La soddisfazione per la presa di posizione del Consiglio dei ministri, il fondo dei fondi dimenticato, lo scetticismo sul trattamento riservato ad alcuni termini chiave e il timore della conversione in legge. Il decreto Crescita 2.0 viene accolto degli autori del rapporto Start up e dagli esperti del settore con umori altalenanti: molti gli aspetti ancora da chiarire, ma convinto il plauso per l’intervento.
“È un grande passo avanti rispetto a quello c’era prima, i passi fatti dal Consiglio dei Ministri sono nella direzione giusta per quello che riguarda il tema delle Start up”, dichiara al nostro sito Mario Mariani, uno dei dodici firmatari del documento e fondatore di The Net Value. “Se è vero”, prosegue, “che la parte del fondo dei fondi verrà realizzata comunque, a prescindere dal decreto, penso che l’Italia diventerà un terreno fertile per le nuove imprese a carattere innovativo”. Mariani fa riferimento a, riprendendo il testo del rapporto, alla costituzione di “un fondo dei fondi dedicato al co-investimento in fondi di venture capital, che abbia una quota di capitale allocato per effettuare un matching delle operazioni effettuate da angel investor e da incubatori e acceleratori di impresa in grado di investire. […] Per quanto riguarda la parte pubblica le risorse potrebbero essere rese disponibili dal Governo attraverso l’ottimizzazione dei fondi già stanziati ma non assegnati”.
Previsto nelle prime bozze di Crescita 2.0, è stato eliminato dalla versione definitiva e approvata dal Cdm. Mariani ritiene che si tratti del tassello mancante per permettere al Belpaese di fare il balzo definitivo e, guardando al pacchetto complessivo di norme, si augura che “non venga snaturato nella conversione in legge”. La preoccupazione per i prossimi e primi passi della norma è condivisa da Mario Citelli, amministratore delegato dell’agenzia di advisor Neon, secondo cui “tutto è appeso ai decreti attuativi”. “Tra il documento consultivo e il decreto e tra il decreto e le norme attuative futuri c’è un gap”, spiega, “il documento non è stato implementato nella sua interezza, il Consiglio dei ministri ha preso alcune cose e le ha implementate lasciandone fuori altre. Vedremo quale differenza ci sarà tra il testo e le indicazioni su come attuarlo”.
Tornando ai provvedimenti in esame e postandosi in direzione degli aspetti su cui è ancora necessario intervenire, stimolato dal nostro quesito Mariani ha fatto riferimento alla “cultura d’impresa, è necessario che diventi dominante e si diffonda. Si tratta di un tema di approccio culturale e al mondo del lavoro, un tema che non si risolve con un decreto, ma con il lavoro quotidiano di tutti i ministeri”. Altro aspetto sui cui lavorare è quello che territori: “Ci sono zone che possono dare di più al Paese e bisogna farle venire fuori”. A rimboccarsi le maniche dovranno essere le istituzioni locali, stimolando la generazione di ecosistemi prolifici e nuove idee. “A Roma, Milano, Roncade, Cagliari e Catania stanno già accadendo cose importanti. Partendo dai plus del proprio territorio bisogna incoraggiare proposte che possano essere accellerate”.
Pollice alto anche da parte di Massimiliano Magrini, fondatore di Annapuma Ventures, che conferma l’aderenza del decreto a “tutto quello che era nel rapporto, a parte il tema del fondo dei fondi che verrà affrontato in maniera differente”. “Siamo molto soddisfatti perché è la prima volta che si prende in considerazione l’argomento, adesso speriamo nella conversione”, prosegue allineandosi al grattacapo di Mariani. Secondo Magrini, la parte più rilevante del pacchetto di norme dedicate alle nuove imprese è quella relativa alle “semplificazioni amministrative”. “Approccio ecosistemico” è un’espressione che l’ex country manager di Google Italia ripete svariate volte: al legame fra la rete di provvedimenti è affidato il successo degli stessi. “Non abbiamo cercato iniziative originali o figlie di bisogni estemporanei, ci siamo limitati a individuare le best practice a livello mondiale e a metterle insieme”, spiega Magrini, facendo riferimento al testo originario e riprendendo il concetto che è stato ribadito dal ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera in occasione della presentazione del decreto. E sottolinea come la situazione di partenza sia relativa a un contesto, quello nostrano, in cui “il sistema del venture capital e del capitale di rischio è meno sviluppato rispetto agli altri paesi”.
Andrea Di Camillo, amministratore delegato di Principia, applaude Crescita 2.0 dal punto di vista qualitativo, “sono state introdotte istanze per migliorare temi non semplicissimi dal punto di vista tecnico e politico”, ma ritiene che “a livello quantitativo si può e si dovrà fare di più”. Bisogna, a questo punto, fare sì “che queste misure vengano attuate in tempi brevi e che vengano rimpolpate in futuro”. Nello specifico, secondo Di Camillo, l’area in cui insistere è quella degli incentivi alle imprese che investono in Start up: “La deducibilità al 19% è una prima spinta, ma quantitativamente limitata”. L’auspicio di Di Camillo è che il Governo che verrà non interrompa il percorso intrapreso e continui ad alimentare il settore. “Bisogna comunicare ai vertici futuri la necessità di continuare a dare fondi”, spiega. E conclude riservando un plauso alle misure concernenti i contratti di lavoro, definite “incredibili anche culturalmente”.
Secondo Michele Costabile, professore ordinario di marketing internazionale alla Luiss di Roma e componente del consiglio di amministrazione di Principia, un aspetto pericoloso del decreto è la definizione stessa di Start up: “Io considero un errore dare definizioni sullo Start up, soprattutto se è necessario che impieghino in ricerca e sviluppo più del 30% dei loro sforzi. Le Start up sono quelle che il mercato permette, la realtà dice che l’innovazione in ricerca scientifica è rara, molto più frequentemente si ha un’innovazione di mercato”. Scetticismo anche per la flessibilità introdotta dal punto di vista contrattuale, perché “la rigidità dei contratti non è un problema, chi inizia a lavorare in una Start up è un lavoratore atipico, punta più alle stock-option che al posto fisso. Lo startupper è capace di fare risk-sharing, assumersi un rischio che divide in genere con dipendenti e colleghi che diventano i primi azionisti delle Start up. L’innovazione della flessibilità è in questo senso inutile, non è mai stato un problema. Il problema al limite riguarda la grande impresa sindacalizzata”. E ancora, tirata d’orecchie al paragrafo del decreto dedicato agli incubatori, che sono iperregolamentati. “In California, Israele, Baviera, Francia, Olanda gli incubatori sono attività imprenditoriali o meta imprenditoriali come tutte le altre – la critica di Costabile – Anzi essendo più dirompenti, essendo le culle dell’innovazione, ogni regolamentazione e certificazione ne distrugge lo spirito”.
Per ciò che concerne la possibilità di cancellare i fallimenti delle Start up, il timore del docente dell’ateneo romano è che siano figli di un pericoloso modo di concepire gli errori: “Uno startupper fallito è un vantaggio perché ha sbagliato e ha imparato gli errori da non ripetere. È un luogo comune ormai superato che chi fallisce non meriti un’altra possibilità, valeva forse trent’anni fa con le banche, ma non con i VC. La soluzione in questo caso è peggiore del male, perché rende il fallimento ancora più uno stigma, qualcosa da cancellare e da nascondere di cui vergognarsi: invece di destigmatizzare si è andati nella direzione della iperstigmatizzazione”. Inoltre la cancellazione del fallimento crea una pesante asimmetria, dato che le banche hanno comunque modo di conservare in archivio il nome dei falliti, mentre il VC è esposto al rischio di chi fallisce per dolo e non per errori imprenditoriali.
Non è dello stesso avviso Riccardo Donadon, fondatore di H-Farm e firmatario del rapporto, secondo cui “la legislazione corrente limitava in modo molto importante la possibilità di ripartire con un nuova impresa, mentre è normale nel mondo delle Start up che non tutte le iniziative raggiungano i risultati sperati, dover lasciare e ripartire con un altra iniziativa”. Donadon si dice “molto contento del decreto, ha superato le nostre aspettative, delibera quasi l’80% dei provvedimenti che avevamo inserito. […] Alcune cose come il crowfunding ci portano da subito allo stato dell’arte visto che sono diventati strumenti legali negli stati uniti meno di un anno fa”. Meno entusiasta, di raccolta di fondi parlando, Citelli: Apprezzo il crowdfunding, come tutto ciò che comporta una semplificazione dei processi e la liberalizzazione del reperimento fondi. Non credo però che porterà molti effetti in termini di soldi. Alla fine il crowdfunding raccoglie poco, e gli investitori italiani vanno condotti al rischio, educati a rischiare. L’investitore deve essere acculturato, deve passare da una mentalità immobiliare al rischio delle Start up”. Secondo il fondatore di H-Farm, invece, al decreto “manca il provvedimento sulla gestione della contabilità per cassa, e anche il tema del fondo dei fondi, ma il ministro ne ha compreso l’importanza ed abbiamo fiducia”. L’auspicio di Donadon è che già nella prossima primavera si vedano i frutti di quanto ancora da deliberare e “possano nascere tantissime nuove aziende”. Conversione permettendo.
(Ha collaborato Gabriele De Palma)
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