Tra i vari fattori che hanno contribuito alla crescita degli investimenti in fase seed, è probabile che un ruolo non irrilevante sia stato svolto dall’introduzione di modelli contrattuali standardizzati di investimento, noti come “Simple Agreement for Future Equity” (di seguito SAFE) e “Keep It Simple Security” (di seguito KISS), sviluppati dai due principali acceleratori di startup statunitensi quale alternativa alle tradizionali “debt convertible notes” precedentemente utilizzate.
Tale standardizzazione – con utilizzo di documenti contrattuali che si ispirano al SAFE e al KISS – si sta affermando anche in Europa ed in Italia in particolare, attraverso l’utilizzo da parte di primari investitori istituzionali, come CDP Venture Capital, che adottano forme di investimento cosiddetto “convertendo”. Ma mancano ancora una serie di elementi che consentano anche sul mercato nostrano di avere un modello contrattuale veramente sintetico e snello.
La crescita di investimenti seed
Negli ultimi 15 anni la percentuale di investimenti seed (investimenti in capitale di rischio in startup in fase precedente alla validazione del modello di business e, quindi ad avere ricavi) in Europa è passata dal 15 al 37% sul totale del numero di operazioni effettuate. Negli Stati Uniti tale trend è stato decisamente più marcato se si considera che il numero di startup che hanno ricevuto investimenti in fase seed dal 2016 al 2020 è cresciuto di circa il 700% rispetto a quelle finanziate nel periodo 2006-2010 (essendo passato da circa 3.200 a oltre 23.000). Trend di crescita questo peculiare della fase seed e pre-seed (capitale di rischio in fase precedente alla validazione dell’idea).
La nascita dei modelli Safe e Kiss
Alla fine del 2013, infatti, Y Combinator – il più importante acceleratore venture al mondo – sviluppò il primo template di SAFE con l’obiettivo di creare delle condizioni generali modello, ovverossia una sorta di protocollo contrattuale che semplificasse il processo di investimento in fase seed e pre-seed, differendo temporalmente ad un successivo round di equity la decisione, e quindi la negoziazione, su elementi essenziali quali prezzo (rectius valorizzazione della startup) e diritti vari (come liquidazione preferenziale e diritti di partecipazione), elementi questi – in una fase così iniziale della società – necessariamente incerti e quindi di difficile negoziazione, oltre che spesso produttivi di rigidità dannose.
Tale approccio fu seguito poco dopo anche dall’acceleratore 500startups che, a metà 2014, rese pubblico un proprio modello di condizioni generali (chiamato KISS), che analogamente al SAFE perseguiva la medesima finalità di semplificazione e standardizzazione della base contrattuale degli investimenti in fase seed.
Pur con alcune differenze contenutistiche, entrambi i nuovi strumenti contrattuali hanno, come effetto indiretto della semplificazione, ridotto i connessi tempi (a pochi giorni) e costi di negoziazione e di gestione dell’investimento sia per gli investitori che per i founder della startup. Elemento questo tanto più importante in una fase iniziale della vita delle startup in cui – essendo il tasso di fallimento molto elevato – è inefficiente per l’investitore dedicare tempo e costi alla negoziazione di investimenti, dalle caratteristiche intrinsecamente incerte. E parimenti è anche più inefficiente per i founder della startup, con un team necessariamente limitato data la fase iniziale di vita della società ed obiettivi tutti da dimostrare, dedicare mesi ed energie mentali ed economiche ad altro che non sia la crescita del business.
Gli elementi innovativi di Safe e Kiss
Il SAFE e il KISS hanno costituito, quindi, un chiaro caso di innovazione procedurale e contrattuale, il cui successo in termini di estensione di utilizzo non era ovvio, ma ampiamente dimostrato nei fatti.
Sotto un profilo contenutistico, il principale elemento di differenziazione del SAFE – rispetto alle precedenti debt convertible notes – è costituito dalla natura non di debito, ma di “quasi equity” dell’apporto dell’investitore (con sfumature differenti tra KISS – che oltre ad un modello equity base ha anche una versione debt base – e SAFE), e quindi dal venire meno dell’obbligo di rimborso a scadenza, così come della maturazione di interessi, e di un sistema ampio e complesso di previsioni di diritti ed obblighi che andavano a disciplinare tutti i possibili scenari nella fase pre e post conversione; elemento questo tanto più rilevante data la prassi statunitense di contratti estremamente dettagliati e lunghi.
In estrema sintesi, tali nuovi strumenti si sostanziano in documenti contrattuali brevi, che non superano le 10 pagine, di base non negoziabili fatto salvo per pochi elementi, costituiti per quanto riguarda il SAFE:
- dall’esistenza ed entità dello sconto sul prezzo per azione applicato al sottoscrittore del SAFE rispetto alla valorizzazione operata da un futuro investitore in equity, e/o
- dalla presenza ed entità di un valuation cap, ovverosia di un tetto alla valorizzazione massima della società applicabile per la conversione del SAFE, che di fatto introduce un tetto mimino alla percentuale della startup che l’investitore acquista.
Oltre agli elementi fissi del cap e del discount, non liberamente modulabili (ovverosia di base entrambi presenti, anche se lo sconto negli ecosistemi più maturi inizia a scomparire considerando il cap in sé come lo sconto), nel KISS sono inoltre presenti:
- una soglia minima (1M$) del successivo round di equity rilevante ai fini della conversione;
- l’applicazione in caso di operazione societaria antecedente alla conversione, di un multiplo (di 2x) con rimborso in denaro;
- la possibile presenza della clausola MFN, o di miglior trattamento, che permette all’investitore di chiedere di sostituire le proprie condizioni con quelle migliorative riconosciute a successivi investitori;
- il diritto a sottoscrivere i successivi aumenti di capitale della Società (incluso quello di conversione, con importi ulteriori);
- l’eventuale applicazione di un tasso di interesse;
- il principio di parità di condizioni per investitori dello stesso round.
In sintesi, a prescindere dal modello adottato che può essere più o meno flessibile, come nel caso del SAFE, ovvero più o meno tutelante per l’investitore come nel caso del KISS, in entrambi i casi la startup effettua la raccolta attribuendo agli investitori un diritto di conversione in equity, analogo ad un warrant, ed in particolare ad ottenere una categoria di quote o azioni i cui elementi essenziali (valore di conversione, liquidation preference e partecipazione agli utili) sono determinabili ma non determinati (e per questo anche denominate shadow preferred) in funzione di un evento futuro ipotetico.
Il rovescio della medaglia
L’obiettivo della semplificazione opera, oltre che a livello contenutistico, anche ad altri livelli: quello linguistico, il tipico wording giuridico non sempre intellegibile viene sostituito da contenuti di immediata comprensione anche per investitori non con esperienza legale o finanziaria; quello di bilancio, la natura di debito e quindi di posta passiva delle debt convertible notes viene sostituita da una posta di patrimonio netto, dalla natura analoga a quella dei versamenti soci, con l’effetto di aumentare la patrimonializzazione della società, ridurre le passività, e quindi ridurre in modo più che proporzionale il rischio di insolvenza della startup.
L’altra faccia della stessa medaglia è chiaramente la diminuzione delle tutele per l’investitore. Mentre i principali elementi dei nuovi strumenti erano già presenti anche nelle debt convertible notes, lo stesso non può dirsi del contenuto di quest’ultime: nei nuovi strumenti si affievoliscono molto fino quasi a scomparire, infatti, le clausole sugli eventi il cui verificarsi fa scattare l’obbligo di rimborso (in denaro o di conversione), così come le garanzie sui beni della società, i covenants e i diritti di distribuzione preferenziale e parasociali.
Del resto, è stata l’eliminazione di tali protezioni che – se da una parte ha apparentemente diminuito in una fase iniziale le garanzie per gli investitori – dall’altro ha reso il processo di investimento più snello, agevole, rapido ed efficiente, con effetti anche sulla rapidità di crescita delle startup: e con effetti anche sulle aspettative degli investitori.
Focus sulla crescita
In un contesto in cui le operazioni si chiudono nell’arco di giorni (e non mesi), tutta l’attenzione degli investitori maturi è focalizzata sulla crescita, che viene valutata mese su mese rispetto all’investimento, con l’aspettativa di avere entro un paio d’anni chiari indicatori del successo o meno dell’investimento (in termini di valorizzazioni incrementali chiaramente, non di exit).
Ed è proprio tale velocità di esecuzione che paradossalmente si è rivelata l’elemento più delicato: non per gli investitori, ma per i founder. La facilità di utilizzo, infatti, non è sempre stata accompagnata dalla capacità di comprendere a pieno gli effetti dei nuovi strumenti sottoscritti, con talora sorprese diluitive non piacevoli per i founder, e più che piacevoli per gli investitori.
Effetto questo a cui è stato posto rimedio con un nuovo modello di SAFE che ha sostituito la pre-money con la post-money quale valorizzazione da prendere a riferimento per l’applicazione del cap e del discount, e con ciò ha ridotto l’incertezza sull’evoluzione della captable (grava, comunque, sui founder il rischio di maggiore diluizione in caso di operazioni con valorizzazioni inferiori al cap concordato) e facilitato la gestione dei rapporti tra i vari investitori.
Il rischio principale per gli investitori dei nuovi strumenti
Dall’altra parte, per gli investitori l’assenza della maturity date è un fattore di incertezza ed un potenziale rischio, perdendo questi la capacità (e il connesso potere di influenza) di far dichiarare default in caso di assenza di successivi rounds qualificanti ai fini della conversione ovvero di mancata restituzione degli importi investiti: la posizione degli investitori ante conversione è in sintesi di mera attesa – priva di diritti – del verificarsi di un evento qualificante per la conversione. Il rischio principale per gli investitori dei nuovi strumenti può, quindi, apparire quello di non avere sufficienti armi per uscire da un investimento infruttuoso, o che non scala come da aspettative, e quindi di rimanere bloccati in uno stato di limbo e di incertezza che può potenzialmente durare a lungo (teoricamente fino al fallimento o liquidazione della società) senza permettere il write off della posizione e senza poter esercitare i diritti tipici dei soci.
E’, tuttavia, evidente che se una società dalla fase seed o pre-seed non scala e non riesce ad arrivare ad una serie A, gli assets sono di valore minimo ed il valore maggiore il capitale umano difficilmente aggredibile, con l’effetto che qualunque tipo di (eventuale) protezione contrattuale è poco azionabile e/o utile.
Il contraltare di ciò, del resto rischia di avere effetti negativi ancor maggiori: negoziare clausole aggiuntive, come ad esempio inserire una data di scadenza nel SAFE, ovvero prevedere analiticamente i diritti da ricevere in sede di conversione o i multipli applicabili in caso di cessione o la distribuzione dei proventi, oltre a snaturare la natura stessa del SAFE di accordo breve e rapido da chiudere, crea una molteplicità di piani e di livelli tra i vari investitori che complica significativamente calcoli e procedure in sede di conversione (con connessi costi e tempi), ma soprattutto crea significativa incertezza circa la captable, la capacità operativa di gestione e crescita della società (inserendo elementi di disturbo e potenzialmente anche incentivi avversi alla migliore gestione della startup), sia per investitori che per founder, che – soprattutto – per terzi futuri investitori, che nella complessità della captable come dei diritti attribuiti ai soci e investitori vedono un limite alla capacità competitiva e, quindi, all’attrattiva della startup.
Unz approccio di semplificazione estrema
Tale approccio di semplificazione estrema, in sintesi, risponde perfettamente alle esigenze di tutte le parti in round seed o pre-seed.
Ed infatti i dati mostrano che nel 2017, appena 3 anni dopo la comparsa sul mercato del SAFE, il numero di SAFE e KISS utilizzati sul mercato statunitense in fase seed e pre-seed era analogo al numero di debt convertible notes (risultato sorprendente considerato che per anni queste erano state l’unico strumento utilizzato), mentre nel 2020 il valore totale di SAFE e KISS emessi (e quindi di investimenti effettuati utilizzando tali strumenti) raggiungeva quello delle debt convertible notes, con numeri in costante crescita.
Ciò peraltro in un contesto, quello statunitense, in cui – seppure con una ampia variabilità – la media degli investimenti in fase seed è ben maggiore di quella registrata a livello europeo, e si attesta a $4.6 milioni, con uno spettro di round estremamente ampio che parte dai $700K per arrivare ai $22M (dati estrapolati dagli investimenti in fase seed dei principali 14 fondi statunitensi, Fonte Crunchbase).
Quando il round diventa di serie A
L’analisi cambia, invece, nel momento in cui il round diventa di serie A: in tale contesto, caratterizzato da un maggiore track record circa l’andamento della società e le sue prospettive, l’entità ben più imponente della raccolta e della valorizzazione giustificano un’operazione di investimento ed una negoziazione dai contorni differenti e più determinati: e quindi, in primo luogo un’operazione di equity, con valorizzazione certa, e negoziazione ad hoc dei principali elementi contrattuali, dai diritti di corporate governance ai multipli applicabili, ai diritti di covendita e financo all’ipotesi di trade sale (vedasi il modello di BVCA utilizzato in UK per operazioni early stage, che contempla questa ipotesi subordinandola, tuttavia, all’approvazione da parte di una maggioranza qualificata di soci); ovvero, in secondo luogo l’utilizzo delle debt convertible notes capillarmente negoziate.
Fonte: Carta
Conclusioni
In sintesi, mentre in fase seed e pre-seed, SAFE e KISS sono rapidamente diventati gli strumenti di investimento ampiamente prevalenti negli Stati Uniti, nelle fasi successive – quando la società è più matura ed il valore del round è ben maggiore – questo utilizzo è ancora marginale sia in termini numerici che di valori assoluti (attestandosi intorno ad un 28%).
Ne consegue che in fase seed e pre-seed sono fattori decisivi la semplificazione non solo delle procedure, ma anche dell’assetto societario della startup, e quindi la linearità della captable (con una quota non irrilevante detenuta dai founder) e della struttura societaria e di governance, priva di diritti di veto e di meccanismi che impongono la necessità di negoziare con un numero ampio di parti titolari di diritti frammentati.
La linearità della captable e dell’assetto societario della startup incidono, infatti, sulla capacità di attrarre nuovi investitori internazionali e sulle tempistiche di crescita, e quindi sulla capacità competitiva della società.
Venendo al contesto italiano, è quindi legittimo chiedersi se la presenza di investitori seed e pre-seed che, a fronte di apporti minimali, richiedono la negoziazione di contratti lunghi e con clausole di protezione tipiche delle successive fasi di crescita, arrivando persino ad imporre ai founder la spada di Damocle della clausola trade sale (tanto più se attribuita a singoli investitori, che possono da soli imporre ai founder la cessione dell’intera società a terzi) vada nella direzione di far crescere la startup, e di effettiva tutela dell’investitore, o piuttosto costituisca un deterrente alla crescita e all’ingresso di fondi VC internazionali. E ca va sans dire, un limite per la cresciuta dell’intero ecosistema italiano [nota del curatore: è così, e ce lo ripetono da anni tutti gli investitori esteri].
Poiché come visto la standardizzazione contrattuale si è rivelata – in ecosistemi più ampi ed evoluti come quello statunitense – una chiave di successo per la crescita degli investimenti seed, a beneficio di startup e di investitori, è una buona notizia che tale standardizzazione – con utilizzo di documenti contrattuali che si ispirano al SAFE e al KISS – si stia affermando anche in Europa ed in Italia in particolare, attraverso l’utilizzo da parte di primari investitori istituzionali, come CDP Venture Capital, che adottano forme di investimento cosiddetto “convertendo” attraverso semplice scrittura privata, oltre che via Strumenti Finanziari Partecipativi (quando la captable lo rende necessario), promuovendo anche in Italia l’approccio degli ecosistemi maturi.
Rimane da perseguire l’obiettivo di avere anche in Italia un modello contrattuale effettivamente sintetico e snello, ampiamente accettato, e prim’ancora compreso dal mercato e dagli investitori in genere e che permetta, anche nelle modalità attuative, di definire e chiudere celermente (nell’arco di giorni o settimane e non di mesi) le operazioni di investimento in fase seed e pre-seed. Così come di avere operatori qualificati che perseguano gli obiettivi di crescita del proprio investimento e della startup senza imporre oneri, costi, tempi e disposizioni sproporzionate rispetto all’entità e alla fase d’investimento ed avversi ai propri stessi obiettivi.