L’abbrivio è partito, ma la macchina, e i suoi giovani ingranaggi, è ancora tutta da rodare. Il decreto Crescita 2.0, convertito in legge col maxiemendamento al Senato, è ancora uno scheletro.
Occorre impiantarvi un corpo robusto che renda più fluido il lavoro. Molte norme sono al vaglio di addetti ai lavori ed imprenditori che, dopo un minuzioso studio, avanzano le prime proposte di correzione. Così è anche per l’impianto legislativo che riguarda le start-up. Ma cosa è davvero mutato, concretamente, all’introduzione delle novità legislative? Il lavoro dei neo-imprenditori è davvero divenuto più fluido? Qualche obiezione, molti suggerimenti, ma i pareri degli startupper sembrano convergere su un primo bilancio tutto sommato positivo. Certo, la strada è ancora parecchio lunga, molte norme sono da chiarire e raffinare, ma- come concordano Gianluca Dettori, venture capitalist, e Mario Mariani, imprenditore – l’Italia ha segnato un punto a suo favore, anche nel contesto europeo, dotandosi di una legislazione in materia.
Matteo Modè ha 27 anni. Subito dopo la laurea in ingegneria gestionale, ha lavorato in Iveco, occupandosi di ingegneria logistica. Nell’aprile del 2011 ha fondato a Mantova “Laura Sapiens”, con altri quattro soci, ingegneri gestionali, elettronici, informatici e delle telecomunicazioni. La società, che ha anche 4 dipendenti, si occupa di sviluppare applicazioni per imprese, educazione, scuola, videogiochi, pubblicità e smart-cities. Il primo è stato un autofinaziamento (62mila euro), cui è seguita una seconda tranche di 150mila euro, erogati da una finanziaria regionale, la Finlombarda. I clienti sono italiani e, dal prossimo mese, anche esteri, con l’apertura di una linea di e-commerce in inglese.
Il giudizio sul Decreto è positivo. “Innanzitutto ci siamo iscritti al registro delle start-up innovative – racconta Matteo. Ora vorremmo usufruire dell’assegnazione di equity per amministratori e dipendenti, anche se in Italia c’è ancora parecchia resistenza ad accettare azioni come compenso. Troviamo interessanti anche i punti sul fondo di garanzia e il sostegno all’internazionalizzazione attraverso un’agenzia governativa, ma siamo in attesa dei decreti attuativi, per il loro utilizzo. Manca anche la regolamentazione della Consob sul crowdfunding. Capire come tutelare l’investitore e raccogliere i capitali in modo più semplice potrebbe essere il volano che spinge l’Italia in avanti rispetto al resto d’Europa”.
È presto per fare un bilancio, ma qualcosa sta realmente cambiando?
“Le detrazioni fiscali sugli investimenti stanno attirando, quantomeno, la curiosità degli investitori. Essere attrattivi in questo senso è forse l’elemento che determinerà maggiore impatto nel settore”.
Cosa avreste voluto dalla legge che non avete trovato? “Senz’altro gli sgravi fiscali per il personale assunto dalla start-up: da un lato avrebbe agevolato l’occupazione, dall’altro ci avrebbe aiutato a pagare tasse e contributi per il dipendente. Se c’è un problema reale che abbiamo è proprio quello del costo per le risorse umane”.
Stefano Dindo ha 29 anni. È un ingegnere informatico, laureatosi a Padova. Nel 2012, con altri tre colleghi – età media 30 anni – ha fondato a Carmignano di Brenta, in Veneto, “Zero12”, una società che si occupa di Cloud e Mobile Compunting. Sviluppa, in particolare, servizi basati sul paradigma “pay per use”, per semplificare la gestione delle attività delle aziende. Il team progetta anche applicazioni per I-Phone e Android. L’anno scorso ha partecipato al percorso dell’innovazione di Startup Business, su invito di Emil Abirascid, all’interno dello Smau di Milano. La punta di diamante dell’azienda è drivefarm, un file manager che consente alle aziende di gestire documenti, progetti, foto, contratti, cataloghi, eliminando le difficoltà che nascono con l’utilizzo di infratrutture hardware fisiche. I suoi clienti sono in Italia, ma anche all’estero: negli Usa e a Singapore.
Il giudizio complessivo sulle nuove norme non sembra aver migliorato l’attività in azienda.
“Secondo la legge una start-up deve possedere almeno uno di questi tre requisiti – spiega Dindo – spesa in ricerca e sviluppo; personale con un dottorato di ricerca (o con una laurea, e che abbia svolto da almeno 3 anni attività di ricerca nel pubblico o privato, in Italia o all’estero); privativa industriale relativa a un’invenzione specifica. Noi soci abbiamo avuto precedenti esperienze lavorative in grossi gruppi aziendali, e abbiamo fatto attività di ricerca, ma senza un dottorato o un contratto legato a un’univeristà o a un polo scientifico. Nel secondo anno di attività, dunque, secondo quanto prescrive la norma, saremmo costretti ad assumere del personale che abbia maturato il titolo specifico; dettaglio non da poco: non possiamo ancora permettercelo economicamente”.
Anche Andrea Rangone– delegato dal Rettore per l’incubatore del Politecnico di Milano– è critico verso i paletti che stabiliscono quali incubatori hanno diritto alle agevolazioni. “Escludono gli incubatori pubblici come le università. Noi siamo stati costretti quindi a diventare società di capitale, per rispecchiare i requisiti ministeriali. Applaudiamo a quanto fatto dal governo, ma si è un po’ dimenticato delle università che incubano startup”, dice. Sviluppo economico puntava con un decreto attuativo a rimuovere l’obbligo che limita le agevolazioni agli incubatori società di capitale, ma non è riuscito a farlo prima delle elezioni.
Un’altra obiezione di Dindo è sui benefici fiscali, più bilanciati sugli investitori, che non sulle startup stesse: “È vero che non dobbiamo più corrispondere il costo annuale di registrazione, i diritti di segreteria e l’imposta di bollo, ma in realtà si tratta di spiccioli: 400 euro all’anno al massimo. Il vero problema, per noi, è stato il costo del brevetto: insostenibile. Avremmo voluto, in tal senso, un maggiore aiuto dal Decreto. Non vi è, inoltre, alcun provvedimento che migliori il corto-circuito comunicazionale tra giovani e investitori. In Italia vi sono poche iniziative in tal senso: la legge avrebbe dovuto occuparsene. Noi ci siamo completamente autofinanziati e, nei prossimi anni, puntiamo all’acquisizione di nuove risorse, condizioni economiche permettendo”.
Cosa vi sareste aspettati in più dalla Legge?
“Indubbiamente maggiori sgravi fiscali per le start-up, almeno nei primi anni di vita. E anche il costo del lavoro è decisamente troppo alto: avremmo bisogno di personale, ma in Italia tra contributi e tassazione è proibitivo. Non credo che le norme abbiano cambiato molto, in fondo: c’è ancora troppo poco spirito collaborativo che consenta di fare sistema”.
Più ottimista Enrico Gasperini, fondatore di Digital Magics, che finora ha incubato 30 startup, di cui sei vendute e quattro chiuse: “Dal punto vista quantitativo sono importanti soprattutto le agevolazioni fiscali previste dalla norma per chi investe in startup. Il motivo è che il venture capital è ancora all’esordio in Italia e le agevolazioni sono state importantissime in Francia, Germania, Israele. In Italia il governo le ha introdotte con limiti molto stringenti, ma molto dipenderà da come verrà attuata questa norma”. L’incubatore sta raccogliendo già alcuni vantaggi dalla norma. “Qualche risparmio nei costi; la speranza di avere accesso facilitato al finanziamento bancario, di attirare coinvestitori e business angel”. In particolare, gli strumenti della norma che intende usare da subito sono quelli già operativi: alla fondazione regole di corporate governance con diversi diritti di voto e strumenti finanziari con diritti patrimoniali. Forme di remunerazione con l’attribuzione di stock-option. Contratti di lavoro a tempo determinato. Contratti di servizi di mentoring dell’incubatore che concorrono ai costi di ricerca e sviluppo In futuro, non appena disponibili decreti attuativi e regolamenti, si avvarrà dei meccanismi di co-finanziamento con metodi crowfunding e degli incentivi fiscali.
Massimo Simbula si occupa degli aspetti legali per l’incubatore sardo The Net Value, fondato dall’imprenditore Mario Mariani.
Nel luglio del 2011 ha fondato la società Non Conventional Factory con sede a Lucca e Cagliari. Con lui, nell’avventura, anche altri quattro soci appena sopra i 30 anni. Insieme hanno sviluppato ManiComix, un’applicazione per iPhone e iPad, scaricabile in maniera gratuita da iTunes e atraverso il sito web manicomix.eu. La piattaforma consente, in sostanza, di fruire senza alcuna spesa di fumetti e graphic-novel. A un primo finanziamento dei soci è seguita la somma di una banca, la Fidy Toscana. Dieci collaboratori lavorano, per il momento a titolo gratuito, alla parte redazionale. Ad essi s’è aggiunta una rete indipendente di artisti, coloristi, sceneggiatori che collaborano anche con fumettisti molto famosi. I fumetti sono tradotti in inglese e italiano e distribuiti in tutto il mondo. Più avanti sarà implementatta una sezione a pagamento per prodotti con più di 12 tavole. I clienti sono localizzati, perlopiù, negli States e in medio-Oriente.
Nessun fatturato, per ora, ma entro il 2016 l’obiettivo è assumere quattro dipendenti.
“Ci siamo iscritti nel registro previsto dal Decreto”, racconta Simbula. Il suo è un giudizio non solo come imprenditore, ma anche come legale: “Penso che il Decreto sia un grosso passo in avanti per il nostro paese. Neppure l’Inghilterra e l’Olanda possono godere di una regolamentazione così sofisticata. Certo, rispetto agli States c’è ancora molto lavoro da compiere e siamo in grande attesa dei decreti attuativi che libereranno alcune norme per ora inutilizzabili, ma il bilancio è più che positivo”.
Il grosso scoglio da abbattere è il granitico impianto burocratico: un male che affligge l’impianto societario italiano a tutti i livelli. “Oggi per costituire una srl, occorre un minimo di 10mila euro, quando negli Stati Uniti basterebbe un dollaro e in Gran Bretagna appena una sterlina. Anche i nostri costi notarili debbono essere alleggeriti. Nel Decreto vi è una lunga serie di impegni programmatici, ma ciò che davvero segnerebbe un cambiamento sostanziale è una grande riforma fiscale e societaria, accompagnata da quella digitale. Per il momento molte resistenze sorgono dal regime di monopolio delle società di telecomunicazione che remano contro il rinnovamento”.
Per Simbula il pacchetto di benefici fiscali, introdotti dalla legge per i futuri investitori, costituisce una buona accelerata al circolo virtuoso che avvantaggerà anche le stesse start-up.
“La verità – prosegue il fondatore – è che le grosse aziende di telecomunicazione vogliono creare d’imperio i loro incubatori. Temo che questo meccanismo non possa imporsi artificiosamente: a mio avviso è una rivoluzione che deve partire dal basso. In parte è già successo”.
Ci si aspetta molto quindi dai prossimi passi istituzionali. Per prima cosa un regolamento della Consob, previsto per marzo, per abilitare il crowdfunding. E’ complesso invece l’iter del decreto attuativo per gli incentivi fiscali alle startup: spetta al ministero dell’Economia e delle Finanze e dovrà fare un passaggio in Commissione europea. I tempi non sono definiti, probabilmente se ne riparla per giugno.
Insiste soprattutto sull’importanza del crowdfunding Gianluca Dettori, fondatore di dPixel, advisor del fondo Digital Investment, che investe in 18 startup. “Visto che l’aumento delle risorse del Fondo italiano di investimento a favore del venture capital non è più stato inserito nel decreto, il crowdfunding è la sola cosa nuova che possa portare soldi alla startup. In punto è che in Italia il problema è soprattutto l’assenza di investitori”. “I 50 milioni stanziati dal Fondo italiano d’investimento sono già stati in parte utilizzati. E’ importante che Cassa depositi e prestiti (Cdp) ne stanzi altrettanti nel 2013», dice Rangone. Il ministero allo Sviluppo economico aveva garantito questo impegno da parte di Cdp. Ma è una delle tante incognite che si sono aperte con il cambio di governo. Le startup ora hanno un decreto a loro favore ma l’impalcatura è ancora traballante. Richiede alcune messe a punto “attuative” perché, solida, possa sostenerle verso un futuro.