Anche nel 2017 gli investimenti angel sono in crescita del 10% per un totale di 26,6 milioni di euro suddivisi in 117 operazioni, rispetto ai 24,4 milioni di euro del 2016. Si conferma determinante l’apporto di capitale di rischio della componente femminile: le donne business angel rappresentano oggi il 20% sul totale del campione, ben più che in altri paesi europei (Inghilterra esclusa).
Oggi il 14% delle imprese finanziate è localizzato all’estero: dobbiamo ragionare sempre più con una prospettiva europea di investimenti crossborder che facciano circolare i capitali italiani ma anche, e soprattutto, che attirino quelli esteri da Paesi più evoluti da un punto di vista di cultura del rischio. Per questo fondamentale è che prendano piede iniziative di sistema, pubbliche o private, come ESIL (Early Stage Investing Launchpad) che mira a favorire e incrementare il mercato degli investimenti angel, stimolando le opportunità di investimento transfrontaliere, trovando nuovi accordi, collegando i network più rilevanti per creare un programma di formazione su misura per gli ecosistemi locali.
Mantenere l’italianità, esportare l’innovazione
Sono convinto che l’internazionalizzazione ci sarà davvero quando arriveranno anche i venture capital di riferimento di Google, di Facebook, di Alibaba. Dobbiamo rendere il nostro paese sempre più attraente per portare qua imprese e fondi di caratura mondiale. Non solo per “farci comprare”. Perché così, grazie alle connessioni, al network e ai fondi di questi giganti potremo mantenere l’italianità esportando però innovazione e servizi in tutto il mondo. Ma anche, come investitori iniziamo a osare di più noi. Internazionalizziamo, portando un po’ di Italia, nelle tecnologie mondiali.
Un esempio positivo è la holding pugliese Angelo Investments, che ha investito 15 milioni in uno dei progetti più futuristici al mondo, l’Hyperloop collaborando con Transpod, la società canadese che si sta imponendo nello sviluppo del progetto per viaggiare a 1200 chilometri l’ora in capsule che si muovono all’interno di tubi trasparenti.
Tornando ai numeri – pochi giorni fa sono stati presentati anche gli investimenti complessivi condotti da venture capital e business angel in lieve diminuzione a 220,8 milioni complessivi (dati “Early Stage in Italia”, condotto da Iban e dall’Osservatorio Venture capital monitor (VeM) dell’Università Cattaneo in collaborazione con Aifi) – il 2018 sembra aver invertito la tendenza.
Bisogna segnalare però che il rapporto trimestrale realizzato da Ministero dello Sviluppo Economico e InfoCamere, in collaborazione con Unioncamere, al 31 marzo 2018 fotografava 8.897 imprese iscritte nello speciale Registro, in aumento del 6% rispetto a fine 2017. Tra le 337 mila società di capitali con meno di cinque anni e cinque milioni di fatturato annuo (questo lo spaccato su scala generale) il 2,6% risultava registrata come startup innovativa alla data della rilevazione (nella ricerca e sviluppo l’incidenza aumenta al 65%). In forte crescita il numero di lavoratori coinvolti, a 45.861 con un incremento superiore al 28%.
Allora ben venga la proposta di Luca Carabetta Vice Presidente Commissione Attività Produttive, di un ciclo di audizioni “Startup e filiera del Venture Business” con l’obiettivo di verificare la reale efficacia della normativa introdotta nel 2012, che ha dato il via a tutto, misurandola in raffronto con i risultati di altri paesi simili.
Tre aspetti cruciali per la crescita di startup innovative
Qualche anno fa IBAN ha partecipato a un’indagine conoscitiva sull’Industria 4.0 sempre della Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati evidenziando tre aspetti fondamentali su cui il legislatore a nostro parere si dovrebbe concentrare per aiutare la crescita di Startup innovative avvicinandole al tessuto imprenditoriale delle PMI in modo da rilanciare crescita e innovazione nel Paese.
In particolare:
- Dare un riconoscimento giuridico alla professione di Business Angel in modo da avvicinare imprenditori, ex imprenditori e manager al mondo del Business Angel, cerniera tra PMI e startup;
- Mettere in connessione il mondo delle PMI con il sistema delle startup e dell’innovazione che esse portano;
- Incentivare gli investimenti creando un mercato secondario che coinvolga società e fondi di investimento più grandi di quelli attualmente presenti.
Tornando alla Survey, i settori che hanno beneficiato maggiormente dei finanziamenti sono ICT (App web, Mobile, Software), 33%, eCommerce (10%) e Servizi (9%). Su un campione di 229 business angel sono stati censiti 117 investimenti, per un ammontare medio di 227 mila euro: si abbassa il taglio medio (479.000 euro nel 2916) ma le operazioni sono più che raddoppiate. Il 72% dei finanziamenti è stato finalizzato all’acquisto di equity mentre il 17% al finanziamento soci. Se il 34% dei BA ha effettuato investimenti individualmente, secondo un trend sempre più diffuso, la restante parte (66%) preferisce logiche di co-investimento attraverso, soprattutto, Club di investitori o Gruppi di BA, per aumentare l’apporto finanziario e ridurre il rischio. Oltre all’investimento in equity il business angel di riferimento (il «champion») apporta soprattutto competenze strategiche e contatti per lo sviluppo dell’attività sociale: il suo stato di coinvolgimento nelle imprese finanziate nel 77% dei casi è medio o alto.
Un mercato “poco mosso”
Nota dolente, da sempre, solo il 2% del campione ha dichiarato di aver effettuato almeno un disinvestimento nel 2017. In media, si verificano 5 anni dopo l’investimento.
E questo spiega il perché dei numeri ancora esigui, soprattutto nel confronto con Gran Bretagna (98 milioni di euro investiti dai business angel nel 2016) o la Spagna (55 milioni di euro).
Se non ci sono “Exit”, il mercato non si muove e non si crea liquidità da destinare ad altre imprese. Un segnale positivo viene dall’equity crowdfunding, che è un primo passo per educare potenziali angel a questo genere di investimento. Il crowdfunding, infatti, è stato utilizzato dagli Angels per finanziare ben il 22% delle imprese totali nel 2017, ciò denota l’attrattiva del mezzo come canale di ricerca delle possibilità di investimento e, inoltre, come tecnica di sindacazione. Nonostante ciò, la quantità di investimento totale da parte dei BA è limitata, pari al 3% dell’ammontare totale, con un investimento medio per angel di 13.450 euro.
Tra gli obiettivi dell’indagine della Commissione figura la promozione “di iniziative legislative e di governo per stimolare gli investimenti nel settore, per rimuovere i colli di bottiglia normativi e facilitare la crescita delle nuove imprese così da allevare le multinazionali italiane dei prossimi vent’anni” e l’individuazione “delle possibili azioni per allineare l’Italia ai livelli di investimento in Venture Business degli altri paesi OCSE”.
Sarebbe il caso di pensare allora a una task force trasversale, sul modello dell’intergruppo innovazione, che riunisca quei dirigenti apicali che nei vari Ministeri quotidianamente si occupano di innovazione. Perché l’innovazione non riguarda solamente la materia dello sviluppo economico, ma coinvolge, anzi dovrebbe coinvolgere, anche tutti quei settori, dall’istruzione alla sanità, dall’agricoltura e il turismo dove l’Italia eccelle, in cui anche solo uno scambio di informazioni e best practice potrebbe avere un impatto notevole per la crescita del Paese.