In attesa di capire quelle che saranno le misure definitive che verranno adottate dal governo al termine dell’esame della legge di bilancio 2020 relative alle startup innovative resta sicuramente positivo il fatto che anche l’attuale esecutivo si dimostri attento e sensibile rispetto alle esigenze di un settore come quello delle imprese più innovative del Paese.
Allo studio del Governo ci sarebbe la trasformazione delle agevolazioni fiscali in un unico credito d’imposta: spieghiamo di seguito perché sarebbe una novità positiva per le startup.
L’attenzione del Governo all’innovazione
Cominciamo col sottolineare l’importanza del fatto che l’attuale Governo, come gli ultimi che lo hanno preceduto, sembra considerare il piano Industria 4.0 come elemento fondamentale per la crescita dell’innovazione nel nostro Paese.
Il piano, lanciato nel 2017 dall’allora ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, aveva come obiettivo quello di permettere alle aziende di cogliere tutte le possibili nuove opportunità legate alla quarta rivoluzione industriale, quella legata all’innovazione digitale. Strada che sembra voglia essere percorsa anche dall’attuale esecutivo, per sostenere un settore, quello delle startup innovative, che come spiega l’ultimo rapporto pubblicato dal MISE al primo ottobre 2019, conta 10.610 imprese attive, in aumento del 2% circa rispetto ai numeri fatti registrare al mese di giugno, con un capitale sociale complessivo di oltre 545 milioni di euro e al 30 giugno 2019 più di 14mila dipendenti.
Il credito d’imposta 4.0
Nella bozza della manovra 2020, attesa all’esame di Camera e Senato prima della sua definitiva approvazione entro il prossimo 31 dicembre, si ipotizza l’eliminazione del cosiddetto “iperammortamento”, una delle misure introdotte dal piano Industria 4.0 del 2017, in favore dell’inserimento di una misura unica, un “credito d’imposta 4.0” della durata di tre anni che ingloberebbe al suo interno tutte le agevolazioni che andrebbero ad interessare nella loro applicazione le startup tecnologiche. Una modifica che secondo le stime della Ragioneria garantirebbe un allargamento della platea delle beneficiarie del 40%. Entrambe queste misure fiscali sono esercitabili direttamente in dichiarazione dei redditi, anche se presentano alcune importanti differenze nelle loro modalità di attivazione e nel loro impatto.
Credito d’imposta 4.0 e iperammortamento, le differenze
Il “superammortamento” e in misura ancora maggiore il più recente “iperammortamento”, infatti, consistono in una riduzione della base imponibile IRES determinata dal fatto che, solamente per fini fiscali, i costi per ammortamenti precedentemente inseriti all’interno del bilancio vengono considerati più alti. In questo modo (tecnicamente definito “deduzione extracontabile permanente”) per effetto dei più alti costi per ammortamenti, come detto solo fiscali e non contabili, il reddito di esercizio si abbassa. Una misura di questo tipo è certamente conveniente per le imprese che conseguono redditi imponibili positivi, ma restituisce scarsi o nulli benefici alle società in perdita o che hanno perdite fiscali pregresse, in quanto – se il reddito anche senza il “superammortamento” o l'”iperammortamento” è zero o sottozero – comunque imposte IRES non ne sono dovute. Conviene perciò investire in un bene con super/iperammortamento solo in presenza di redditi positivi, altrimenti non ci sono vantaggi fiscali, perlomeno nel breve e medio termine.
Come ricorda sempre il rapporto del MISE, però, nel 2018 solamente il 47,7% delle startup innovative registrava un utile di esercizio. Siamo in presenza di una situazione che discende dal fatto che le imprese, all’inizio e in generale, bruciano cassa anche in presenza dell’apporto di capitale degli investitori (tra cui annoveriamo business angels e venture capitalist) e quindi non hanno utili. Condizione invece essenziale per avere ripercussioni positive sulla propria attività grazie all’iperammortamento.
I vantaggi del credito d’imposta
Per quanto riguarda invece il “credito di imposta” si tratterebbe, nelle ipotesi emerse fino a questo momento ma non ancora approvate in via definitiva, di una misura che consisterebbe in un vero e proprio credito tributario commisurato agli investimenti in un determinato settore (provando a fare un esempio concreto se un’impresa assegna un progetto di ricerca che paga 100 euro a un’università, sulla spesa in innovazione sostenuta si può beneficiare di un credito di imposta di 50 euro). Tale credito, oltre che essere iscritto a fronte di un ricavo che darebbe un beneficio al conto economico, sarebbe soprattutto utilizzabile sin dall’inizio del periodo di imposta successivo a quello del sostenimento dei costi in diretta compensazione di eventuali versamenti dovuti per tutte le imposte e contributi pagabili con F24 (e quindi anche dei contributi previdenziali, IVA, IRAP, ritenute…).
In termini procedurali, durante l’anno si registrano “costi a debiti” oppure “attività di sviluppo a debiti” quando si ricevono le fatture dai fornitori, poi alla fine dell’anno si fa extracontabilmente il calcolo dei costi/investimenti agevolabili (ovvero quelli su cui matura il credito) e una volta determinato l’importo di credito si fa la registrazione contabile “crediti a contributi in conto esercizio”. In buona sostanza, un importo corrispondente al credito si iscrive fra gli “altri ricavi” del conto economico.
Un elemento questo che avrebbe come conseguenza immediata la restituzione ai contribuenti, fra cui le startup, di un istantaneo beneficio sul fronte della liquidità. Inoltre, rispetto all’iperammortamento, il credito di imposta non necessiterebbe il conseguimento di utili di bilancio per poter essere sfruttato dalle startup innovative. Un fatto, questo, che consentirebbe a tutte le imprese italiane di questo genere di potervi accedere all’interno delle loro attività. Il credito, quindi, potrebbe aiutare nella misura in cui le startup non fanno rilevanti utili, ma iniziano ad impiegare sempre più risorse umane e a spendere per attività di consulenza con ritenuta d’acconto.
Il Fondo Nazionale dell’Innovazione
Attenzione che oltre al piano Industria 4.0 è stata testimoniata anche dal Fondo Nazionale dell’Innovazione istituito da Luigi Di Maio quando era ministro per lo Sviluppo economico all’interno del governo gialloverde.
Un fondo con una dotazione di un miliardo di euro, cifra confermata di recente dall’amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti, Fabrizio Palermo. Una cifra sicuramente importante per dare un aiuto strutturale a tutto un settore che come spiegato sempre dal MISE nel suo rapporto presenta un tasso di immobilizzazioni – uno dei principali indicatori della propensione a investire delle aziende – oltre sei volte più elevato rispetto alle altre aziende comparabili.
Un sostegno che potrebbe avere ricadute positive anche su altri comparti dell’economia nazionale, attraendo più investimenti verso le startup tecnologiche che a loro volta potrebbero restituire nuove competenze, idee e strumenti all’intero sistema industriale italiano.