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Incentivare l’equity crowdfunding, questo sconosciuto

Un nuovo studio Consob mostra come in Italia il crowdfunding si ancora troppo poco conosciuto e anzi, spesso guardato con diffidenza. Eppure bisognerebbe cercare di incentivare soprattutto questo tipo di investimenti, per arrivare ad avere un volume d’affari che possa davvero generare un circolo virtuoso nel Paese

Pubblicato il 03 Ott 2016

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A fine agosto è stato pubblicato il Position paper “L’equity-crowdfunding – Analisi sintetica della normativa e aspetti operativi”, primo paper prodotto dal gruppo di lavoro sulla finanza innovativa costituito nel 2015 da Consob insieme al Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti e Esperti Contabili (CNDCEC).

Obiettivo dichiarato è proprio quello, fondamentale per lo sviluppo del paese, per la digitalizzazione dei servizi e industria 4.0, di rendere comprensibili gli strumenti di finanza innovativa, attraverso attività di studio e di education del settore (equity crowdfunding, minibond, cambiali finanziarie, ecc.).

Il fatto che l’Authority di Vigilanza e un ordine professionale, in linea con la Delibera n. 19520 del 24 febbraio 2016 – del Regolamento Consob n. 18592/2013 sulla raccolta di capitali di rischio tramite portali on-line” (c.d. equity crowdfunding), abbiano deciso di lavorare insieme per aumentare la conoscenza dei diversi attori della filiera produttiva è un segnale molto importante per contribuire al successo di strumenti ancora relativamente giovani.

Maggiore la platea di persone consapevoli, sia lato emittente sia lato potenziale investitore, maggiore è la possibilità che possano aumentare i finanziamenti a startup e PMI innovative.
Questo anche perché sempre dalla Consob, che ha recentemente presentato un’indagine sulle famiglie italiane, emerge un ritratto poco confortante, che mostra come in Italia il crowdfunding si ancora troppo poco conosciuto e anzi, spesso guardato con diffidenza: il 26% degli italiani dichiari di aver sentito parlare di crowdfunding e solo il 19% degli intervistati si dichiara disponibile ad investire anche solo una piccola somma nell’equity crowdfunding, principalmente per la paura di incorrere in truffe informatiche. Il web è ifnatti ancora percepito come un canale poco sicuro per veicolare i propri investimenti. Questo si affianca da un lato ai dati del 2015 secondo cui soltanto il 65% della popolazione utilizza internet – solo il 30% si definisce un utilizzatore esperto – al più generalizzato grado di “analfabetismo finanziario”, oggi insostenibile in un Paese come l’Italia, che risulta dal Rapporto 2016 sulle scelte di investimento delle famiglie italiane.

Non dimentichiamo che l’Italia è il primo Paese ad essersi dotato di una normativa specifica e organica relativa al c.d. equity crowdfunding, che è contenuta nel regolamento del giugno 2013 adottato dalla stessa Consob. Proprio per questo qualunque iniziativa seria svolta per diffondere una cultura dell’investimento non può che rivelarsi positiva.

Altro aspetto rilevante del documento di Consob e CNDCEC deriva dal fatto che non si tratta semplicemente di una spiegazione delle normative, ma il documento si propone anche di spiegare concretamente le caratteristiche di un’operazione di equity crowdfunding, e il coinvolgimento dei diversi attori.

Aggiungo però che bisognerebbe anche cercare di incentivare gli investimenti, soprattutto quelli in equity, per arrivare ad avere un volume d’affari che possa davvero generare un circolo virtuoso nel Paese.

Se lo da un lato Stato deve aumentare i co-investimenti con i fondi privati (per esempio i fondi pensione, le casse di previdenza, le assicurazioni e i private banker), dall’altro deve agevolare il più possibile i privati a destinare risorse alle startup. E tra questi ci sono anche le persone che potrebbero contribuire attraverso il crowdfunding, e nello specifico l’equity crowdfunding, e quindi favorire lo sviluppo delle startup e delle PMI innovative attraverso regole e modalità di finanziamento in grado di sfruttare i movimenti “dal basso” e le potenzialità di internet.

Proprio in quest’ottica, ci auguriamo un coinvolgimento sempre maggiore delle altre associazioni e ordini professionali che rappresentano “lavori più tradizionali” come quello degli ingegneri, architetti, agronomi, etc. a diventare mentor e evangelisti di temi legati all’innovazione.

Questo permetterebbe finalmente di avvicinare non solo la popolazione italiana, ma anche e soprattutto l’impresa tradizionale all’innovazione portata dalle startup e realizzare la tanto auspicata via italiana all’industria 4.0, indispensabile all’Italia per rimanere sui mercati internazionali e rilanciare la crescita del Paese.

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