Un Paese che cerca futuro, non può dimenticare del tutto l’innovazione, le startup e soprattutto le imprese di servizi (specie quelle di servizi innovativi e tecnologici). Ma questo è quanto sta accadendo oggi in Italia.
Social, giornali, televisioni, associazioni di categoria, sindacato, parlano giustamente delle fabbriche (che sono il motore della ripresa), ma non parlano della filiera che integra manifattura e servizi, unica sfida di vera competitività per il nostro Paese. Il famoso Industria 4.0.
La sfida delle startup
Un errore gravissimo! Anche noi – dentro a Confindustria – dobbiamo alzare la voce, perché oltre al tema servizi, c’è il tema innovazione e ricerca, vera sfida per tutti noi, il grande capitolo dei giovani imprenditori e delle loro start up.
Ecco che il gruppo guidato da Vittorio Colao (che conosco sensibile all’argomento) va sollecitato in questa direzione. Una flebile speranza, perché sono convinto che la “politica debole” con la quale conviviamo non arrivi certo a cogliere questo grande tema.
Su questo terreno misureremo la competitività delle imprese, l’ammodernamento delle pubbliche amministrazioni, l’innovazione nel pubblico e nel privato per far crescere le imprese e migliorare la qualità della vita dei cittadini: questi i risultati tangibili che derivano dall’impiego di servizi innovativi e tecnologici, di start up e più in generale del mondo dell’innovazione.
Il peso dei KIBS sul Pil
Pensiamo che il settore in Italia conta più di 800.000 tra grandi, medie, piccole e micro imprese; più di 2.100.000 di addetti, di cui il 50% dipendenti; 255 miliardi di euro di fatturato e 110 miliardi di valore aggiunto.
Sono i cosiddetti KIBS, ovvero i Knowledge Intensive Business Services circa l’8% del Pil italiano con un ritmo di crescita “ante” recessione a due cifre.
Tra parentesi, segnalo che i servizi in Europa rappresentano il 70% del PIL, ovvero 2.000 miliardi di euro di fatturato, 24 milioni di occupati e oltre 5 milioni di imprese.
Le nostre italiane sono le aziende di ICT (software, cloud, outsourcing, servizi e applicazioni satellitari) le imprese di progettazione, di telefonia e servizi digitali, impiantistica, facility management e servizi energia, di servizi professionali, di ingegneria e di consulenza, di comunicazione e marketing, di valutazione della conformità, di servizi per il credito e finanziari, del knowledge ed education, della consulenza e formazione, imprese creative operanti nel settore della cultura, tanto per citare alcuni settori.
In questi giorni un’indagine di Talent Garden ci ha svelato che quattro imprese su dieci di questi settori, temono di dimezzare il fatturato. Certo sono imprese agili e resilienti, ma anche fragili, mi vien da dire, e quindi assolutamente esposte allo tsunami della crisi in corso.
Oggi sono ben undici mila le start up italiane, incluse le cosiddette PMI innovative. E di queste solo una su dieci sostiene che non avrà particolari perdite a causa della crisi in atto.
Il rischio se non ci sarà liquidità per questo mondo sarà che tantissime di queste giovani imprese rischiano di saltare, di sparire. E intanto nessuno, nessuno ne parla!
Incredibile il fatto che in nessuna delle undici conferenze stampa di Giuseppe Conte non si sia mai fatto cenno al finanziamento immediato alle imprese di servizi (motore del Paese) e alle startup.
Il freno della burocrazia
Anche il provvedimento sulla liquidità delle imprese non ne fa cenno; anzi l’imbarazzante complessità della legislazione italiana, intrecciata, attorcigliata, composta da norme su norme (in Gazzetta Ufficiale sono riportati 127 rimandi a leggi e decreti), una che condiziona l’altra, fa sì che i più giovani in questo dedalo di scartoffie e burocrazia, siano espulsi da qualsiasi beneficio e quindi condannati a morte (economica imprenditoriale).
Questo atavico handicap italiano che si chiama burocrazia, unito al decreto liquidità appena approvato, complesso e farraginoso, fanno sì che in aggiunta a tutto il male che il virus ha provocato e sta provocando, arrivi la mannaia che uccide le giovani imprese innovative. Pensare che sarebbe viceversa l’occasione giusta per svecchiare il Paese, introdurre il digitale, portare ovunque la banda ultralarga, premiare il merito dei giovani imprenditori, mettere in gara i cervelli innovativi e talentuosi.
Gli step per uscire dal tunnel
Che fare dunque?
Primo: dare credito a quanti non hanno beni immobili, ma brevetti, idee, conoscenza, e queste sono le imprese dei servizi innovativi e le start up. Secondo: sburocratizzare, sburocratizzare, e ancora sburocratizzare! Siamo in guerra e le procedure, specialmente per le aziende, devono essere brutalmente semplificate.
Terzo: non basta la liquidità, servono finanziamenti e incentivi alle imprese a fondo perduto. Altrimenti le piccole imprese non usciranno mai dal tunnel.