Pochi giorni fa la Commissione europea ha inserito il nostro Paese nel gruppo degli “innovatori moderati”. Questo giudizio deriva dai risultati della 13a edizione dell’Innovation Union Scoreboard, nel quale il nostro Paese registra punteggi prossimi o inferiori alla media UE in 23 indicatori su 25. Lo studio utilizza un indice di innovazione composto da tre tipi di indicatori riguardanti le condizioni abilitanti (risorse umane, qualità della ricerca), le attività delle imprese (investimenti in innovazione, beni intellettuali) e gli output (occupazione prodotta da aziende innovative, contributo dei beni innovativi alla bilancia commerciale).
Il report purtroppo non considera alcun indicatore legato alla pubblica amministrazione o ai servizi da essa erogati. Si dirà che tipicamente lo stato non vive di innovazione come l’università o l’industria ma questo non sempre è vero. Come nota anche un breve articolo su The Verge, almeno due Paesi, uno europeo e uno extra-europeo, stanno cercando di fare proprio questo.
All’interno della Government Services Administration (GSA), l’ente federale USA che gestisce centralmente gli edifici pubblici e gli acquisti e diffonde le migliori pratiche di gestione manageriale, pochi giorni fa è stata creata una strana entità che è difficile non paragonare ad una startup governativa. Si chiama 18F, dall’indirizzo della sua sede di Washington, e ha come slogan “Always Be Shipping” (“Consegnare sempre [il prodotto]”). 18F raccoglie i team di innovatori reclutati dal Presidential Innovation Fellows Programme attraverso periodici bandi pubblici. Per chi fosse interessato, anzi, entro il 7 aprile si può fare l’apply per il terzo bando che stavolta riguarda tre filoni di attività: servizi digitali per i veterani, innovazione basata sui dati e sperimentazione del crowdsourcing government. In pratica, 18F sviluppa soluzioni IT innovative per le amministrazioni pubbliche, direttamente o fornendo consulenza, ma comunque applicando le metodologie e gli strumenti agili, rapidi ed economici invece di quelli lenti e costosi tipici dei grandi progetti, come il portale Healthcare.gov, spesso criticati per i costi stellari e spesso non pensati per gli utenti/cittadini.
Come spiega la sua mission, il programma punta quindi ad attrarre competenze che non ci si aspetterebbe di trovare in un ufficio pubblico: “Il Presidential Innovation Fellows Programme punta a portare nella pubblica amministrazione i principi, i valori e le pratiche dell’economia dell’innovazione tramite gli agenti di cambiamento più efficaci che conosciamo: le persone. Questo programma altamente competitivo affianca persone molto diverse ma di talento, provenienti dalla comunità dell’innovazione, ed alti funzionari dello stato per risolvere le sfide più difficili del nostro Paese e per produrre un impatto sociale profondo e duraturo. Questi team, composti da esperti pubblici e da “doer” del settore privato, usano metodi come il design thinking e il lean startup per fornire agli Americani risultati in mesi, non in anni.”
Qualcosa del genere è stato fatto in Gran Bretagna a partire dal 2010 su impulso di Martha Lane Fox, la Digital Champion nominata da David Cameron tre anni fa. Il nuovo portale Gov.uk è opera sua e di una nuova entità istituita presso il Cabinet Office, il Government Digital Service (GDS), la cui mission è “Leading the digital transformation of government” (“Guidare la trasformazione digitale della pubblica amministrazione”). In concreto il GDS ha tre compiti: digitalizzare 25 servizi pubblici ad alto volume, costruire e mantenere il portale unico Gov.uk e migliorare gli appalti di servizi IT. Nel GDS lavorano persone come Mike Bracken, in passato Director of Digital Development per Guardian Media & News, o come Kathy Settle, responsabile nel GDS per digital policy and departmental engagement, che ha raccolto gli usi più innovativi che i ministeri britannici fanno dei degli strumenti online e ne ha tratto delle linee guida. Anche qui si vuole offrire l’immagine efficente, informale e giovanile di una startup, sia pure governativa, e anche qui candidarsi sembra molto semplice.
Sicuramente è troppo presto per fare bilanci di queste esperienze ma, d’altra parte, chi segue strade nuove non si aspetta risultati a colpo sicuro. Avviare esperimenti del genere nel nostro Paese potrebbe non essere né costoso né inutile, attingendo alle risorse innovative che in Italia non mancano anche se, come dimostra il report europeo, andrebbero sfruttate di più.