzionare anche questa lacuna perché dà il senso complessivo delle scelte fatte in termini di cosa coprire.

Fino alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il Decreto Rilancio potrà essere ulteriormente modificato ed implementato per migliorarlo colmandone i vuoti, visto che è stato approvato “salvo intese”. Sarebbe giusto se queste misure vi rientrassero in questi giorni, senza rinviare ai passaggi parlamentari in cui la discussione politica verterà sulla eventuale redistribuzione delle risorse. In proporzione a quanto fatto servono alcune decine di milioni di coperture aggiuntive che hanno un’importanza più che proporzionale.

Ma, ribadisco, bravi tutti.

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