Non lo nascondiamo: condividiamo la preoccupazione di Riccardo Donadon circa il ritardo con il quale il nostro paese sta portando avanti le misure a sostegno delle nuove imprese innovative. Il Decreto Sviluppo Bis dello scorso anno aveva rappresentato, nonostante i suoi limiti, un segnale importante, visto che per la prima volta aveva dato riconoscimento normativo – e quindi attenzione – all’universo delle startup. Era stato percepito come il tentativo – da parte del mondo della politica – di avviare una nuova fase per l’economia italiana, in cui puntare sulla creatività, sull’innovazione e sui giovani. Una fase in grado di sostenere una ricambio generazionale nella struttura imprenditoriale italiana, quantomai necessario per riportare l’Italia all’innovazione e alla crescita.
L’impegno a creare una nuova generazione di imprenditori e di casi di successo italiani muove le attività che, come Mind the Bridge, svolgiamo con passione e impegno dal 2007, cercando di creare un ponte ideale tra il talento italiano e le opportunità e i modelli della Silicon Valley. Questo lavoro sembra aver prodotto frutto: in questi ultimi anni abbiamo visto svilupparsi (e contribuito a creare) un ecosistema imprenditoriale in Italia che è vitale e che sta iniziando ora a produrre i primi risultati. Sarebbe un peccato se il governo non proseguisse il lavoro iniziato lo scorso anno. Se da un lato è ragionevole che l’attenzione del nuovo esecutivo si concentri nell’immediato sui temi più urgenti in agenda – contratti flessibili a termine, lavori part-time pre-pensionamento, staffetta generazionale, Youth Guarantee – certamente misure importanti per l’occupazione, di cui va verificata la copertura economica, tuttavia confidiamo in una veloce presa in carico anche della questione startup innovative.
Il futuro del paese passa da qui.
Ma ripercorriamo per un momento il percorso intrapreso fino ad oggi.
Cosa è stato fatto: il Decreto Sviluppo Bis
Come noto, il Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, come convertito in legge dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha introdotto misure a sostegno delle nuove imprese operanti nei settori delle tecnologie. Si è innanzitutto individuata una nuova tipologia di impresa (la startup innovativa, per l’appunto), della quale sono stati fissati i requisiti (alcuni dei quali particolarmente stringenti) per poter beneficiare delle agevolazioni previste.
Il pacchetto di agevolazioni incide, in particolare, sulle fasi della nascita e dello sviluppo di tali imprese: semplificazione delle regole di diritto societario, riduzione degli oneri di avvio, maggiore flessibilità nella stipula dei contratti di lavoro a tempo determinato, la possibilità di remunerare amministratori, dipendenti, collaboratori (e persino fornitori) con equity, significative agevolazioni fiscali per coloro che investano in startup innovative e l’accesso a forme di crowdfunding attraverso portali online.
La maggior parte delle agevolazioni sono divenute efficaci sin dall’entrata in vigore del Decreto Sviluppo 2.0 e il loro godimento in concreto da parte degli interessati ha dovuto solo attendere i tempi tecnici e organizzativi per l’istituzione, presso i vari Registri delle Imprese, delle sezioni speciali cui devono essere iscritte le startup innovative.
Cosa ancora manca
Tuttavia, alcune importanti agevolazioni sono ad oggi ancora in fase di implementazione. In particolare, come emerge anche dal dibattito sviluppato su Startuplex.com, l’efficacia delle agevolazioni fiscali è subordinata alla pubblicazione di un apposito Decreto Ministeriale, in corso di emanazione ma non ancora ultimato, e, soprattutto, al parere della Commissione Europea sulla compatibilità della nuova disciplina con la normativa europea in materia di aiuti di Stato (non ancora intervenuto).
Per quanto riguarda il crowdfunding, invece, è necessaria l’emanazione di un regolamento attuativo da parte della Consob, anch’esso in corso di predisposizione. La Consob ha però già pubblicato a fine marzo 2013 un documento di consultazione sul regolamento, che sfocerebbe in una delle prime compiute regolamentazioni dell’equity crowdfunding al mondo (come segnalato anche dalla stampa internazionale).
Resta, da ultimo, ripensare ai requisiti per l’identificazione delle startup innovative: da una prima analisi sembrano, da un lato, eccessivamente stringenti, dall’altro ancora molto focalizzati su progetti di impresa con una forte connotazione domestica. E questo ultimo aspetto confligge con la realtà delle startup che invece manifestano una vocazione globale fin dal primo giorno. Per l’Italia è critico sia evitare che le nostre migliori startup sfuggano all’estero (dalla Mind the Bridge Survey 2012 emerge che il corporate drain a livello di startup si attesta intorno all’11%) che attrarre imprenditori e talenti dall’estero. La risposta passa non attraverso l’imposizione di requisiti stringenti quanto tramite la realizzazione di piattaforme di impresa che siano competitive a livello internazionale (e quindi il più possibile allineate agli standard normativi diffusi in particolare in ambito anglossassone).
Continuiamo a lavorare e facciamo rete
È innegabile, un impianto normativo maggiormente “startup friendly” in Italia aiuterebbe molto. Aiuterebbe tanti giovani che in questi ultimi anni hanno deciso o stanno pensando di fare il salto e provare a immaginare un futuro diverso per le proprie professionalità, facendo leva sulle proprie competenze e sul proprio coraggio. Oggi invece il FARE impresa resta ancora troppo “UN’impresa” a causa di costi e rigidità eccessive, oltre alle numerose incertezze sotto il profilo del trattamento fiscale.
Ma in attesa di questo “Godot” continuiamo a lavorare.
Tra le tante cose che i nostri ragazzi imparano quando arrivano nel nostro programma di accelerazione internazionale a San Francisco, ce n’è infatti una in particolare che apprendono quasi per osmosi, immediatamente, che è propria della mentalità statunitense: vedere ogni giorno il lato positivo delle cose, non lamentarsi di quello che manca ma costruire a partire da quello che si ha con la convinzione di riuscirci.
Quindi di fronte alla – speriamo il più possibile breve – latenza governativa, la nostra posizione è quella di continuare a percorrere la strada del fare che, per quanto in salita, anche nel nostro paese resta possibile. Siamo di fatto convinti che quello di cui c’è realmente bisogno per far decollare l’ecosistema italiano delle startup siano alcuni casi di successo internazionale. I successi ispirano successi e gli esempi valgono più di mille parole.
Quindi, da parte nostra, continueremo a lavorare, in partnership con tutti gli attori del sistema, per aumentare il numero e, soprattutto, la qualità delle startup italiane. Continueremo a farlo con lo stesso impegno e lo stesso entusiasmo, provando a ispirare e a insegnare come si diventa imprenditori (sia in giro per l’Italia con il Job Creator Tour che a San Francisco con la nostra Startup School) e investendo e sostenendo nella crescita le migliori realtà italiane. Con un unico obiettivo, forse un’ossessione: creare casi di successo. Perché se non riusciremo lì, ogni sforzo sarà vano.
E siamo certi che tutti gli operatori – acceleratori, incubatori, business angel, venture capital, network, organizzazioni e associazioni – che in questi anni si sono impegnati in Italia nella diffusione e nella promozione della cultura imprenditoriale e nel supporto a business innovativi faranno altrettanto, cercando quanto più possibile di fare rete per non disperdere quanto realizzato finora e rendere solide le basi su cui oggi si muovono tanti progetti di qualità in cui noi tutti crediamo.
Perché, nonostante tutto, restiamo fiduciosi.