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Effetti dei dazi di Trump sulle startup: comincia la post-globalizzazione



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I dazi di Trump segnalano l’inizio della Post-Globalizzazione, periodo caratterizzato da minor integrazione economica. L’ecosistema startup affronta instabilità, con angel investor e venture capital costretti a rivedere strategie e aspettative.

Pubblicato il 11 apr 2025

Antonio Prigiobbo

Designer dell’innovazione



L'impatto dei dazi sulla tecnologia per la sostenibilità

La Post-Globalizzazione innescata dalle politiche dei dazi di Trump rappresenta un punto di svolta cruciale per l’ecosistema delle startup globali. Mentre il mondo si riorganizza attorno a nuovi equilibri commerciali e geopolitici, gli attori dell’innovazione si trovano a dover riconsiderare strategie di crescita, fonti di finanziamento e modelli di business in un contesto sempre più frammentato e imprevedibile.

L’impatto della presidenza Trump sull’economia delle startup

Qualche mese fa mi chiedevano come inciderà la presidenza Trump e che spinta avrebbe dato all’ecosistema delle startup mondiale, avendo in squadra come vice J. D. Vance, che viene dal mondo del venture capital, pupillo di Peter Thiel, anche lui in squadra con Elon Musk.

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Pertanto, un bel po’ di nomi che di questa economia hanno saputo coglierne opportunità e vantaggi, sfruttando anche dei nuovi monopoli. Ora è giusto riproporre la stessa domanda visto il Trump Tariffs Affair (o forse sarebbe giusto aggiungere Saga)? Non sono così sicuro della risposta, ora che i dazi e tutte le incertezze dell’economia influiscono, o influiranno, sull’economia delle startup. D’altronde, chi farebbe una scommessa al buio? 

Partiamo dall’inquadrare cosa ha fatto a oggi Trump dalla sua elezione: ogni giorno porta in giro l’informazione e, con essa l’opinione pubblica, su diversi focus sempre alla ricerca del colpo di scena. Già tre mesi fa aveva annunciato i dazi, poi li ha lanciati per un paio di giorni, il tempo di provocare lo scatafascio dei mercati azionari in tutto il mondo, per poi sospenderli  per tre mesi (tranne che per  la Cina).

A oggi i dazi o l’intenzione dei dazi sono il dito che tutti guardano e non la luna verso la quale vuole portarci Trump.

Gli effetti e gli scenari di politiche protezionistiche sull’innovazione

Tuttavia, questo episodio ci offre lo spunto per riflettere su quali potrebbero essere gli effetti e gli scenari di politiche protezionistiche, come quelle promosse da Trump, anche per i mercati dell’innovazione.

La dominanza tecnologica nell’era della post-globalizzazione

Il settore con maggiori investimenti è il settore tecnologico che domina nettamente (Apple, Microsoft, NVIDIA, Alphabet, Amazon, Meta) la vecchia economia. Basta ricordare che NVIDIA, grazie al boom dell’intelligenza artificiale, ha superato Google e Amazon nella valutazione sul mercato.

Conviene ad altri Paesi provare a mettere dazi (freni) allo sviluppo dei loro stessi? Significherebbe pagare due volte: pagare i pochi investimenti in sovranità digitale fatti in passato e quelli da fare in futuro.

Effetti dell’instabilità economica in tempi di post-globalizzazione

Torniamo al nostro focus, cosa cambia e cambierà. Tutti gli investimenti ad alto rischio, per loro natura, tendono a rallentare quando il mercato diventa instabile.

Anche l’impresa tradizionale oggi traballa. Aprire un’impresa, anche nel settore più tradizionale e lontano dall’innovazione, è diventata oggi una sfida vera.

Sopravvivere, più che crescere, è già un obiettivo ambizioso.

Figuriamoci per chi prova a costruire startup o scaleup, fondate su nuovi prodotti, servizi o modelli di business: questi attori sanno bene che bisogna rimodulare costantemente le strategie di crescita, adattandosi a cicli economici sempre più brevi e instabili.

Economia delle startup: un ecosistema multilivello

L’economia delle startup non è un monolite. Si muove su più livelli, con diversi attori in gioco: angel investor, venture capital, corporate venture, ciascuno con ruoli e rischi differenti.

Angel investor: il primo fronte esposto

Gli angel investor, i primi a scommettere su una startup, sono anche i più vulnerabili nei momenti di incertezza. In tempi turbolenti, potrebbero preferire rifugi sicuri o semplicemente rinviare investimenti.

In Italia, però, questa fascia è già poco operativa. Al Sud, poi, l’effetto sarebbe quasi impercettibile. Non perché non esista una crisi, ma perché non esiste nemmeno il mercato da colpire.

Un po’ come per i venture capitalist “residenti”… che pensandoci neppure il plurale si può usare.

Venture Capital: l’effetto non è immediato, ma arriva

I fondi di VC hanno un ciclo vitale lungo (10–12 anni), e devono rispettare le promesse fatte ai propri investitori.

Ma gli eventi straordinari — guerre, crisi, pandemie — creano onde lunghe, che arrivano comunque.

I tempi di raccolta e di avvio dei fondi si dilateranno. Le strategie si dovranno rigenerare. L’incertezza creerà il suo impatto.

Lo abbiamo visto col Covid: prima il boom dell’healthtech, poi il riposizionamento su AI e deeptech.

I capitali si muovono veloci, inseguendo trend globali con una logica che, spesso, non è lineare.

Corporate Venture Capital: ritorno alla tradizione?

Anche il CVC cambierà. In momenti di incertezza, le aziende preferiscono il controllo: meno investimenti in startup early-stage, più operazioni di M&A tradizionale.

Consolidare, accorpare, gestire. Si cercherà stabilità più che visione, margine più che scommessa.

Quando si chiude la finestra del rischio, anche l’innovazione torna nella zona comfort.

Cambio di paradigma? Probabilmente sì. Siamo entrati in una nuova fase. Dovremmo chiamarla “de-globalizzazione” o “Post-Globalizzazione”?

Un mondo che si riorganizza, dove le vecchie regole del secondo dopoguerra cominciano a scricchiolare.

È un “Cigno Nero”? No. Forse è un Cigno Arancione: non imprevedibile, ma sottovalutato.


Il segnale dei dazi Trump: difensivo, non offensivo

Il teatrino dei dazi — prima minacciati, poi imposti, infine congelati per 90 giorni (esclusa la Cina) — non è solo un messaggio all’esterno, ma anche un’ammissione interna.

Gli USA sono un sistema in affanno, con un deficit federale al 7% e un’economia che perde trazione.

Trump usa i dazi più come leva psicologica che come strumento economico: per spaventare i mercati, deviarli sul debito pubblico americano e proteggere i propri interessi strategici.

I numeri contano. I mercati lo sanno

Gli USA oggi contano 345 milioni di abitanti. L’UE ne ha circa 450 milioni.

Nel frattempo, oltre 4 miliardi di persone vivono in aree a crescita rapida: Cina, India, Indonesia.

La geografia dei consumi si sta spostando. E con essa, la geografia degli investimenti.

Inevitabili nuove regole per le startup nell’era della post-globalizzazione

Meno delocalizzazioni, più localizzazioni.

Se si va di questo passo i modelli produttivi saranno replicativi e replicati, più che in scala e scalabili, adattati ai mercati locali, sostenuti da fiscalità agevolata, fondi pubblici e investitori domestici.

I fondi VC (internazionali) saranno attratti là dove le leve fiscali e i moltiplicatori saranno più forti.

Questo già accade in molte regioni italiane, che lavorano bene sul lato fiscale e istituzionale.

Warren Buffett insegna, in silenzio nel Q4 del 2024, l’Oracolo di Omaha ha fatto la sua mossa. Ha raccolto liquidità. E l’ha reinvestita nelle “sogo shosha” giapponesi — le grandi case commerciali del Giappone.

Diversificazione, stabilità, resilienza: i fondamentali, rivisti in chiave asiatica.

Indovinate?

Come sempre, aveva ragione lui.

Gli Stati Uniti si chiudono a riccio. E mentre Buffett guarda altrove, l’America costruisce muri invisibili:

  • aggrega Big Tech,
  • rafforza il comparto militare e spaziale,
  • consolida asset industriali e finanziari.

Difende ciò che è strategico, anche a costo di rievocare vecchie fantasie geopolitiche:

come l’annessione del Canada o — sì, ancora — della Groenlandia.

Che è danese, quindi formalmente europea. Ma la Commissione UE non sembra preoccuparsene troppo neppure nelle comunicazioni ufficiali.

Cosa sta facendo l’Europa

Forse, paradossalmente, proprio quelle regole del mercato unico che hanno rallentato la scalata delle startup tech, potrebbero diventare oggi un vantaggio competitivo.

Se l’Europa saprà essere unita.

Se saprà coordinarsi politicamente, fiscalmente, strategicamente.

Francia (Parigi) e Germania (Berlino) guidano.

UK e Israele restano forti, anche se esterni.

E l’Italia? L’Italia sarà una startup nation?

Non ancora. Il potenziale c’è, ma il percorso è ancora lungo.

E in fondo, questa è la lezione del Cigno Arancione: la vita è continua innovazione. Ogni giorno siamo chiamati a reinventare modelli, linguaggi, visioni. Oggi, più che mai, serve una nuova generazione di innovatori.

Capaci di fare startup. Ma anche — e soprattutto — di portare innovazione nelle istituzioni.

Perché se sono le regole a determinare chi può crescere, allora è lì che dobbiamo portare il nostro spirito imprenditoriale.

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