Mentre negli Stati Uniti i riflettori sono ampiamente puntati sull’evoluzione dell’IA generativa, dove tra l’altro sono stati investiti decine di miliardi di dollari sia dai VC che dalle grandi corporations, l’industria tecnologica europea continua ad evolversi sviluppando le sue caratteristiche peculiari, talvolta in controtendenza rispetto ai trend d’oltre oceano.
Ciononostante, anche al di qua dell’Oceano gli Stati, Italia compresa, si stanno armando dei giusti strumenti di regolamentazione e monitoraggio e la rotta potrebbe presto invertirsi.
Il boom dell’IA Generativa: prospettive e sfide
Di fatto il lancio del famosissimo chatbot abilitato da intelligenza artificiale generativa, ha dato avvio ad una nuova “rivoluzione” dell’economia digitale, e non solo.
Ovviamente, Sam Altman, il fondatore di OpenAI, si è guadagnato in poco tempo, la ribalta sui media e un posto nell’Olimpo dei grandi imprenditori della Silicon Valley, ed hanno iniziato a proliferare in tutti gli ecosistemi di innovazione, decine di startup e servizi basati o facenti leva su questa tecnologia, generando la cosiddetta fomo (fear of missing out) nella maggior parte dei fondi di venture capital di tutto il mondo e alcune tra le più grandi aziende tech, che hanno iniziato ad investire il dry powder (polvere da sparo – capitale da investire), nonostante il periodo di crisi degli investimenti in capitale di rischio, per trovare quelle che sperano possano diventare le future big tech del prossimo decennio (ve ne ho parlato in questo articolo – link).
Poi però è successo che, per motivi non ancora del tutto chiariti, un pomeriggio di metà novembre di quest’anno, il consiglio di amministrazione di OpenAI, azienda tech nata nel 2015 come no-profit, per sviluppare strumenti volti a migliorare la vita dell’umanità intera attraverso l’intelligenza artificiale appunto, e poi diventata azienda a tutti gli effetti 3 anni più tardi, abbia deciso di licenziare il fondatore, Sam Altman, per poi riassumerlo e rimetterlo a capo dell’azienda nel giro di poche ore, dopo che perfino Satya Nadella, CEO di Microsoft, uno dei principali investitori di OpenAI aveva annunciato su X (ex Twitter) che Altman e un gruppo di dipendenti di OpenAI si sarebbero uniti al gigante del software per guidare un “nuovo team di ricerca avanzata in intelligenza artificiale”.
IA in Silicon Valley: doomers contro boomers
Gli eventi avvenuti all’interno del consiglio di OpenAI non sono altro che la manifestazione più drammatica di una divisione ancora più ampia attualmente in corso nella Silicon Valley. Da un lato ci sono i “doomers“, ossia coloro i quali credono che, se lasciata senza controllo, l’IA rappresenti una minaccia esistenziale per l’umanità e pertanto sostengono regolamentazioni più rigide. Dall’altro ci sono i “boomers“, i quali minimizzano le paure di un’apocalisse dell’IA e sottolineano il suo potenziale di potenziare il progresso. Il campo che dimostrerà maggiore influenza potrebbe favorire o ostacolare regolamentazioni più severe, determinando a sua volta chi trarrà maggior profitto dall’IA in futuro.
Da alcune considerazioni trapelate pare che uno dei motivi del “OpenAI gate” possa essere stato determinato dall’atteggiamento di Altman verso questi due gruppi di interlocutori. Il CEO di OpenAI infatti sembrava simpatizzare con entrambi i gruppi, doomers e boomers, chiedendo pubblicamente “parametri di sicurezza” per rendere sicura l’IA, e allo stesso tempo spingendo OpenAI a sviluppare modelli più potenti, lanciando nuovi strumenti, come ad esempio lo store di app per consentire agli utenti di creare i propri chatbot.
Rispetto ai due gruppi contrapposti, sembra tuttavia che ci sia più di quanto si possa comprendere solo attraverso la filosofia astratta. Infatti i due gruppi sono divisi anche da linee più commerciali. I doomers sono precursori nella corsa all’IA, hanno risorse più profonde e sostengono modelli proprietari. I boomers, d’altra parte, sono più propensi ad essere aziende che stanno recuperando il ritardo, sono più piccole e preferiscono il software open source.
I vincitori precoci della corsa all’IA
Iniziamo con i vincitori precoci, ossia chi fino ad oggi ha perseguito il modello aperto. ChatGPT di OpenAI ha raggiunto 100 milioni di utenti in soli due mesi dopo il lancio, seguita da Anthropic, startup fondata da alcuni ex dipendenti di OpenAI ed ora valutata 25 miliardi di dollari. I ricercatori di Google hanno scritto il paper originale sui modelli linguistici di grandi dimensioni, software addestrato su vasti quantitativi di dati, che supportano chatbot, tra cui ChatGPT. L’azienda ha continuato a produrre modelli sempre più grandi e intelligenti, oltre ad un chatbot chiamato Bard.
Il vantaggio di Microsoft, d’altra parte, è in gran parte costruito sul suo grande investimento in OpenAI. Amazon prevede di investire fino a 4 miliardi di dollari in Anthropic. Ma come è ben noto nel settore tecnologico, muoversi per primo ed essere pioniere, non garantisce sempre il successo. In un mercato in cui sia la tecnologia che la domanda stanno avanzando rapidamente, ciò dunque non preclude la strada ai potenziali nuovi entranti nel mercato che hanno e avranno sempre ampie opportunità di accaparrarsi delle quote.
Questo particolare potrebbe dare ulteriore forza alla spinta dei doomers, più propensi al sistema chiuso, nell’ottenere regole più severe. Nel testimoniare davanti al Congresso americano a maggio, Altman ha espresso preoccupazioni che l’industria potesse “causare danni significativi al mondo” e ha esortato i legislatori a emanare regolamenti specifici per l’IA. Nello stesso mese, un gruppo di 350 scienziati dell’IA e dirigenti tecnologici, tra cui quelli di OpenAI, Anthropic e Google, hanno firmato una dichiarazione di una sola riga che avvertiva di un “rischio di estinzione” simile a quello delle guerre nucleari e delle pandemie. Nonostante le prospettive terrificanti, nessuna delle aziende che ha appoggiato la dichiarazione ha interrotto il proprio lavoro sulla costruzione di modelli di IA più potenti.
I politici si stanno affrettando a dimostrare che vogliono prendere sul serio i rischi paventati dalla non corretta gestione ed utilizzo di questa tecnologia. A luglio scorso, l’amministrazione del presidente Joe Biden ha spinto sette principali creatori di modelli, tra cui Microsoft, OpenAI, Meta e Google, a fare “impegni volontari”, a far ispezionare i loro prodotti di IA da esperti prima di rilasciarli al pubblico. Il 1º novembre, il governo britannico ha fatto firmare ad un gruppo simile un altro accordo non vincolante che consentiva ai regolatori di testare i loro prodotti di IA per affidabilità e capacità dannose, come mettere in pericolo la sicurezza nazionale.
Regolamentazione dell’IA Generativa: l’approccio europeo
A tal proposito, nel vecchio continente, l’Unione Europea ha raggiunto l’accordo sull’AI Act, anche se manca ancora da definire tutta la parte relativa alle attività tecniche, che verranno verosimilmente smarcate entro i primi mesi del 2024. Un passo importante dal punto di vista della regolamentazione su temi di privacy e soprattutto sui diritti delle persone. L’impatto maggiore di questa normativa sarà dunque maggiormente rivolto a sistemi di IA ad alto rischio, prevalentemente rappresentati dai colossi internazionali quali ad esempio OpenAI, e non dovrebbe pertanto imbrigliare l’operatività delle piccole startup e dei progetti emergenti. L’Italia, così come i principali paesi dell’Unione Europea, sta definendo la strategia nazionale, che ovviamente terrà conto dei vari punti della disposizione europea, con il coinvolgimento di 13 esperti sul tema che dovranno chiudere i lavori al 31 Gennaio.
La prospettiva dei VC in Europa tra crisi e nuovi trend
In generale in Europa si registra meno entusiasmo per tutto ciò che riguarda IA generativa. Si pensi che tra gennaio e settembre di quest’anno l’Europa ha visto 35 round di finanziamento a sostegno di startup inerenti l’intelligenza artificiale, rispetto ai 106 registrati negli Stati Uniti. Nel vecchio continente il focus è più concentrato su quelle startup dedite a innovare e risolvere problemi legati ai cambiamenti climatici (climatech 27% di tutti i capitali investiti), una quota molto più grande rispetto agli States, superando il fintech, fino a poco tempo fa la nicchia tecnologica più rappresentata in Europa.
Questo trend ha visto le sue conferme anche nel corso di Slush, probabilmente la principale conferenza europea sul venture business, che si tiene ogni anno ad Helsinki da circa 10 anni a fine Novembre, e raduna migliaia di investitori, imprenditori e operatori del mondo tech da tutto il mondo, a cui ho avuto la fortuna di partecipare nell’ultima edizione del 2023. Dalle discussioni one-to-one con alcuni investitor manager dei principali fondi internazionali, ai panel e i numerosi side events sparsi per tutta la città, una cosa è emersa chiaramente, che come le startup di tutto il mondo anche quelle europee sono state colpite dall’aumento dei tassi di interesse, che ha reso molto meno allettante agli occhi degli investitori l’investimento in capitale di rischio, anche a fronte di futuri ritorni elevati. Secondo lo State of European Tech, un report annuale pubblicato a Slush da Atomico, famosissimo VC basato a Londra, quest’anno si prevede che in Europa verranno investiti solo 45 miliardi di dollari in startup, ossia circa il 38% rispetto all’anno scorso e il 55% rispetto al 2021.
La valutazione mediana delle startup più mature si attesta ora al di sotto della media quinquennale. Mentre nel 2021 l’Europa ha creato 107 “unicorni” (aziende non quotate del valore di $1 miliardo o più) e l’anno scorso ne ha prodotti altri 48, finora nel 2023 ne ha aggiunti solo sette. Molte di più sono state “deunicornizzate”, secondo Atomico: 50 quest’anno, oltre alle 58 del 2022.
Perché l’ecosistema startup europeo sta resistendo alla crisi
Tuttavia, prendendo una prospettiva a più lungo termine, la scena delle startup europee nel suo complesso sta resistendo sorprendentemente bene a questa crisi. Infatti, gli investimenti nelle startup europee possono essere diminuiti negli ultimi due anni, ma sono comunque aumentati del 18% rispetto al 2020, in Europa continentale. Negli Stati Uniti sono diminuiti del 1% in questo stesso periodo. E mentre le valutazioni si stanno contrattando complessivamente, le “down rounds”, in cui le startup accettano una valutazione più bassa quando raccolgono nuovo capitale, sono meno diffuse di quanto ci si potrebbe aspettare, andando a prendere solo il 21% di tutte le operazioni quest’anno.
Sotto altri aspetti, la tecnologia europea continua a prosperare, facendo nascere più startup dell’America: circa 14.000 tra gennaio e settembre, rispetto alle 13.000 dall’altra parte dell’Atlantico. Il vecchio continente, compreso il Regno Unito, ha più di 41.000 giovani aziende tecnologiche e circa 3.900 più mature. Insieme impiegano circa 2,3 milioni di persone, circa il doppio di quanto fosse all’inizio del 2019 e più di quanto impiegato nel settore immobiliare europeo (esclusa la costruzione). Il valore totale delle aziende tecnologiche private e quotate in Europa si avvicina nuovamente al picco di $3 trilioni raggiunto nel 2021 (l’anno scorso era di $2,8 trilioni).
Cosa frena le ambizioni delle startup europee
Il più grande ostacolo alle ambizioni delle startup europee è però di provenienza interna. L’UE ha cercato ripetutamente di creare un mercato digitale unico quanto quello americano, ma persistono differenze nelle tasse e nelle normative. L’Europa ha mostrato cosa è possibile, dice Zeynep Yavuz, che investe nel continente per General Catalyst, un fondo VC americano. L’esplosione dell’impresa fintech negli ultimi anni è stata il risultato diretto di normative adottate a livello di blocco a Bruxelles. Se i leader dell’UE vogliono davvero rafforzare la tecnologia europea, come tutti professano di fare, dovrebbero passare meno tempo cercando di regolamentare vari mercati digitali e invece creare un mercato unico veramente europeo.
Le prospettive degli investimenti in IA generativa in Europa
Tornando agli investimenti in IA generativa, pare comunque che il trend possa ampliarsi anche in Europa e a dimostrarlo vi è il fatto che gli Stati si stiano armando dei giusti strumenti di regolamentazione e monitoraggio e in Italia siano anche promotori di uno specifico fondo verticale su questa tecnologia, grazie alla partnership tra il Dipartimento per la trasformazione digitale, l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e Cassa Depositi e Prestiti. La dotazione sarà di oltre 600 milioni di euro. Un’ulteriore spinta verso un modello ibrido dunque, che da un lato possa regolare e gestire le potenzialità, talvolta distruttive, di questa tecnologia, e dall’altro possa comunque permetterle di crescere e svilupparsi per portare valore innovando tutti i settori economici.