Se il futuro si può tradurre in numeri, la combinazione vincente è 10. Perché, per i più visionari, dieci idee possono, in una certa misura, cambiare il mondo.
“Change makers for Expo 2015” ci ha creduto. Il progetto è nato su un orizzonte reale: la prossima Esposizione Universale che richiamerà a Milano, tra poco meno di due anni, un consistente flusso di persone, scambi e possibili investitori. Flusso che, nei sei mesi della manifestazione, “stresserà” il territorio e il suo impianto urbano, generando nuove esigenze e, di conseguenza, la domanda di futuri prodotti e servizi. È proprio a questa nicchia di mercato che il progetto intende rivolgersi. Tanto che le idee vagliate sono quelle più compatibili con una possibile applicazione all’interno di Expo, poiché collegate al tema dominante della rassegna (“Nutrire il pianeta”) o concepite come soluzioni per utenti e visitatori.
Il programma di accelerazione d’impresa, sostenuto da Expo 2015 e Telecom Italia, ha pescato da un ricco bacino di 21 paesi – primi concorrenti India, Cina e Somalia – e una rosa di 583 application, per oltre 1500 cervelli coinvolti. La selezione si è aperta lo scorso ottobre e si è chiusa il 31 dicembre 2012. Obiettivo ambizioso: selezionare progetti capaci di generare un impatto migliorativo sulla vita di milioni di persone, dal 2015 in avanti. Nessuna limitazione nelle discipline: alimentazione, mobilità, lotta all’inquinamento, domotica, benessere, cura, prevenzione, educazione, beni culturali, sicurezza hanno concorso con una comune caratteristica: essere “innovative”. I dieci team vincitori, scelti lo scorso gennaio, oggi lavorano insieme in un temporary campus a Milano, per sviluppare la propria start-up digitale e sostenibile. Non sono soli: durante le 8 settimane di costruzione del progetto (da marzo a fine aprile), dispongono della consulena di 16 docenti e 50 mentor, oltre al supporto del team di Make a Cube, l’incubatore specializzato in imprese ad alto valore ambientale e culturale.
Iniziativa che vuole proporsi come modello per incoraggiare altri paesi a seguirne l’esempio, come spiega sul sito Valerio Zingarelli, Direttore Generale Technlogies & Technical Services di Expo 2015 S.p.A: “Expo Milano 2015 sarà non solo campo di prova, ma anche utilizzatore e promotore di quanto realizzato. La nostra intenzione è di estendere questo tipo di iniziativa sia ad altre città italiane sia a Paesi stranieri”. Le dieci idee d’impresa – il team è rigorosamente under 30 – dovranno infatti rendere non solo Milano, ma anche altre città del pianeta, più vivibili, ecologiche, smart e competitive. I più curiosi possono collegarsi al blog ufficiale per seguire giorno dopo giorno come procede il lavoro delle squadre, attraverso post, foto e interventi.
La vera scommessa, però, è al termine del percorso. A fine aprile, infatti, i progetti così sviluppati saranno vagliati da un panel di potenziali investori, che decideranno se finanziarli e implementarli. Quelli giudicati migliori potranno testare un loro prototipo all’interno di Expo, per studiarne reazioni e formulare correttivi, in vista di un’eventuale introduzione sul mercato.
Ma quali sono queste idee capaci di migliorare la vita di milioni di persone? Vediamone alcune.
Orange Fiber
Un progetto quasi tutto al femminile che coniuga tre assett – riciclo, innovazione e benessere – nell’ambito di due settori identitari del nostro paese: industria tessile e coltivazione di agrumi. È la frontiera della nuova generazione della moda – e già in terra anglosassone molto si muove, in questo senso. Creare abiti che non solo vestano, ma rispondano anche all’esigenza di salute e benessere di chi li indossa, integrando il fabbisogno quotidiano di vitamine di cui necessita l’organismo, attraverso il recupero degli scarti di agrumi destinati, altrimenti, al macero.
Il contatto della pelle con i tessuti, infatti, rilascia, grazie al calore, vitamina A, C ed E. Non solo. Il progetto prevede che la manifattura impieghi personale selezionato da un bacino di donne “svantaggiate” che rimangano a lavorare nei territori più colpiti dalla crisi. Una condizione per costringere chi produce a non imboccare la scorciatoia della delocalizzazione o dello sfruttamento di manodopera a basso costo. E non poteva essere diversamente, per gli ideatori del progetto – Adriana Santanocito, Stefania Cauzo, Enrica Arena e Manfredi Grimaldi, unica “quota azzurra” del team – nati a Catania. Una fashion designer, una commercialista, una specializzta in Comunicazione per lo Sviluppo e un biologo del comparto agricumicolo.
Fifth Element Project
Il proposito è migliorare la quotidianità dei bambini affetti da disturbi dello spettro autistico, attraverso l’utilizzo di una piattaforma web che metta in rete medici, famiglie e pazienti, per studiare percorsi terapeutici ritagliati su misura. Il sistema consente di interagire col piccolo paziente, tramite dei sensori in movimento collegati a una console di gioco. In questo modo è possibile analizzare l’attività ludica del bimbo autistico, definire programmi personalizzati da un terapista dedicato e replicarli ogni giorno anche da casa, grazie a un’infrastruttura Cloud.
È previsto anche un servizio di assistenza remota, fornita da un terapista di un centro specializzato. Non solo. Un diaro web che condivida le attività e un’applicazione per tablet permettono alle famiglie di conoscere i progressi del bambino. L’obiettivo è quello di integrare attività anche per altri disturbi, in futuro. Autori del progetto sono quattro giovani igengneri informatici, specializzati in sviluppo Web, Cloud, Mobile e Artificial Intelligence: Matteo Valoriani, Antimo Musone, Daniele Midi e Antonio Vecchio.
Tooteko
L’idea visionaria è che ogni oggetto possa parlare. Impossibile? Non più. Il digital device, infatti, si basa su una tecnologia a basso costo (gli ultrasuoni) che, senza l’ausilio di computer o proiettori, riesce a dotare ogni oggetto di una traccia audio, rendendo qualsiasi superficie “cliccabile”. Il principio sfrutta la piattaforma già esistente e open source Arduino. Come funziona? Una coppia di ultrasuoni rileva la posizione di un dito, all’interno di una superficie, e risponde con un segnale audio, quando l’oggetto viene toccato.
Le finalità sono molteplici e virano dal sociale al mercato industriale: fornire info sugli oggetti ai non vedenti, consentendo loro di accedere a opere visive nei musei e nelle gallerie d’arte; offrire alle nuove generazioni un modo alternativo di leggere e scrivere; sostituire i vecchi interruttori per accendere e spegnere la luce. Ci lavorano, da anni, due brillanti e giovani architetti, Serena Ruffato e Fabio D’Agnano, specializzati in architettura digitale, modellazione tridimensionale e prototipazione rapida per l’integrazione.
Smart Ground
Non più zappa e falcetto per lavorare nei campi, ma uno smartphone. Perché l’agricoltura del futuro è 3.0 e la tecnologia può irrompere anche in settori che parrebbero molto distanti. La sfida è, appunto, quella di “digitalizzare l’agricoltura”, e aiutare milioni di addetti ai lavori a gestire produzione e lavoro con migliore ottimizzazione di tempi, strumenti e risorse. Il segreto è piuttosto semplice: una batteria di sensori che, inseriti tra le zolle del terreno, sono in grado di fotografare l’andamento del raccolto. La piattaforma digitale consentirebbe di intervenire sul sistema agricolo, per renderlo più efficiente e sostenibile.
In questo modo una semplice app, dall’utilizzo agile e compatibile anche con i profili meno tecnologici, può garantire anche piani personalizzati che seguono le differenti tipologie di coltivazione.
Sono previste due versioni. Una più leggera, e una più complessa che comprende un database dettaglio di info, grazie al quale è possibile formulare una valutazione preventiva delle colture e dei piani da attuare.
L’idea è venuta a un giovane ingegnere del Politecnico di Milano, Federico Marcantogni, cui si sono aggiunti altri quattro soci: Dario Nepoti, Davide Letizia, Matteo Brambilla, e Gianluca Ciampalini.
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