Lanciata il 31 marzo scorso tramite un invio email massivo a tutte le nuove imprese innovative destinatarie dell’Italian Startup Act, l’indagine è volta a indagare alcuni aspetti del mondo startup che i dati della sezione speciale del Registro delle Imprese, seppur estensivi, pubblici e aggiornati settimanalmente, non sono in grado di catturare. Se il patrimonio informativo acquisito nei tre anni di regime della policy fotografa essenzialmente aspetti quantitativi del fenomeno, legati principalmente alle caratteristiche oggettive, quantificabili delle imprese – numero di startup avviate, di personale coinvolto, valore della produzione generato, distribuzione geografica e settoriale –, con questa rilevazione si tenta di fare un passo avanti. I quesiti coprono, infatti, soprattutto aspetti qualitativi, spesso afferenti ad aspetti più soggettivi delle attività, nell’intento di rendere possibile un’analisi più approfondita e diversificata del fenomeno startup. In particolare, sulla base di queste informazioni sarà possibile mettere alla prova alcuni luoghi comuni consolidati a riguardo dell’ecosistema startup italiano: davvero le startup sono innovative? Gli “startupper” rappresentano veramente una nuova generazione di imprenditori inclini al rischio, votati all’innovazione e aperti ai mercati internazionali?
Andiamo per ordine. #StartupSurvey si articola in quattro sezioni tematiche: 1. capitale umano e mobilità sociale, 2. finanziamento della crescita, 3. innovazione, 4. livello di informazione e soddisfazione sulla policy (a questo indirizzo è possibile visionare un facsimile del questionario).
Nella prima parte, i quesiti indagano il background lavorativo, di istruzione e familiare di chi fa startup. Indagare questi aspetti apre filoni di indagine particolarmente interessanti: avremo una migliore comprensione di chi effettivamente siano gli startupper, da che contesto provengano e quali siano le loro motivazioni a fare impresa. Spesso si sostiene che, anche per effetto di un mercato del lavoro poco accogliente, le giovani generazioni abbiano una particolare propensione all’imprenditorialità: l’esistenza di una quota consistente di imprenditori innovativi non proveniente da famiglie a tradizione imprenditoriale, e dunque di processi di mobilità intergenerazionale, sarebbe un punto a favore di questa ipotesi. Altro luogo comune vuole che le competenze acquisite in ambito accademico abbiano poca rilevanza nell’esercizio dell’attività di impresa: ma quanto è consistente questo iato tra competenze “reali” e teoriche nel mondo startup, in cui abilità tecniche di alto profilo possono davvero fare la differenza?
Nella seconda si studiano assieme la composizione della compagine sociale e le strategie di accesso ai finanziamenti. Si tratta di un tema centrale: se è vero che le nuove imprese innovative italiane stanno assumendo una crescente propensione al rischio e all’innovazione, sarebbe lecito attendersi una tendenza a soddisfare le proprie necessità di approvvigionamento finanziario attraverso equity e non solo ricorrendo al credito bancario. D’altronde, il sottodimensionamento del mercato venture capital italiano è un tema di dibattito ricorrente e innegabile. Ma siamo sicuri che le startup italiane prediligano davvero l’investimento in capitale di rischio, anche a costo di cedere parte della loro sovranità imprenditoriale? Se le evidenze empiriche facessero emergere attitudini simili a quelle delle PMI tradizionali – ossia una ritrosia verso strumenti di finanziamento diversi dal debito – scopriremmo qualcosa di decisamente sorprendente sulla forma mentis dei nostri startupper.
La terza parte è dedicata al concetto stesso di ”innovazione”, ossia: in cosa consiste l’innovatività della startup? Quali sono le strategie perseguite per proteggere e portare tale innovazione sul mercato? L’intento è comprendere quanto valore l’imprenditore effettivamente attribuisca all’innovazione, e se conosca le strategie tipicamente adottate per proteggerla (time to market, segretezza, privativa industriale…).
L’ultima parte intende dar vita a un processo partecipativo tra amministrazione e beneficiari. All’imprenditore viene richiesto di esprimere il suo livello di soddisfazione sulla policy, e di presentare eventuali suggerimenti di miglioramento. La sezione però ha anche un intento di sensibilizzazione, in quanto è volta anche a verificare quale sia il livello di effettiva conoscenza e di interesse verso tutti gli strumenti e gli incentivi offerti dallo Startup Act italiano.
Rivolgendosi direttamente alle startup, dunque, il Ministero dello Sviluppo Economico ambisce a portare a un livello di approfondimento maggiore e più ambizioso la logica dell’evidence-based policy making, mettendo in luce aspetti ancora non noti della declinazione italiana del fenomeno socioeconomico delle startup: un tentativo che richiede una partecipazione diffusa per dare risultati statisticamente significativi e utilizzabili. Gli interessati avranno tempo per completare il questionario, interamente online, fino al prossimo 15 maggio: i risultati saranno poi oggetto di un rapporto pubblico, e i dati, resi anonimi, saranno resi utilizzabili da terzi per analisi indipendenti.