A marzo Milano e l’Italia saranno per tre giorni il centro mondiale dell’imprenditorialità, grazie al GEC2015, il Global Entrepreneurship Congress promosso dalla Kaufmann Foundation. Possiamo guardare a questo evento per farci un’idea di quel che di bello potrebbe accadere già a partire dal prossimo anno nel mondo delle imprese nuove e innovative. GEC offrirà una rinnovata e determinante chiave di lettura del movimento delle startup. E potrebbe contribuire a farlo uscire dalla parzialità di tante azioni e visioni, permettendogli di confluire nel più generale processo economico. La svolta del 2015, per dirla in modo paradossale, potrebbe essere proprio la fine del “fenomeno startup” per veder volare la farfalla della nuova imprenditorialità.
Se scorriamo la chiusura del 2014, non mancano le ragioni per guardare con ottimismo al 2015. Per le startup sono state settimane con i fuochi d’artificio. I primi investimenti di Tim Ventures, il corporate venture capital di Telecom Italia; i segnali di scioglimento della foresta pietrificata bancaria (Unicredit e Sella); la raffica di finanziamenti chiusi prima che arrivasse l’inverno (uno per tutti i 2,2 milioni per D-Orbit); la exit di Cibando, comprato dal gruppo indiano Zomato; l’evoluzione della strategia governativa con l’attivazione di un altro tassello per l’accoglienza dei talenti stranieri con lo Startup Hub che permetterà agli studenti extracomunitari di fermarsi più facilmente a fare impresa in Italia.
Sembrerebbe che gli ingranaggi del tanto agognato “ecosistema” stiano cominciando a girare nel verso giusto e quindi è lecito aspettarsi che nel prossimo anno cresca in salute e si consolidi. Sembrerebbe perché non è mai facile fare previsioni in economia ed è ancora più azzardato quando si entra nei territori mobili per definizione delle imprese innovative e tecnologiche. La coda del diavolo si annida nelle pieghe degli scenari più positivi e, parlando di startup, sono ancora tanti gli andamenti incerti e gli angoli da illuminare.
Ottimisti non significa essere felicemente candidi o inutilmente entusiasti. Ci sono ancora criticità normative, carenza di capitali e immaturità culturale. Le premesse dicono che nel 2015 si potrà andare avanti con profitto se si riuscirà a dare un’accelerazione alla macchina messa a punto nel corso del triennio precedente. C’è molto da fare se, come è curiosamente emerso dal sondaggio effettuato da EconomyUp, alla domanda sul bluff dell’anno c’è chi ha risposto l’equity crowdfunding. Avere segnato il primato mondiale nella regolamentazione dei finanziamenti dal basso serve a poco se l’effetto ottenuto è stato imbrigliare con regole troppo strette, finendo per sterilizzarlo, il potenziale finanziario che si potrebbe esprimere dalla folla dei risparmiatori italiani. Il tema tornerà e non potrà essere trascurato. Conforta in questo senso l’attenzione costante e la sensibilità di un gruppo di dirigenti pubblici, che soprattutto all’interno del Ministero dello Sviluppo Economico, non considera esaurito il suo compito ma ha già pianificato un’azione da sviluppare nel corso dei prossimi 12 mesi. Certamente presteranno attenzione alle esigenze che arrivano dal mercato delle nuove imprese e si daranno da fare per dare risposte e trovare soluzioni.
C’è un’opportunità per tutto il sistema economico e nel 2015 le grandi aziende, spesso sclerotizzate, non potranno non coglierla. Finora si sono avvicinate al mondo delle startup con scetticismo e legittimi e prevalenti obiettivi di marketing. Le poche che invece stanno costruendo collegamenti stabili e “intimi” mostrano che l’open innovation può essere molto di più di uno slogan.
L’augurio (e la facile previsione visto il basso livello attuale) è che nel 2015 aumentino gli investimenti e si alleggerisca il carico burocratico per le nuove imprese (ma anche per quelle meno giovani). Non è però, solo questione di danari. Anzi. Si stanno creando le condizioni di un grande rischio, che non è quello della “fuffa”, come nel corso del 2014 è stato da più parti definita la proliferazione di imprese nate su idee fragili e poco promettenti. È stato superato il tetto psicologico delle 3000 startup innovative iscritte al Registro delle imprese (dato al 22 dicembre). Il numero offre solo un’idea dell’ordine di grandezza perché le startup in realtà sono di più, almeno 4mila, forse anche 5mila. È evidente che in mezzo ci sia anche qualcosa di meno interessante e che non tutte potranno crescere. Non è una questione di quantità, ma di qualità. Perché se è vero che la scarsa disponibilità di capitali è un problema, è anche vero che i finanziamenti stanno producendo un debito potenziale che potrebbe esplodere in qualsiasi momento se il sistema nel suo complesso non funzionerà correttamente.
Non stiamo assistendo a un torneo sportivo e a poco serve il tifo per una squadra o per l’altra. È in corso una profonda trasformazione economica imposta dalle tecnologie digitali. La partita, quindi, è più impegnativa e il campionato mondiale. Per questo credo sia di buon auspicio assumere l’appuntamento di marzo con il GEC2015 come fonte di ispirazione per un salto culturale che permetta di guardare con una diversa e più consapevole attenzione al mondo delle startup, sia da parte delle grande aziende, sia da parte dei grandi investitori. A beneficio della crescita generale del Paese.