Il decreto Crescita 2.0 è stato accolto con sentimenti misti, dal mondo delle start up. E’ vero, ci sono agevolazioni, ma mancano alcune misure economiche attese. Ma la promessa del ministero allo Sviluppo economico è ora di procedere lo stesso nelle direzioni necessarie.
Cominciamo dal punto dolente. Che fine ha fatto il Fondo dei Fondi per gli incentivi alle start up, presente in alcune bozze e non nel decreto finale?
In conferenza stampa, al momento del varo da parte del Consiglio dei Ministri del decreto che contiene anche le norme sulle Start up, il ministro Corrado Passera ha detto chiaramente che c’è un impegno per aumentare, tramite Cassa Depositi e Prestiti, le risorse a disposizione del Fondo italiano di investimento a favore del venture capital, per una somma compresa tra 50 e 100 milioni di euro.
Ma non c’è nel decreto…
Non c’è perché abbiamo considerato che non servisse una norma. Quando abbiamo tradotto nel testo le misure più urgenti abbiamo messo tutto, all’inizio. Poi abbiamo fatto una valutazione ed eliminato quelle cose per cui non servivano delle norme. Ad esempio, avevamo ipotizzato un articolo sulla dimensione territoriale, ma poi ci siamo resi conto che anche in questo caso la norma non era indispensabile per portare avanti il raccordo con le Regioni.
E che cosa fate con le Regioni?
Abbiamo da tempo avviato un dialogo importante su tanti fronti, compreso ovviamente quello delle Start up. Beninteso, la parole start up c’era pure prima nelle PA regionali e locali, ma s’intendeva spesso tante cose diverse. Ogni azienda sotto i tre anni di vita, o comunque definizioni non sempre uguali tra loro. Ora lo scopo è fare in modo di parlare tutti della stessa cosa. Molte Regioni hanno già espresso interesse a lavorare in questa direzione. Come Governo stiamo creando un quadro di riferimento nazionale, se molte regioni vorranno costruire su questo otterremo un effetto molto più importante in termini di promozione dell’innovazione e di creazione di opportunità e nuova impresa.
Quali azioni, non necessariamente norme, impatteranno di più?
Diciamo per prima cosa la filosofia di fondo: non basta intervenire chirurgicamente su un punto solo. Gli effetti pro start up ci saranno per via di un intervento che per facilitare la nascita e la crescita delle start up innovative italiane deve agire su tanti fronti diversi. Sappiamo che se semplifichiamo senza anche creare condizioni migliori perché il mercato dreni risorse finanziarie a favore delle Start up, queste ultime nasceranno ma non andranno comunque lontano. Ci sono alcuni filoni d’intervento principali: semplificazioni, lavoro e incentivi. Ci siamo preoccupati anche di evitare abusi e questo fine a volte è stato frainteso. Per esempio, molti dicono: avete vincolato troppo le Start up, ponendo un tetto alla distribuzione di utili. Ma quello istituito dal decreto è un regime transitorio. Non appena stanno per diventare mature (cioè dopo 4 anni di vita o 5 milioni di utili) le Start up escono da questo regime e dal pacchetto di agevolazioni. Il limite rispetto alla distribuzione degli utili serve in realtà a mantenere liquidità. Lo Stato e i soci fondatori si impegnano insieme per lasciare più risorse possibili nell’azienda nei primi anni di vita. Altro intervento: le camere di commercio faranno una directory pubblica delle start up innovative – una sezione speciale del registro delle imprese – con i dettagli della Start up. La trasparenza faciliterà un controllo orizzontale, tra operatori del sistema, che dovrebbe contribuire a scoraggiare eventuali abusi. La directory ci servirà anche per fare un monitoraggio serio dell’impatto delle misure. Tra due, tre, quattro anni sarà importante andare a vedere quante sono le nuove start up innovative e quanta occupazione avranno generato. Intendiamo dare risorse aggiuntive all’Istat per aiutarci in questo lavoro di raccolta dei dati e valutazione.
Le norme su semplificazioni e il nuovo contratto di lavoro sono chiare. Ma quali sono invece gli incentivi?
Quando un privato cittadino o un’azienda investe in start up, riconosciamo quest’azione come meritoria e quindi concediamo una deduzione fiscale. Questo serve anche per raccordare il nuovo mondo delle Start up con il tessuto produttivo “classico” italiano, e creare un legame forte basato sull’innovazione e la tecnologia. Inoltre, come dicevo prima, intendiamo sostenere la capitalizzazione del mercato del venture capital. Non intendiamo dare soldi direttamente alle start up, ma agire con un effetto leva facendo in modo che ci siano complessivamente più risorse a disposizione di investimenti di capitali di rischio. Infine favoriamo il crowdfunding, un nuovo strumento di finanziamento collettivo grazie al quale in futuro i cittadini potranno investire anche solo poche centinaia di euro nella Start up di quartiere o in un’idea di ricercatori universitari dall’altra parte del Paese. Altra cosa ancora, stiamo creando condizioni di accesso gratuito e semplificato al Fondo centrale di garanzia, per sostenere l’accesso al credito bancario da parte delle Start up. Da ultimo, gli incubatori: questo è uno dei punti dove ci siamo affidati in pieno al ragionamento e alla filosofia emersi nel rapporto della Task force. Certifichiamo gli incubatori così da distinguere quelli veri da quelli farlocchi. E lo facciamo andando a vedere quante Start up l’incubatore ha incubato, quante sono uscite, quanto capitale di rischio hanno raccolto, e così via. Poi diamo alcuni strumenti e agevolazioni agli incubatori per consentire loro di fare meglio il lavoro che già stanno facendo bene. Insomma, trattiamo gli incubatori come se fossero essi stessi delle Start up.
I prossimi passi concreti?
Tre. Chiudere bene questo percorso, con la conversione del decreto legge in Parlamento. Vogliamo “giocare al rialzo”, facendo in modo che il testo che uscirà dal Parlamento sia anche migliore di quello uscito dal Consiglio dei Ministri. Secondo, fare quelle cose non entrate nel decreto ma che fanno parte del pacchetto Start up, come il sostegno al venture capital o l’approfondimento della riflessione con le Regioni sul ruolo che i territori possono giocare per sviluppare ecosistemi locali favorevoli alle Start up. Terzo, la dimensione culturale. Pensiamo che sia necessario sensibilizzare i giovani e in generale tutta la società su temi come innovazione e Start up. Ma su questo fronte il lavoro non possiamo farlo noi, o solo noi. Dovrà essere tutto il Paese a muoversi in questa direzione, se vogliamo davvero provare a cambiare le cose.